Rassegna stampa: una sintesi dei commenti al vertice del G8 pubblicati oggi sui maggiori quotidiani nazionali.
A partire da Libero, che centra l'attenzione sulla risposta del presidente Berlusconi al quotidiano Repubblica e titola: Berlusconi a Repubblica "Avete fallito l'obiettivo". Firma il pezzo Mario Prignano.
L`epitaffio. Non solo su Repubblica e il Gruppo
l`Espresso, ma anche sui pessimisti, sulla schiera di
chi temeva (o sperava, secondo lavulgata di Palazzo
Chigi) che tutto andasse a catafascio; che il G8 fosse
l`occasione per dimostrare al mondo l`inadeguatezza
di Silvio Berlusconi a gestire
un vertice internazionale, figuriamoci
l`Italia. Su tutto questo
variegatissimo mondo, l`epitaffio
del Cavaliere è arrivato poco
dopo le sette di sera. In un`affollatissima
conferenza stampa,
nel silenzio totale di quei giornalisti
stranieri che da mesi gli chiedono
di rispondere alle domande
sulla sua vita privata, il cronista
di Repubblica si è avvicinato
al microfono e ha affrontato di
petto la questione. «Presidente,
lei da tempo si rifiuta di rispondere...».
«Guardi, la interrompo
subito, perché non mi sembra
che la sua domanda attenga ai
temi di questo vertice». «E invece
sì, presidente, perché lei ha accusato
il mio giornale di avere rovinato
l`immagine dell`Italia
all`estero. Ma dai complimenti
ricevuti dai suoi ospiti non si direbbe».
«Si vede che non avete
raggiunto il risultato che volevate. Auguri».
Una pietra tombale sulle polemiche,
appunto. Ma, abenvedere,
non l`unica, nella giornata di
ieri. Perché se c`è qualcosa che
Berlusconi ha seppellito, per restare
nella metafora, è anche un
certa linea di politica estera.
Obama non è Bush, ha fatto capire
chiaramente nel corso di
quella stessa conferenza stampa,
e su alcuni dossier di grande
rilievo internazionale questo
non può non condizionare le
scelte del nostro Paese. Anche da
questo punto di vista è ora di
guardare avanti.
Berlusconi ne ha parlato en
passant, ma senza usare mezze
misure. A una domanda sui risultati
ottenuti e quelli non ottenuti
in tema di riduzione dei gas
serra dal consesso degli otto
Grandi allargato ai Paesi delle
cosiddette economie emergenti,
il premier ha ricordato «il grande
cambiamento nella politica
americana rispetto alla precedente
amministrazione». Obama
stesso, in un incontro di poco
prima con la stampa, aveva messo
in chiaro che «in passato gli
Stati Uniti non si sono prese le
proprie responsabilità, ma ora
questo atteggiamento è finito».
Un cambio di marcia di grande
significato, ma che a L`Aquila
non è riuscito a far cambiare po sizione
a Paesi economicamente
emergenti (e per questo anche
grandi inquinatori) come India e
Cina, da sempre restii all`idea di
una restrizione drastica delle
emissioni di anidride carbonica.
Ebbene, proprio questa circostanza
ha consentito all`Italia di
vestire ipanni del mediatore che,
ponendosi a metà strada tra
l`impegno ad una riduzione
"forte" approvato dagli Otto due
giorni fa e il no preventivo indocinese,
è riuscito a trasformare
quel no in "ni", tanto da guadagnarsi
i complimenti della delegazione
cinese (monca del presidente,
assente per problemi di
ordine interno al proprio Paese)
per avere gestito la mediazione
«con equità e rispetto di tutti i
paesi partecipanti, consentendo
che le riunioni procedessero nel
modo migliore producendo i loro
flutti». Proprio il ruolo che solitamente
Berlusconi ama ritagliarsi
in queste situazioni: il ruolo
di chi è in grado di mettere
d`accordo anche gli opposti. A
questo proposito, il dossier su
ambiente e clima si è arricchito
anche di un`iniziativa della quale,
ha rivendicato con orgoglio il
Cavaliere, «l`Italia è socia fondatrice»
insieme all`America. In
breve, si tratta della nascita di un
«nuovo istituto globale perla cattura
e il sequestro di carbonio»,
così lo ha definito Berlusconi, di
cui sono entrate afarparte anche
l`Australia, leader nella ricerca in
questo campo, e la Gran Bretagna.
