Dalla Miss Sixty al lavoro nero, le sarte 50enni senza prospettive ed il cachet di Belen Rodriguez

La crisi che nasce dall'incapacità dei "Capitani d'azienda"

06 Settembre 2013   07:04  

La Miss Sixty, società che raggruppava i marchi Miss Sixty, Sixty, Energie, Killah, Murphy&Nye e Refrigiwear a febbraio dello scorso anno aveva presentato il piano industriale con l’obiettivo, entro il 2015, del rilancio del gruppo e il ritorno all’utile. Invece, dopo pochi mesi abbiamo visto gli operai salire sul tetto per difendere il posto di lavoro e poi presidiare l’azienda notte e giorno.

Oggi soltanto cinquanta lavoratori continuano ad essere impiegati nell’azienda, più di trecento sono in cassa integrazione straordinaria fino ad aprile 2014, per ora la BCC sta anticipando il loro stipendio di 700 euro, e poi?

La cassa integrazione potrebbe essere prorogata per altri sei mesi a condizione che ci siano effettivamente prospettive di ripresa, ma ad oggi ancora non viene istituito il nuovo assetto societario. Presumibilmente l’anno prossimo finirà, nel peggiore dei modi, un percorso iniziato nel 1991.

Sono state fatte scelte aziendali sbagliate: per esser quotati in borsa è stata aumentata la produzione, di conseguenza il fatturato, ma nei magazzini delle decine di negozi, che nel frattempo erano stati aperti, l’invenduto iniziava ad avere numeri spaventosi.

La Miss Sixty nel 2011 cercò di incentivare le vendite con la testimonial Belen Rodriguez, top secret il cachet, unico risultato: il fallimento.

Cosa fanno/faranno gli operai? Presto detto, con scarsi mille euro non è possibile vivere, molti di loro, dopo aver lottato con tutti i loro mezzi a disposizione, in previsione della fine degli ammortizzatori, si stanno rimboccando le maniche.

Alcuni sono over quaranta, hanno acquisito un’esperienza ventennale, sono dei veri e propri professionisti, ma il settore tessile è in crisi da anni, molte camicerie dell’entroterra pescarese negli ultimi mesi hanno chiuso, sopravvivono in poche e, chi ancora resiste, non può assumere personale.

Delle operaie hanno trovato lavoro a nero per altre sartorie, hanno figli da mandare a suola o a loro volta precari, mariti disoccupati o anch’essi in cassa integrazione. In una età in cui bisognerebbe aver acquisito delle certezze è molto difficile andare avanti, soprattutto dopo aver dato gli anni migliori ad un’azienda che non è fallita a causa della crisi, ma perché non è stata capace di fare impresa.

Samanta Di Persio


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