Il G8 dell'Aquila visto dai maggiori quotidiani italiani

Rassegna stampa

10 Luglio 2009   11:58  

Rassegna stampa: una sintesi dei commenti al vertice del G8 pubblicati oggi sui maggiori quotidiani nazionali.
A partire da Libero, che centra l'attenzione sulla risposta del presidente Berlusconi al quotidiano Repubblica e titola: Berlusconi a Repubblica "Avete fallito l'obiettivo". Firma il pezzo Mario Prignano.

L`epitaffio. Non solo su Repubblica e il Gruppo l`Espresso, ma anche sui pessimisti, sulla schiera di chi temeva (o sperava, secondo lavulgata di Palazzo Chigi) che tutto andasse a catafascio; che il G8 fosse l`occasione per dimostrare al mondo l`inadeguatezza di Silvio Berlusconi a gestire un vertice internazionale, figuriamoci l`Italia. Su tutto questo variegatissimo mondo, l`epitaffio del Cavaliere è arrivato poco dopo le sette di sera. In un`affollatissima conferenza stampa, nel silenzio totale di quei giornalisti stranieri che da mesi gli chiedono di rispondere alle domande sulla sua vita privata, il cronista di Repubblica si è avvicinato al microfono e ha affrontato di petto la questione. «Presidente, lei da tempo si rifiuta di rispondere...».
«Guardi, la interrompo subito, perché non mi sembra che la sua domanda attenga ai temi di questo vertice». «E invece sì, presidente, perché lei ha accusato il mio giornale di avere rovinato l`immagine dell`Italia all`estero. Ma dai complimenti ricevuti dai suoi ospiti non si direbbe».
«Si vede che non avete raggiunto il risultato che volevate. Auguri».
Una pietra tombale sulle polemiche, appunto. Ma, abenvedere, non l`unica, nella giornata di ieri. Perché se c`è qualcosa che Berlusconi ha seppellito, per restare nella metafora, è anche un certa linea di politica estera.
Obama non è Bush, ha fatto capire chiaramente nel corso di quella stessa conferenza stampa, e su alcuni dossier di grande rilievo internazionale questo non può non condizionare le scelte del nostro Paese. Anche da questo punto di vista è ora di guardare avanti.
Berlusconi ne ha parlato en passant, ma senza usare mezze misure. A una domanda sui risultati ottenuti e quelli non ottenuti in tema di riduzione dei gas serra dal consesso degli otto Grandi allargato ai Paesi delle cosiddette economie emergenti, il premier ha ricordato «il grande cambiamento nella politica americana rispetto alla precedente amministrazione». Obama stesso, in un incontro di poco prima con la stampa, aveva messo in chiaro che «in passato gli Stati Uniti non si sono prese le proprie responsabilità, ma ora questo atteggiamento è finito».
Un cambio di marcia di grande significato, ma che a L`Aquila non è riuscito a far cambiare po sizione a Paesi economicamente emergenti (e per questo anche grandi inquinatori) come India e Cina, da sempre restii all`idea di una restrizione drastica delle emissioni di anidride carbonica.
Ebbene, proprio questa circostanza ha consentito all`Italia di vestire ipanni del mediatore che, ponendosi a metà strada tra l`impegno ad una riduzione "forte" approvato dagli Otto due giorni fa e il no preventivo indocinese, è riuscito a trasformare quel no in "ni", tanto da guadagnarsi i complimenti della delegazione cinese (monca del presidente, assente per problemi di ordine interno al proprio Paese) per avere gestito la mediazione «con equità e rispetto di tutti i paesi partecipanti, consentendo che le riunioni procedessero nel modo migliore producendo i loro flutti». Proprio il ruolo che solitamente Berlusconi ama ritagliarsi in queste situazioni: il ruolo di chi è in grado di mettere d`accordo anche gli opposti. A questo proposito, il dossier su ambiente e clima si è arricchito anche di un`iniziativa della quale, ha rivendicato con orgoglio il Cavaliere, «l`Italia è socia fondatrice» insieme all`America. In breve, si tratta della nascita di un «nuovo istituto globale perla cattura e il sequestro di carbonio», così lo ha definito Berlusconi, di cui sono entrate afarparte anche l`Australia, leader nella ricerca in questo campo, e la Gran Bretagna.
Se dovessimo sintetizzare il senso della giornata di ieri, si potrebbe dire che dopo la politica delle immagini che ha segnato il primo giorno dei lavori, con i Grandi a passeggio tra le macerie de L`Aquila, è come se ieri, dalle immagini e dalle parole si fosse passati ai fatti. Contestabili, parziali, sicuramente perfettibili (sul clima, ad esempio, dietro la facciata nessuno si è nascosto che si è trattato di un compromesso).
Ma pur sempre di fatti.
Proprio quei "fatti" a cui il presidente del Consiglio italiano tiene tanto. Nella conferenza stampa finale non ha potuto fare a meno di rimarcarlo: "«Ci sono due tipi di realtà: quella vera della gente comune e c`è la realtà che qualche volta descrivono i giornali, che non è realtà ma pura fantasia. Questo G8 penso l`abbia dimostrato in modo lampante.