Se dovessimo sintetizzare il
senso della giornata di ieri, si potrebbe
dire che dopo la politica
delle immagini che ha segnato il
primo giorno dei lavori, con i
Grandi a passeggio tra le macerie
de L`Aquila, è come se ieri, dalle
immagini e dalle parole si fosse
passati ai fatti. Contestabili, parziali,
sicuramente perfettibili
(sul clima, ad esempio, dietro la
facciata nessuno si è nascosto
che si è trattato di un compromesso).
Ma pur sempre di fatti.
Proprio quei "fatti" a cui il presidente
del Consiglio italiano tiene
tanto. Nella conferenza stampa
finale non ha potuto fare a
meno di rimarcarlo: "«Ci sono
due tipi di realtà: quella vera della
gente comune e c`è la realtà
che qualche volta descrivono i
giornali, che non è realtà ma pura
fantasia. Questo G8 penso
l`abbia dimostrato in modo lampante.
Il G8 oggi appare sempre meno rappresentativo delle potenze globali e ormai superato rispetto agli anni Settanta, quando prese forma su iniziativa degli Usa alla luce della recessione globale. Ci si domanda se e come proseguire. Questo aspetto, con qualche ironia, suggerisce il taglio a Franco Venturini che sul Corriere della Sera firma l'articolo titolato: Il capolinea di un club troppo esclusivo.
Da anni
l`appuntamento
annuale del G8 ha cattiva
stampa. Da anni si rinnova in alcuni censori
una retorica anti-vertice
che è uguale, senza
rendersene conto, a quella
del vertice. Ma la novità,
stavolta, è che all`Aquila il
G8 è davvero arrivato al
suo canto del cigno. Non
perché abbia sfigurato,
nella preparazione e nei
risultati, rispetto alla
maggioranza delle
riunioni precedenti.
Non perché sia tramontata la voglia, sempre viva e
sempre utopica, di un «governo mondiale» il più possibile
ristretto. Ma piuttosto perché, a forza di cambiare,
il mondo non può più permettersi il lusso di un
salotto buono troppo selezionato.
A strappare gli ultimi veli di una realtà che andava
profilandosi da tempo è stata, beninteso, la crisi economica
e finanziaria che ancora viviamo. Il suo effetto
non è stato di creare i fenomeni (per esempio
l`ascesa della Cina o dell`India) bensì quello di accelerarli
e di obbligare tutti a prenderne atto. Chi pensa
più, oggi, che le questioni poste dalla crisi possano
essere affrontate e risolte senza il coinvolgimento dei
cosiddetti Paesi emergenti?
Il G14 ha deciso ieri di diventare un foro «stabile e
strutturato». Un modo di prendere atto, semmai tardivamente,
dell`inarrestabile ascesa del multipolarismo
economico oltre che politico. Ma non per questo il G8
ha dichiarato di volersi autoaffondare. E poi gli sguardi
sono già puntati sul Geo che si terrà a Pittsburgh a
fine settembre. Siamo dunque alla vigilia di una
«guerra delle G»? Non esattamente, ma il meno che si
possa dire è che l`idea di una necessaria governance
mondiale appare al momento piuttosto confusa.
La sorte del G8 appare comunque segnata, anche
se un`ultima boccata di ossigeno potrebbe essergli
concessa l`anno venturo in Canada. Ma nel 2011 la
presidenza tocca alla Francia, e Sarkozy ha già annunciato
che il suo vertice sarà come minimo un G13• Il
problema, allora, è di immaginare una credibile divisione
dei ruoli, e anche di comporre esigenze tecniche
e riserve politiche.
Il Giappone, per dirne una, non vede di buon occhio
l`ingresso stabile della Cina nel G8: battaglia ormai
di retroguardia, perché la Cina è presente tanto
nel•G14 quanto nel Geo. Qualche resistenza lo sherpa
italiano Giampiero Massolo l`ha trovata anche negli
americani. Ma qui il motivo è diverso, e ben più insidioso
per tutti gli altri a cominciare dagli europei: gli
Usa, accanto al Geo, vedono bene un G2, un rapporto
privilegiato, cioè, con il determinante colosso cinese.
