6 aprile 2009

06 Aprile 2016   07:24  

Non è facile parlare di un evento dall’interno.

Vivere un evento non è ascoltarne il racconto. Vivere un evento significa sporcarsi con la polvere dei ricordi e il fango del dolore. Si può lavare via tutto dai vestiti, ma la sensazione resta.
Non è facile parlare del 6 aprile del 2009, e non lo dico per facile retorica. Non è facile parlare del 6 aprile perché non è facile parlare di qualcosa che perdura. La distanza, il tempo, la ragione: questi sono gli elementi che consentono di quantificare il valore della memoria. Non ne esiste alcuno, non ancora. Per adesso il 6 aprile non è solo una data infausta, è anche l’inizio di un processo che accompagna una comunità. Ne modifica le abitudini, i costumi, i modi di dire. Espressioni come “prima del terremoto” sono oramai gergali. “Andare in centro” assume spesso i connotati di un breve pellegrinaggio verso luoghi che vogliamo ricordare. Luoghi della memoria.
Memoria.
Non è facile quantificare il valore della memoria.
Il valore della memoria è strettamente personale, profondo e segreto. Ognuno fa i propri conti con la propria memoria, e non può sfuggirle. È terribile tutto questo, perché ciò che non ha contorni ben definiti appare immenso, insormontabile, terribile.
Io non parlerei del valore della memoria, ma del suo peso.
Il peso della memoria sta in uno skyline di gru, che al tramonto rende la città dannatamente e grottescamente fotogenica.
Il peso della memoria vive nei luoghi non più vissuti, strade e piazze e palazzi e scuole.
Il peso della memoria pende dai tiranti dei puntelli, e li rende inutili, se non come oggetto d’indagine.
Il peso della memoria cammina sui ciottoli del corso, magari su quei grossi mezzi pesanti che sollevano la polvere, o il fango.
Il peso della memoria è scritto sulle carte dei processi.
E infine, per me che non so quantificarne il valore, il peso della memoria sta proprio nelle memorie, quelle di tutti noi. Nei vissuti drammatici, in quelli più ironici. Sta nei ricordi di quei giorni strani, surreali.
Giorni di guerra, hanno detto alcuni. Giorni di aprile, dico io.
Di un aprile che divenne Aprile.
Che divenne il 6.
Nell’anno 2009.

Massimiliano Laurenzi


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