Il G8 oggi appare sempre meno rappresentativo delle potenze globali e ormai superato rispetto agli anni Settanta, quando prese forma su iniziativa degli Usa alla luce della recessione globale. Ci si domanda se e come proseguire. Questo aspetto, con qualche ironia, suggerisce il taglio a  Franco Venturini che sul Corriere della Sera firma l'articolo titolato: Il capolinea di un club troppo esclusivo.

Da anni l`appuntamento annuale del G8 ha cattiva stampa. Da anni si rinnova in alcuni censori una retorica anti-vertice che è uguale, senza rendersene conto, a quella del vertice. Ma la novità, stavolta, è che all`Aquila il G8 è davvero arrivato al suo canto del cigno. Non perché abbia sfigurato, nella preparazione e nei risultati, rispetto alla maggioranza delle riunioni precedenti.
Non perché sia tramontata la voglia, sempre viva e sempre utopica, di un «governo mondiale» il più possibile ristretto. Ma piuttosto perché, a forza di cambiare, il mondo non può più permettersi il lusso di un salotto buono troppo selezionato.
A strappare gli ultimi veli di una realtà che andava profilandosi da tempo è stata, beninteso, la crisi economica e finanziaria che ancora viviamo. Il suo effetto non è stato di creare i fenomeni (per esempio l`ascesa della Cina o dell`India) bensì quello di accelerarli e di obbligare tutti a prenderne atto. Chi pensa più, oggi, che le questioni poste dalla crisi possano essere affrontate e risolte senza il coinvolgimento dei cosiddetti Paesi emergenti? Il G14 ha deciso ieri di diventare un foro «stabile e strutturato». Un modo di prendere atto, semmai tardivamente, dell`inarrestabile ascesa del multipolarismo economico oltre che politico. Ma non per questo il G8 ha dichiarato di volersi autoaffondare. E poi gli sguardi sono già puntati sul Geo che si terrà a Pittsburgh a fine settembre. Siamo dunque alla vigilia di una «guerra delle G»? Non esattamente, ma il meno che si possa dire è che l`idea di una necessaria governance mondiale appare al momento piuttosto confusa.
La sorte del G8 appare comunque segnata, anche se un`ultima boccata di ossigeno potrebbe essergli concessa l`anno venturo in Canada. Ma nel 2011 la presidenza tocca alla Francia, e Sarkozy ha già annunciato che il suo vertice sarà come minimo un G13• Il problema, allora, è di immaginare una credibile divisione dei ruoli, e anche di comporre esigenze tecniche e riserve politiche.
Il Giappone, per dirne una, non vede di buon occhio l`ingresso stabile della Cina nel G8: battaglia ormai di retroguardia, perché la Cina è presente tanto nel•G14 quanto nel Geo. Qualche resistenza lo sherpa italiano Giampiero Massolo l`ha trovata anche negli americani. Ma qui il motivo è diverso, e ben più insidioso per tutti gli altri a cominciare dagli europei: gli Usa, accanto al Geo, vedono bene un G2, un rapporto privilegiato, cioè, con il determinante colosso cinese.
Il risultato è che si arriverà fatalmente a una geometria variabile. Al centro del sistema il Geo specificamente incaricato di affrontare la crisi economica e di fissare nuove regole finanziarie. In subordine ma non troppo il G14 impegnato sulle altre questioni globali, come la difesa dell`ambiente lungamente discussa ieri all`Aquila (senza escludere che all`interno del G14 su alcune questioni possa riunirsi ancora un G8). E soprattutto, pragmatismo e flessibilità diventeranno la regola a seconda delle esigenze.
All`Italia non dispiacerebbe che il G14 formalizzato ieri avesse una influenza in tema di riforma del Consiglio di Sicurezza dell`Onu. Ma la vera incognita è altrove.
Non risulterà troppo difficile trovare un consenso decisionale a venti? Andrebbe davvero meglio a quattordici? Il rischio è chiaro: che invece di allargarsi il G8 finisca per restringersi, e diventi sempre di più un G2.

