Fuga e ritorno nella città del sisma

Terremoto

11 Aprile 2009   22:46  

Torno a L’Aquila dopo qualche giorno. Il grande spavento ma ancor di più il senso di smarrimento e il disagio mi hanno spinto ad andar via lunedì stesso, dopo solo poche lunghe ore dal tremendo cataclisma che ha colpito il capoluogo dell’Abruzzo.

L’arrivo sul posto riempie di malinconia, lo scenario è da film apocalittico, forze dell’ordine e mezzi di soccorso sono ovunque, sembra una città sotto assedio.

La situazione è drammatica, nessuno può rendersene conto senza averla vissuta. Neppure stando, come lo sono stato io in questi giorni, davanti la televisione, che ha trasformato la sciagura in un reality. Dicono che bisogna sperare che i riflettori restino accesi il più possibile, per non far calare l’attenzione, probabilmente è vero. Anche se agli aquilani, probabilmente in questo momento interessa solamente riavere una vita.

Visito il campo di piazza d’Armi, la sconquassata pista di atletica, è oggi un grande camping.

Superato lo spavento iniziale, quello che mi aveva spinto a fuggire in una metropoli il cui caotico quotidiano scorrere del tempo mi ha distratto dalla drammaticità degli eventi, una serie di pensieri corrono veloce nella mia mente.

Il primo pensiero va al futuro, al domani di migliaia di persone; poco importa cosa accadrà nelle prossime giornate o persino nei prossimi mesi. Perché non serve andare lontano, né geograficamente né nel tempo, per scoprire che a San Giuliano di Puglia, colpito dal sisma nel 2002, i terremotati vivono ancora in alloggi precari e provvisori. Nonostante le promesse che i politici fecero a quelle popolazioni: politici e promesse di ieri e di oggi.

E fra gli impiegati della informazione fortunatamente c’è qualcuno che fa il giornalista e che, ovviamente rigorosamente sulla rete, in questi giorni ce lo ha ricordato.

L’Aquila è una città universitaria, quasi 26mila studenti di cui la metà quasi fuori sede: una grande attività produttiva per il territorio, già colpito da una grave crisi industriale. Mi domando come potrà proseguire l’attività universitaria.

L’Aquila, anche grazie al fatto di aver mantenuto, non senza difficoltà, il capoluogo di Regione, è sede di numerosissimi uffici pubblici, gran parte dell’economia insomma si fonda sul terziario. Mi domando quando possa riprendere a pieno regime l’attività degli uffici, che impiegano migliaia di aquilani.

Poi il pensiero va inevitabilmente alle numerose, troppe, vittime. A L’Aquila ci si conosce un po’ tutti, tutti conoscevamo almeno una delle quasi trecento vittime.

Penso alla nonna di un amico, viva per miracolo: quei grandi pesantissimi vasi di cemento piazzati in mezzo ai vicoli del centro storico per dissuadere il traffico veicolare hanno fatto arrivare i vigili del fuoco con l'autoscala giusto in tempo per sottrarla al crollo della sua vecchia abitazione.
Poi penso alle instancabili gole profonde mai sazie di profitto, come quelle di un imprenditore della sanità privata che lunedì mattina - poche ore dopo il sisma - con l'ospedale impossibilitato ad accogliere pazienti faceva lastre a carissimo prezzo.

Lo smarrimento e le preoccupazioni per il futuro lasciano quindi il posto alla rabbia. La rabbia nei confronti di quei progettisti e di quei costruttori che hanno palesemente costruito male. Quando un palazzo è raso al suolo al centro di un isolato che è intatto, è evidente che ci sono degli assassini dietro quelle vittime innocenti. Poi gli edifici pubblici, l’ospedale “nuovo” che per anni ci hanno detto essere stato costruito con norme anti-sismiche, salvo poi in questi giorni giustificarsi puntualizzando che quelle norme antisismiche sono oggi superate. Penso quindi a mio nonno, che probabilmente senza seguire alcuna legge, norma o leggina, mattone dopo mattone, quarant’anni fa ha tirato su una palazzina che oggi non ha un graffio.

Nei mesi scorsi avevamo parlato di terremoto, si susseguivano scosse quotidianamente da mesi. Per confezionare i nostri servizi avevamo interpellato, con l’impegno a fornire una informazione il più puntuale e autorevole possibile, numerosi esperti della Protezione civile. Ai nostri microfoni gli esperti di terremoti ripetevano teorie rivelatesi prive di fondamento scientifico, la stessa geologia è praticamente una scienza empirica. Il plauso che va rivolto agli uomini della Protezione civile è per la professionalità dimostrata nell’accoglienza degli sfollati, peccato che arrivi solo dopo il dramma.

Nessuna accusa né polemica, solo la constatazione dell’impotenza e dell’impreparazione dell’uomo di fronte a eventi di questo tipo.

Marco Signori


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