D'Ercole si difende: "Io stanco non intrallazzatore, ma pastore che cura le sue pecore"

20 Giugno 2014   07:58  

"Ritengo fortemente lesivo della mia dignità, oltre che falso e talora incompleto e tendenzioso quanto pubblicato in questi giorni sul mio conto".

E' quanto dichiara Mons. Giovanni D'Ercole, vescovo di Ascoli Piceno in merito a quanto riportato dal sig. Caudio Pappaianni nell’articolo pubblicato sull’Espresso online il 19.6.2014 con il titolo “Così il Monsignore premeva per mettere le mani sulla ricostruzione”, ripreso da altri siti.

Prosegue D'Ercole: "Innanzitutto il sottoscritto non è mai stato indagato e poi assolto “per favoreggiamento e truffa per i cosiddetti fondi Giovanardi”. Si tratta d’una notizia falsa e del tutto destituita di ogni fondamento. Per la verità dei fatti, il sottoscritto fu indagato per aver rivelato notizie apprese nel corso dell’interrogatorio come persona informata dei fatti. E cioè che qualcuno, tra quanti collaboravano con me, avrebbe avuto l’intenzione di fare una truffa. Io dissi al PM che non potevo tacere se c’era questo pericolo e il PM mi pregò di non farlo, senza impormi il silenzio a termini di legge. Rinviato a giudizio con rito abbreviato sono stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”. Avendo il PM fatto appello, in appello il vice Procuratore Generale ha chiesto egli stesso l’assoluzione perché “il fatto non sussiste”. Insomma, a ben vedere, ho patito questo calvario per aver detto a una persona di non rubare".

Ancora D'Ercole: "Quanto alla vicenda della lettera al Presidente Letta, si tratta di una iniziativa di tutti i vescovi dell’Abruzzo perché nella Legge Barca manca un chiaro riferimento alla ricostruzione degli edifici ecclesiastici vincolati e non.  Tutti i vescovi, compreso l’Arcivescovo di l’Aquila (contrariamente a quanto scritto dal giornalista) hanno firmato incaricandomi di seguire la pratica, consultando vari esperti in materia tra i quali il Dr. Luciano Marchetti, fino a poco prima Vice Commissario per la ricostruzione dei beni ecclesiastici.  I vescovi dell’Aquila (dove insiste la gran parte del patrimonio artistico) hanno voluto che nella norma fosse espressamente  detto – e così recita il testo – “che per i finanziamenti e le gare di appalto potevano ( e avrebbero così voluto fare) delegare la Direzione Regionale dei Beni Ambientali e Culturali, il Provveditorato alle Opere Pubbliche e i Comun”. Perché non è interesse dei Vescovi gestire i soldi e gli appalti, ma fare tutto il possibile perché le Chiese possano essere ricostruite il più rapidamente possibile. Se questo è “mettere le mani sulla ricostruzione”, lascio giudicare a chi non vede le cose con occhio preconcetto e malanimo. Se poi altri avevano intenzioni diverse, e sarà compito della magistratura approfondire, non si può imputare ai Vescovi, e a me in particolare. Presentando i fatti in maniera incompleta si rischia di trasformare un gesto di amore per la gente in qualcosa di losco e poco pulito.  Ed io sono personalmente stanco di essere così trattato, come cioè un intrallazzatore e non un pastore che prende a cura le sue pecore".


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