Stessa lunghezza d'onda per Cesare Martinetti che su La Stampa titola: C'era una volta il G8.

Cosi irrituale e diverso, tra le montagne scabre dell`Abruzzo e le macerie del terremoto, sciami sismici e sciami di first lady, in un susseguirsi di ciak nei quali più che George Clooney il protagonista assoluto per fisicità e proposta politica è apparso l`ultimo arrivato, Barack Obama, il summit dell`Aquila almeno una sicurezza l`ha regalata: il G8 è morto e con esso il mondo che rappresentava.
Cina, India e Brasile sono i protagonisti di quel nuovo mondo che ancora non riesce a scrivere le sue regole ma che già è in grado di bloccare quelle degli altri, ossia quel vecchio mondo che si specchiava nella tradizionale riunione dei suoi leader, una volta all`anno intorno ad un piccolo tavolo tondo, come un circolo del bridge. Lo chiamavano il club dei paesi più industrializzati.
La plastica dimostrazione di questo nuovo ordine si è vista ieri all`Aquila dove, pur assente, il cinese Hu Jintao, in tacito accordo con l`indiano Manmohan Singh, ha difatto svuotato l`accordo sul clima. C`è l`intesa sul contenimento del riscaldamento globale (non più di 2 gradi oltre la temperatura media mondiale dell`era preindustriale), non quella sulla riduzione dei gas serra.
Questo perché Cina e India, i due maggiori paesi emergenti, entrati in ritardo nell`era industriale, reclamano la loro quota di inquinamento per crescere.
La contropartita in denaro e in tecnologie (possibilmente «green») offerte dai vecchi inquinatori non è stata ancora sufficiente.
Il leader cinese, rientrato precipitosamente in patria per seguire da vicino la rivolta feroce e misteriosa dello Xinjiang e disinnescare il rischio di una nuova Tienanmen, ha comunque buttato sul tavolo del G8 un macigno che i vecchi grandi non hanno potuto eludere.
Eppure Obama ce l`ha messa tutta. Ha riposizionato l`America sullo schema europeo che Bush aveva rifiutato sui tagli delle emissioni e ottenuto il consenso sul non superamento di 2 gradi, un «consenso storico», ha detto il presidente Usa. Ma Cina e India hanno resistito. Appuntamento a fine anno a Copenhagen, nuovo meeting, nuovo giro, diplomazie già al lavoro, tentativo di governo globale delle cose difficile, nuovo e vecchio mondo di nuovo a confronto. Davvero i cinesi si prenderanno la responsabilità di bloccare un accordo globale? L`impressione è che, sparate le cartucce sul tavolo dell`Aquila, la prossima manche sia a due (lo chiameremo G2?) tra Cina e Stati Uniti, Hu e Obama.