Il risultato è che si arriverà fatalmente a una geometria
variabile. Al centro del sistema il Geo specificamente
incaricato di affrontare la crisi economica e di
fissare nuove regole finanziarie. In subordine ma non
troppo il G14 impegnato sulle altre questioni globali,
come la difesa dell`ambiente lungamente discussa ieri
all`Aquila (senza escludere che all`interno del G14
su alcune questioni possa riunirsi ancora un G8). E
soprattutto, pragmatismo e flessibilità diventeranno
la regola a seconda delle esigenze.
All`Italia non dispiacerebbe che il G14 formalizzato
ieri avesse una influenza in tema di riforma del Consiglio
di Sicurezza dell`Onu. Ma la vera incognita è altrove.
Non risulterà troppo difficile trovare un consenso
decisionale a venti? Andrebbe davvero meglio a quattordici?
Il rischio è chiaro: che invece di allargarsi il
G8 finisca per restringersi, e diventi sempre di più un
G2.
Stessa lunghezza d'onda per Cesare Martinetti che su La Stampa titola: C'era una volta il G8.
Cosi irrituale e diverso,
tra le montagne
scabre dell`Abruzzo
e le macerie
del terremoto,
sciami sismici e sciami di
first lady, in un susseguirsi
di ciak nei quali più che George
Clooney il protagonista
assoluto per fisicità e proposta
politica è apparso l`ultimo
arrivato, Barack Obama,
il summit dell`Aquila almeno
una sicurezza l`ha regalata: il G8 è morto e con esso il
mondo che rappresentava.
Cina, India e Brasile sono i
protagonisti di quel nuovo
mondo che ancora non riesce
a scrivere le sue regole
ma che già è in grado di bloccare
quelle degli altri, ossia
quel vecchio mondo che si
specchiava nella tradizionale
riunione dei suoi leader,
una volta all`anno intorno ad
un piccolo tavolo tondo, come
un circolo del bridge. Lo
chiamavano il club dei paesi
più industrializzati.
La plastica dimostrazione
di questo nuovo ordine si
è vista ieri all`Aquila dove,
pur assente, il cinese Hu Jintao,
in tacito accordo con
l`indiano Manmohan Singh,
ha difatto svuotato l`accordo
sul clima. C`è l`intesa sul contenimento
del riscaldamento
globale (non più di 2 gradi
oltre la temperatura media
mondiale dell`era preindustriale),
non quella sulla riduzione
dei gas serra.
Questo perché Cina e India, i
due maggiori paesi emergenti,
entrati in ritardo nell`era industriale,
reclamano la loro quota
di inquinamento per crescere.
La contropartita in denaro e in tecnologie
(possibilmente «green») offerte dai
vecchi inquinatori non è stata ancora sufficiente.
Il leader cinese, rientrato precipitosamente
in patria per seguire da vicino
la rivolta feroce e misteriosa dello
Xinjiang e disinnescare il rischio di una
nuova Tienanmen, ha comunque buttato
sul tavolo del G8 un macigno che i vecchi
grandi non hanno potuto eludere.
Eppure Obama ce l`ha messa tutta. Ha
riposizionato l`America sullo schema europeo
che Bush aveva rifiutato sui tagli
delle emissioni e ottenuto il consenso sul
non superamento di 2 gradi, un «consenso
storico», ha detto il presidente Usa. Ma
Cina e India hanno resistito. Appuntamento
a fine anno a Copenhagen, nuovo
meeting, nuovo giro, diplomazie già al lavoro,
tentativo di governo globale delle cose
difficile, nuovo e vecchio mondo di nuovo
a confronto. Davvero i cinesi si prenderanno
la responsabilità di bloccare un accordo
globale? L`impressione è che, sparate
le cartucce sul tavolo dell`Aquila, la
prossima manche sia a due (lo chiameremo
G2?) tra Cina e Stati Uniti, Hu e Obama.
L`appuntamento è già previsto in settembre,
in questo momento il presidente
americano sembra in vantaggio.
È la formula G8 che è apparsa ormai
completamente inadeguata a rappresentare
un indirizzo nel governo del mondo
e, meno che mai, un organismo efficace.
