Equitalia minaccia il pignoramento e poi chiede scusa, il professionista accusa un malore

27 Maggio 2013   10:49  

E' una storia che inizia nel 2005, a Sulmona, finita nelle aule del tribunale.

Una classica storia di rapporto con il Fisco, un fisco impersonale.

Nei giorni scorsi l'Amministratore Delegato di Equitalia, Benedetto Mineo, in una lettera ai direttori della società, ha esortato i suoi dipendenti a proseguire sulla strada dell'ascolto e del dialogo con i cittadini e a valutare caso per caso per offrire sempre la massima assistenza.

Il caso del cittadino di Sulmona, è complesso e la giustizia, come detto verificherà.

Ciò che colpisce nel racconto del nostro lettore, è la spersonalizzazione del Fisco, che con apparente leggerezza, solo per una svista, rischia di produrre danni gravi.

Prima di rendere nota la storia del cittadino, vediamo come è andata a finire.

“In attesa del ricorso in Cassazione, scadenza ottobre 2013, -scrive il cittadino di Sulmona- EQUITALIA mi richiede il pagamento di 45.000 euro più 21.384,72 euro. Chiedo e ottengo, dopo aver superato alcuni problemi tecnici, la rateizzazione, a tutt'oggi in regolare ammortamento.

Il 15 maggio mi arriva da EQUITALIA Pescara una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria per 29 633 euro su beni personali ( clicca qui per la prima pagina, clicca qui per la seconda pagina) aventi un valore di mercato di circa 600 000 euro. Chiedo spiegazioni alla responsabile del procedimento (Pescara). La mattina seguente - spiega l'abitante di Sulmona- ritiro presso la sede di EQUITALIA di Sulmona una lettera di scuse di EQUITALIA direzione Pescara: "La comunicazione è stata inviata per un mero errore tecnico (...) ci scusiamo per l'errore verificatosi nei suoi confronti (...) la suddetta comunicazione è da ritenersi annullata ad ogni effetto.

Reduce da un'operazione all'addome (30 aprile corrente anno) – spiega ancora il concittadino di Ovidio- accuso un malore in seguito all'inattesa comunicazione da parte di EQUITALIA e devo ricorrere a cure sanitarie. A seguito di questa mia vicenda personale, maturo l'idea di costituire un comitato per la tutela di tutti quei contribuenti che si trovano nella mia stessa situazione. A tal proposito ho ricevuto il sostegno e l'adesione al progetto della senatrice Paola Pelino e di avvocati, dottori commercialisti e associazioni di categoria. E' di oggi la notizia dell'adesione di ASCOM FIDI di Sulmona, nella persona del presidente Claudio Mariotti. Naturalmente farò valere i miei diritti e le mie ragioni in sede giudiziaria, sicuro che la verità verrà accertata. Ho piena fiducia nell'autorità giudiziaria e nella sua capacità di accertare la verità e le eventuali responsabilità".

Nel dettaglio riportiamo la storia del cittadino Sulmontino, iniziata con l'acquisto, nel 2005 di un immobile, il cui valore catastale dell'atto d'acquisto era di 60 mila euro. L'immobile, acquistato a 133 mila euro viene rivenduto a 170 mila, ma il cittadino, come spiega, non paga 10% di imposta a titolo definitivo sulla differenza tra il prezzo di vendita (170mila) il prezzo di acquisto (133mila) più spese notarili: in sintesi circa 3700 euro.

E qui di seguito i dettagli di questa storia che finisce in Cassazione.

"Nel 2005 acquisto un appartamento (prima casa) sostenendo un costo di 133 000 euro (prezzo dimostrato da tre assegni non trasferibili emessi all'atto di acquisto e di erogazione mutuo da UNICREDIT a favore del venditore). Nell'atto viene indicato, come prezzo, il valore catastale dell'immobile, pari a 60 000 euro. Dopo pochi mesi rivendo l'immobile a Euro 170 000. Avrei dovuto pagare in quella occasione il 10% di imposta a titolo definitivo sulla differenza tra il prezzo di vendita pari a 170 000 e il prezzo di acquisto, pari a 133 000 più spese notarili: in sintesi circa 3700 euro. Per vari motivi, che illustrerò in sede giudiziaria, non pago questa plusvalenza. Nel 2007 mi arriva una notifica di accertamento dalla Agenzia delle Entrate di Sulmona: all'atto della conciliazione la stessa Agenzia ignora volutamente gli assegni circolari e la lettera dell'UNICREDIT attestante il pagamento a favore del venditore e mi accerta una plusvalenza pari alla differenza tra 170 000 e 60 000 che portano a un'imposta dovuta di 42 000 euro circa di IRPEF e 64 000 euro di sanzioni e interessi.

Per avere giustizia ho un incontro prima con il Ministro Tremonti a L'Aquila e, di lì a poco, due incontri con il direttore generale dell'Agenzia delle Entrate Attilio Befera.

Seguono contatti telefonici con il dott. Sante Caruso del Gabinetto del dott. Befera, contatti che però non portano alla soluzione del problema. C'è interessamento, ma nessuna presa di posizione. Faccio ricorso in Commissione Tributaria e perdo i primi due gradi: fatto curioso è che nella sentenza di secondo grado della Commissione Tributaria Regionale, si fa riferimento al prezzo indicato in atto, come vero, salvo querela di falso. Spero di non sbagliarmi ma sembrerebbe che l'atto pubblico, ai sensi dell'art. 2700 cc., fa piena prova fino a querela di falso, solo della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato e delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta, avvenuti in sua presenza, cioè dell'"estrinseco", ma non fa piena prova dell'intrinseco", ossia della veridicità di quanto affermato dalle parti. 

In sintesi - spiega ancora il nostro lettore- se le parti dichiarano di aver compravenduto ad euro 60 000 non significa che fino a querela di falso quella sia la somma pagata, potendosi dare a dimostrazione in qualsiasi modo, e non solo con la querela di falso, della somma effettivamente pagata. Tale prova è stata fornita da me ricorrente: era allora onere dell'amministrazione finanziaria dimostrare che gli assegni circolari, emessi il giorno della compravendita e del relativo mutuo, si riferissero ad altri rapporti economici intercorsi tra le parti".

Fin qui la storia giudiziaria, ma poi la storia della cartelle di Equitalia, finsice con un malore e la costituzione di un'associazione di tutela dei contribuenti.

Il cittadino ribadisce in chiusura della sua lettera "

 "Ho piena fiducia nell'autorità giudiziaria e nella sua capacità di accertare la verità e le eventuali responsabilità""


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