L`appuntamento è già previsto in settembre, in questo momento il presidente americano sembra in vantaggio.
È la formula G8 che è apparsa ormai completamente inadeguata a rappresentare un indirizzo nel governo del mondo e, meno che mai, un organismo efficace.
Nato negli Anni Settanta come G5 (Gran Bretagna, Francia, Giappone, Stati Uniti) il club divenne G& con l`ingresso dell`Italia e poi G7 con l`arrivo del Canada.
La formula prevedeva il semplice incontro tra i sette capi di Stato e di governo intorno a un tavolo per un libero scambio di opinioni: sette leader e nessun altro. Caduta l`Urss, venne aggiunto un posto alla tavola, sebbene mai a pieno titolo, per Boris Eltsin, presidente della nuova Russia.
Ma se proprio si deve cercare un volto nuovo per rappresentare il nuovo corso di questo G8 definitivamente superato, assente l`enigmatico Hu, potremmo scegliere il sorriso di Luis Ignacio Lula, presidente del Brasile, arrivato all`Aquila con la maglia di un giocatore della Selecao che dieci giorni fa ha battuto gli Usa nella Confederations Cup. Un dono molto simbolico per mister Obama e i suoi soci di G8.
Quello che conta è ormai il nuovo G5 che s`è formato vicino al vecchio club: Cina, India, Brasile, Sudafrica, Messico. Ad esso, su spinta italiana, va aggiunto l`Egitto per arrivare al G14 che si è ufficialmente deciso affiancherà e seguirà il G8.
«Non possiamo certo venire soltanto per un caffè ha detto Lula ieri in un`intervista a Le Monde -. Sarebbe il caffè più caro del mondo...» Il presidente brasiliano auspicava l`ingresso stabile del «Bric» (Brasile, Russia, India, Cina) e si può dire che l`abbia acquisito.
Ma- intanto si sa che il consesso più rappresentativo e che si è dimostrato più efficace nel confronto sulla crisi finanziaria dei mesi scorsi è il G20, nato invece in ambito anglosassone, voluto prima di George W. Bush e poi da Gordon Brown che l`ha riunito a Londra a inizio anno. Per arrivare a questa ultima formula, ai quattordici del G14, vanno aggiunte: Spagna, Australia, Corea del Sud, Indonesia, Polonia e Olanda. Sarà qui che l`Occidente incontrerà il nuovo mondo nel tentativo di trovare un nuovo ordine nel caos multilaterale del mondo globale.
All`Aquila, dove l`Italia ha mostrato insieme le sue risorse e tutte le sue fragilità, dove Silvio Berlusconi è politicamente risorto, il G8 è forse definitivamente morto.