Nato negli Anni Settanta come G5 (Gran
Bretagna, Francia, Giappone, Stati Uniti)
il club divenne G& con l`ingresso dell`Italia
e poi G7 con l`arrivo del Canada.
La formula prevedeva il semplice incontro
tra i sette capi di Stato e di governo intorno
a un tavolo per un libero scambio di
opinioni: sette leader e nessun altro. Caduta
l`Urss, venne aggiunto un posto alla
tavola, sebbene mai a pieno titolo, per Boris
Eltsin, presidente della nuova Russia.
Ma se proprio si deve cercare un volto
nuovo per rappresentare il nuovo corso
di questo G8 definitivamente superato,
assente l`enigmatico Hu, potremmo scegliere
il sorriso di Luis Ignacio Lula, presidente
del Brasile, arrivato all`Aquila
con la maglia di un giocatore della Selecao
che dieci giorni fa ha battuto gli
Usa nella Confederations Cup. Un dono
molto simbolico per mister Obama e i
suoi soci di G8.
Quello che conta è ormai il nuovo G5
che s`è formato vicino al vecchio club: Cina,
India, Brasile, Sudafrica, Messico. Ad
esso, su spinta italiana, va aggiunto l`Egitto
per arrivare al G14 che si è ufficialmente
deciso affiancherà e seguirà il G8.
«Non possiamo certo venire soltanto per
un caffè ha detto Lula ieri in un`intervista
a Le Monde -. Sarebbe il caffè più caro
del mondo...» Il presidente brasiliano auspicava
l`ingresso stabile del «Bric» (Brasile,
Russia, India, Cina) e si può dire che
l`abbia acquisito.
Ma- intanto si sa che il consesso più
rappresentativo e che si è dimostrato più
efficace nel confronto sulla crisi finanziaria
dei mesi scorsi è il G20, nato invece in
ambito anglosassone, voluto prima di George
W. Bush e poi da Gordon Brown che
l`ha riunito a Londra a inizio anno. Per arrivare
a questa ultima formula, ai quattordici del G14, vanno aggiunte: Spagna,
Australia, Corea del Sud, Indonesia, Polonia
e Olanda. Sarà qui che l`Occidente incontrerà
il nuovo mondo nel tentativo di
trovare un nuovo ordine nel caos multilaterale
del mondo globale.
All`Aquila, dove l`Italia ha mostrato insieme
le sue risorse e tutte le sue fragilità,
dove Silvio Berlusconi è politicamente risorto,
il G8 è forse definitivamente morto.
Il Tempo riprende la risposta di Berlusconi a Repubblica, con l'editoriale di Giuseppe Sanzotta "Fallita la campagna dei veleni".
Basterebbero le parole
di Sarkozy per
cancellare tutte le
polemiche che hanno preceduto
il vertice. Il presidente
francese ha parlato
di progressi spettacolari. E
se a questa affermazione
aggiungiamo le parole di
Obama che ha elogiato la
leadership italiana nella
preparazione del G8 possiamo
dire che tutte le critiche
preventive, tutte le fosche
previsioni della vigilia,
si sono rivelate bufale.
La riunione dell`Aquila,
con tutti i limiti strutturali
di questi confronti, è stato
un successo. Organizzativo
e politico. Si registrano importanti
passi avanti, l`Italia
e il suo governo sono
stati all`altezza della situazione.
Si è dimostrata una
scelta felice quella di spostare
l`incontro in Abruzzo,
nella città terremotata che
ha ricevuto e riceverà aiuti
internazionali per la sua rinascita.
Eppure c`era chi all`estero
e in casa nostra (e questo
è più grave) ha fatto il
tifo per il fallimento. Foto
rubate, gossip, illazioni avevano
avuto lo scopo di screditare
Berlusconí davanti
al mondo. Non solo, D`Alema
alla vigilia del summit
aveva anticipato l`arrivo di
altre «scosse» non meglio
precisate. Aveva detto di
sentirsi umiliato come italiano
nel vedere il nostro
Paese ridimensionato. In
fondo il Guardian o il New
York Times non avevano
fatto altro che seguire un
solco già tracciato. Italia incapace
di organizzare l`incontro
senza un determinante
supporto internazionale,
Italia senza fiducia,
Italia che dovrebbe perfino
uscire dall`elite mondiale.
