Guardare al bicchiere mezzo vuoto (e pure rotto)

di Guisi Pitari

28 Aprile 2010   15:11  

Riassumendo:
1. Il centro storico dell’Aquila è inaccessibile
2. I centri storici dei comuni e frazioni limitrofe sono inaccessibili
3. Gli aquilani non abitano a L’Aquila, se non una piccola percentuale
4. Anche gli altri centri sono disabitati
5. La ricostruzione non è partita, non solo quella dei centri storici, ma anche quella delle periferie, persino per le abitazioni che hanno subito danni leggeri (solo da poco cominciano a vedersi impalcature attorno ai palazzi delle periferie)
6. Gli studenti universitari non risiedono in città, viaggiano.

Quindi come stiamo?
Malissimo.
La città non c’è, non ce l’abbiamo più, il futuro è nebbioso, non riusciamo a vederlo.
Non si può capire né descrivere cosa significhi perdere la propria città e, dopo tanti mesi, le conseguenze di ciò si vedono chiaramente non solo al livello psicologico, ma soprattutto al livello economico.

Dove sono tutte le attività commerciali e artigianali che animavano il centro storico?
Qualcuna di queste ha riaperto in luoghi diversi, distanti dalla città, così ora abbiamo anche una mappa per ritrovare le attività commerciali. Molti artigiani, soprattutto i più piccoli, non si sa cosa fanno al momento: hanno ricevuto un contributo per i primi mesi, poi più nulla. Anche coloro che coraggiosamente hanno riaperto la propria attività non se la passano bene: c’è meno gente, per raggiungerli bisogna usare l’automobile, gli studenti universitari non ci sono.

Per il progetto C.A.S.E. hanno lavorato ditte non aquilane. Molte delle piccole imprese edili, per poter lavorare anche solo per opere di puntellamento, hanno dovuto anticipare materiali e soldi. Solo ora si comincia a rilavorare nel campo dell’edilizia.
Nel progetto C.A.S.E., ogni tanto viene qualche operaio a verificare la “messa a terra” dell’impianto elettrico, ad aggiustare le finestre, a controllare gli elettrodomestici: nessuno è aquilano.

Anche impieghi quali quello delle colf sono assai diminuiti, ora si abita tutti in case provvisorie spesso molto piccole. L’assistenza agli anziani e anche il baby sitting sono difficili, perché spesso le persone di fiducia che lavorano per le famiglie si trovano in paesi lontani e i trasporti non sono propriamente efficienti.

Molti professionisti si stanno trasferendo altrove.
Alcune imprese hanno licenziato i dipendenti, non ci sono incentivi per nuovi insediamenti.

Si ha l’enorme problema delle macerie, ma nessuno sta investendo in lavoro locale.
A tal proposito vorrei ricordare che in concomitanza con le manifestazioni del cosiddetto “Popolo delle Carriole” furono promessi mari e monti: sgombero macerie, individuazione siti temporanei e, soprattutto, trasparenza. Bene, al momento non sappiamo quante macerie siano state sgomberate dal centro storico dell’Aquila (nei paesi è tutto fermo), non sappiamo quanto materiale riciclabile sia stato recuperato e neanche chi, eventualmente, sta incassando gli introiti dovuti alla loro vendita (a chi? tra l’altro), non sappiamo se gli inerti recuperati (che ci hanno detto vengono triturati) siano anch’essi venduti oppure usati per il recupero delle cave e, per questo, non abbiamo un cosiddetto “piano cave”. Abbiamo chiesto di assumere personale locale per la differenziazione in loco delle macerie e per il loro successivo smaltimento: nessuna risposta. Abbiamo chiesto di poter avere il crono programma dello sgombero delle macerie, anche per poter controllare: nessuna risposta.

Giusi Pitari


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