Il Tempo riprende la risposta di Berlusconi a Repubblica, con l'editoriale di Giuseppe Sanzotta "Fallita la campagna dei veleni".

Basterebbero le parole di Sarkozy per cancellare tutte le polemiche che hanno preceduto il vertice. Il presidente francese ha parlato di progressi spettacolari. E se a questa affermazione aggiungiamo le parole di Obama che ha elogiato la leadership italiana nella preparazione del G8 possiamo dire che tutte le critiche preventive, tutte le fosche previsioni della vigilia, si sono rivelate bufale.
La riunione dell`Aquila, con tutti i limiti strutturali di questi confronti, è stato un successo. Organizzativo e politico. Si registrano importanti passi avanti, l`Italia e il suo governo sono stati all`altezza della situazione.
Si è dimostrata una scelta felice quella di spostare l`incontro in Abruzzo, nella città terremotata che ha ricevuto e riceverà aiuti internazionali per la sua rinascita.
Eppure c`era chi all`estero e in casa nostra (e questo è più grave) ha fatto il tifo per il fallimento. Foto rubate, gossip, illazioni avevano avuto lo scopo di screditare Berlusconí davanti al mondo. Non solo, D`Alema alla vigilia del summit aveva anticipato l`arrivo di altre «scosse» non meglio precisate. Aveva detto di sentirsi umiliato come italiano nel vedere il nostro Paese ridimensionato. In fondo il Guardian o il New York Times non avevano fatto altro che seguire un solco già tracciato. Italia incapace di organizzare l`incontro senza un determinante supporto internazionale, Italia senza fiducia, Italia che dovrebbe perfino uscire dall`elite mondiale.
C'è chi ha gongolato non capendo che l`obiettivo degli attacchi non era Berlusconi, ma il nostro Paese. Questa non è una novità. Da noi la stampa estera, quando critica, diventa Vangelo e viene subito presa a pretesto per rilanciare la polemica politica interna. Così si è creato quel clima da resa dei conti. Da ultima spiaggia. E anche favorire l`attesa per qualcosa di sconvolgente che sarebbe accaduto durante il vertice, foto, rivelazioni o chissà che altro, non aveva lo scopo di spingere i capi di Stato stranieri a essere prudenti? A non farsi vedere tanto in giro con il nostro premier? Invece non è stato così. Non c`è stata alcuna «scossa» politica ma solo ampi riconoscimenti e apprezzamenti. Anche i giornali che più hanno cercato di screditare il presidente del governo devono ricredersi.
La campagna dei veleni, dei foschi presagi, che puntava sulla paura di un Paese che doveva venire schifato ed emarginato per il suo premier è fallita. Forse non finita.
Lo dimostra lo sconcertante e scandaloso appello che uno dei leader dell`opposizione, parliamo di Antonio Di Pietro, ha fatto pubblicare a pagamento sull`International Herald Tribune. Una pagina nella quale si parla del rischio dittatura nel nostro Paese e si fa appello alla comunità internazionale perché il governo sia isolato. Un messaggio simile avrebbe avuto un senso in un regime dittatoriale.
Isolare il governo è isolare il Paese. Questo è un tradimento della comunità. Non viviamo in una dittatura, poco più di un anno fa gli elettori hanno votato e liberamente scelto la maggioranza politica che deve governare. Ogni legge è discussa in un Parlamento eletto dai cittadini.
Questa è democrazia. Non si può invocare la dittatura quando si perdono le elezioni. Non si può mettere a rischio la credibilità del nostro Paese (cosa penseranno dell`Italia i lettori di quel giornale) quando si è in minoranza. L giusto che l`opposizione cerchi di competere con la maggioranza e si mobiliti per sconfiggerla alle prossime elezioni. Ma delegittimare il voto popolare è frutto di una mentalità che non ammette la contesa democratica. Non accetta la sconfitta. Non rispetta le posi- zioni dell`avversario. E se domani qualche giornale straniero sarà incoraggiato, per fini interni, per favorire il proprio Paese, a criticare il nostro sapremo da che parte vengono gli stimoli. Da chi non vuole il bene dell`Italia, ma sacrifica anche l`orgoglio nazionale pur di ottenere qualche mezzo punto in più alle prossime elezioni. Perché caro Di Pietro, questa è una democrazia e gli elettori votano.

E arriviamo a La Repubblica, che rivolge la sua attenzione all'astro nascente Obama, premettendo sempre l'ormai palese superamento di un vertice a 8. Vittorio Zucconi titola così il suo editoriale: L'esempio di Barack.