C'è chi ha gongolato non capendo
che l`obiettivo degli attacchi
non era Berlusconi, ma il nostro
Paese. Questa non è una novità. Da
noi la stampa estera, quando critica,
diventa Vangelo e viene subito presa
a pretesto per rilanciare la polemica
politica interna. Così si è creato quel
clima da resa dei conti. Da ultima
spiaggia. E anche favorire l`attesa
per qualcosa di sconvolgente che sarebbe
accaduto durante il vertice,
foto, rivelazioni o chissà che altro,
non aveva lo scopo di spingere i capi
di Stato stranieri a essere prudenti?
A non farsi vedere tanto in giro con
il nostro premier? Invece non è stato
così. Non c`è stata alcuna «scossa»
politica ma solo ampi riconoscimenti
e apprezzamenti. Anche i giornali
che più hanno cercato di screditare
il presidente del governo devono ricredersi.
La campagna dei veleni,
dei foschi presagi, che puntava sulla
paura di un Paese che doveva venire
schifato ed emarginato per il suo
premier è fallita. Forse non finita.
Lo dimostra lo sconcertante e scandaloso
appello che uno dei leader
dell`opposizione, parliamo di Antonio
Di Pietro, ha fatto pubblicare a
pagamento sull`International Herald
Tribune. Una pagina nella quale si
parla del rischio dittatura nel nostro
Paese e si fa appello alla comunità
internazionale perché il governo sia
isolato. Un messaggio simile avrebbe
avuto un senso in un regime dittatoriale.
Isolare il governo è isolare il
Paese. Questo è un tradimento della
comunità. Non viviamo in una dittatura,
poco più di un anno fa gli
elettori hanno votato e liberamente
scelto la maggioranza politica che
deve governare. Ogni legge è discussa
in un Parlamento eletto dai cittadini.
Questa è democrazia. Non si
può invocare la dittatura quando si
perdono le elezioni. Non si può mettere
a rischio la credibilità del nostro
Paese (cosa penseranno dell`Italia i
lettori di quel giornale) quando si è
in minoranza. L giusto che l`opposizione
cerchi di competere con la
maggioranza e si mobiliti per sconfiggerla
alle prossime elezioni. Ma
delegittimare il voto popolare è frutto
di una mentalità che non ammette
la contesa democratica. Non accetta
la sconfitta. Non rispetta le posi-
zioni dell`avversario. E se domani
qualche giornale straniero sarà incoraggiato,
per fini interni, per favorire
il proprio Paese, a criticare il nostro
sapremo da che parte vengono gli
stimoli. Da chi non vuole il bene
dell`Italia, ma sacrifica anche l`orgoglio
nazionale pur di ottenere qualche
mezzo punto in più alle prossime
elezioni. Perché caro Di Pietro,
questa è una democrazia e gli elettori
votano.
E arriviamo a La Repubblica, che rivolge la sua attenzione all'astro nascente Obama, premettendo sempre l'ormai palese superamento di un vertice a 8. Vittorio Zucconi titola così il suo editoriale: L'esempio di Barack.
In questo che sarà se non l` ultimo, certamente uno degli
ultimi, G8, strumento ormai
"non idoneo" come ha detto
il presidente di turno Berlusconi
che ormai non aveva più
niente da chiedergli, mentre incassava
quella giornata di sole
della quale l`Italia, e lui specialmente,
avevano tanto bisogno,
Barack Obama affrontava invece
uno dei primi rovesci internazionali
della sua presidenza: il nyet delle nuove potenze nascenti
alla sua camp agna contro
il riscaldamento della Terra.
AIla preoccupazione di immagine che aveva animato il
nostro presidente del consiglio italiano, aveva fatto da
contrappunto la battaglia di sostanza che l`americano
si era proposto di condurre e che la fuga del presidente
cinese Hu Jintao, tanto tempestiva da apparire persino sospetta,
aveva svuotato prima ancora che cominciasse. Era evidente che
raggiungere accordiparzialisul climafranazioni occidentale che
comunque erano già d`accordo sarebbe stato facile e il difficile
sarebbe venuto nel convincere colossi umani, finanziarie, politici
e industriali come Cina, Brasile e India, da sole oltre un terzo
della popolazione planetaria, anon fare quello che per secoli noi
abbiamo fatto, secondo la sindrome del villeggiante al mare che
vorrebbe bloccare ogni nuova costruzione dopo essersi comperato
la casa.