In questo che sarà se non l` ultimo, certamente uno degli ultimi, G8, strumento ormai "non idoneo" come ha detto il presidente di turno Berlusconi che ormai non aveva più niente da chiedergli, mentre incassava quella giornata di sole della quale l`Italia, e lui specialmente, avevano tanto bisogno, Barack Obama affrontava invece uno dei primi rovesci internazionali della sua presidenza: il nyet delle nuove potenze nascenti alla sua camp agna contro il riscaldamento della Terra.
AIla preoccupazione di immagine che aveva animato il nostro presidente del consiglio italiano, aveva fatto da contrappunto la battaglia di sostanza che l`americano si era proposto di condurre e che la fuga del presidente cinese Hu Jintao, tanto tempestiva da apparire persino sospetta, aveva svuotato prima ancora che cominciasse. Era evidente che raggiungere accordiparzialisul climafranazioni occidentale che comunque erano già d`accordo sarebbe stato facile e il difficile sarebbe venuto nel convincere colossi umani, finanziarie, politici e industriali come Cina, Brasile e India, da sole oltre un terzo della popolazione planetaria, anon fare quello che per secoli noi abbiamo fatto, secondo la sindrome del villeggiante al mare che vorrebbe bloccare ogni nuova costruzione dopo essersi comperato la casa.
Questo dell`Aquila, nel secondo giorno in cui proprio Obama ha preso la presidenza del futuro Gruppo, formato non dai soli Otto, ma da quattordici nazioni, era il primo incontro pratico, su terreni concreti, fra il nuovo presidente americano e quella Cina chelui, purnell`attivi smo politico dimostrato nei sei mesi alla Casa Bianca, aveva sempre aggirato ed evitato con cura. A differenza del predecessore Bush che era salito al potere nel gennaio del 2001 annunciando la dottrina contraddittoria dei "concorrenti e partner", un bluff che i Cinesi avevano subito visto costringendo un aereo spia americano ad atterrare e Washington a chiedere scusa, Obama non aveva mai articolato una propria ben definita strategia cinese. E ora si capisce il perché.
Perché la Cina, non ancora un co-eguale negli affari del mondo per la propria natura politica, è già capace di essere il punto di riferimento e di coagulo di coloro che non cercano pacche sulle spalle da Washington e non vogliono accettare a scatola chiusa le scelte fatte dalle nazioni occidentali e dagli Stati Uniti che le guidano.
La risposta di Obama è stata quella di "aprire la scatola", di non imporre a questo gruppo di nazioni che vogliono contare di più, il "chi non è con me è contro di me" caro al manicheismo di Bush, ma di provare a dimostrare che, finalmente, l`America intende praticare quello che predica, in materia di democrazia, di stato di diritto e di difesa della Terra, per "non chiedere ad altri quello che noi non siamo disposti a fare". «I giorni dello spreco sono finiti anche per noi» ha detto nella dichiarazione finale, per togliere quella antica sensazione che i ricchi siano sempre bravissimi a predicare quello che essi non vogliono praticare, magari accusando dall`alto, come il lupo, l`agnello di sporcare l`acqua.
O che, come fu in uno dei primi e più infelici atti di Bush stracciando la modesta intesa di Kyoto, neghino addirittura l`esistenza del problema per non doverlo affrontare.
La sfida di Obama al mondo che anela a quei modelli di sviluppo che le nazioni più mature cominciano ariconoscere come insostenibile, è di "leadbyexample", comedissepiù volte in campagna elettorale, di "guidare con l`esempio" e di essere il miglio- re, non il più prepotente. Anche Silvio Berlusconi, che sembra avere già interamente dimenticato gli anni della presidenza Bush con l`entusiasmo del convertito per 1"` obamismo", si è prontamente adeguato, e anche questa conversione al neo-ecologismo era parte del prezzo pagato, insieme con i 500 militari in più in Afghanistan e i tre prigionieri di Guantanamo accettati in Italia, per proteggere la propria posizione internazionale e quella dell`Italia.
Se il G8, come istituzione, è ormai in agonia e altri gruppi più rappresentativi del mondo lo sostituiranno, non sarà il caso di piangerlo.
Anche questo, come tutti gli organismi e le organizzazioni ha svolto la propria funzione e ormai palesemente era un sopravvissuto alla propria ragione d`essere. Ma nel Gruppo che lo sostituirà, e del quale fortunatamente l`Italia farà ancora parte in attesa di una rappresentanza collettiva dell`Europa, la lezione di questo ultimo valzer all`Aquila sarà importante, non per massaggiare la vanità dei singoli, ma per avere detto che il tempo del direttori e dei diktat dell`Occidente a "chi ci sta" e peggio per gli altri, statramontando. Sel`America, conl`Europa, intende ancora guidare, dovrà farlo convincendo gli altri di meritarlo con l`esempio della propria capacità di governare la propria gente e il proprio spicchio di mondo meglio con più coscienza e integrità di quanto sappiano fare Cina o India o Brasile, se ci riescono, e non per autoinvestituira. Come ha cominciato a fare, o a tentare difare, BarackObamariconoscendo che dall`Americadegli sprechi deve partire la nuova economia dello sviluppo intelligente.


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