Questo dell`Aquila, nel secondo giorno in cui proprio Obama
ha preso la presidenza del futuro Gruppo, formato non dai soli
Otto, ma da quattordici nazioni, era il primo incontro pratico, su
terreni concreti, fra il nuovo presidente americano e quella Cina
chelui, purnell`attivi smo politico dimostrato nei sei mesi alla Casa
Bianca, aveva sempre aggirato ed evitato con cura. A differenza
del predecessore Bush che era salito al potere nel gennaio del
2001 annunciando la dottrina contraddittoria dei "concorrenti e
partner", un bluff che i Cinesi avevano subito visto costringendo
un aereo spia americano ad atterrare e Washington a chiedere
scusa, Obama non aveva mai articolato una propria ben definita
strategia cinese. E ora si capisce il perché.
Perché la Cina, non ancora un co-eguale negli affari del mondo
per la propria natura politica, è già capace di essere il punto di
riferimento e di coagulo di coloro che non cercano pacche sulle
spalle da Washington e non vogliono accettare a scatola chiusa
le scelte fatte dalle nazioni occidentali e dagli Stati Uniti che le
guidano.
La risposta di Obama è stata quella di "aprire la scatola", di
non imporre a questo gruppo di nazioni che vogliono contare di
più, il "chi non è con me è contro di me" caro al manicheismo di
Bush, ma di provare a dimostrare che, finalmente, l`America intende
praticare quello che predica, in materia di democrazia, di
stato di diritto e di difesa della Terra, per "non chiedere ad altri
quello che noi non siamo disposti a fare". «I giorni dello spreco
sono finiti anche per noi» ha detto nella dichiarazione finale, per
togliere quella antica sensazione che i ricchi siano sempre bravissimi
a predicare quello che essi non vogliono praticare, magari
accusando dall`alto, come il lupo, l`agnello di sporcare l`acqua.
O che, come fu in uno dei primi e più infelici atti di Bush
stracciando la modesta intesa di Kyoto, neghino addirittura l`esistenza
del problema per non doverlo affrontare.
La sfida di Obama al mondo che anela a quei modelli di sviluppo
che le nazioni più mature cominciano ariconoscere come
insostenibile, è di "leadbyexample", comedissepiù volte in campagna
elettorale, di "guidare con l`esempio" e di essere il miglio-
re, non il più prepotente. Anche Silvio Berlusconi, che sembra
avere già interamente dimenticato gli anni della presidenza Bush
con l`entusiasmo del convertito per 1"` obamismo", si è prontamente
adeguato, e anche questa conversione al neo-ecologismo
era parte del prezzo pagato, insieme con i 500 militari in più
in Afghanistan e i tre prigionieri di Guantanamo accettati in Italia,
per proteggere la propria posizione internazionale e quella
dell`Italia.
Se il G8, come istituzione, è ormai in agonia e altri gruppi più
rappresentativi del mondo lo sostituiranno, non sarà il caso di
piangerlo.
Anche questo, come tutti gli organismi e le organizzazioni ha
svolto la propria funzione e ormai palesemente era un sopravvissuto
alla propria ragione d`essere. Ma nel Gruppo che lo sostituirà,
e del quale fortunatamente l`Italia farà ancora parte in attesa
di una rappresentanza collettiva dell`Europa, la lezione di
questo ultimo valzer all`Aquila sarà importante, non per massaggiare
la vanità dei singoli, ma per avere detto che il tempo del
direttori e dei diktat dell`Occidente a "chi ci sta" e peggio per gli
altri, statramontando. Sel`America, conl`Europa, intende ancora
guidare, dovrà farlo convincendo gli altri di meritarlo con l`esempio
della propria capacità di governare la propria gente e il
proprio spicchio di mondo meglio con più coscienza e integrità
di quanto sappiano fare Cina o India o Brasile, se ci riescono, e
non per autoinvestituira. Come ha cominciato a fare, o a tentare
difare, BarackObamariconoscendo che dall`Americadegli sprechi
deve partire la nuova economia dello sviluppo intelligente.