La Clinica della Fertilità Spagnola fa il Boom a Roma e Pensa di Aprire a Milano e Napoli

31 Ottobre 2015   09:29  

Hanno un'età media di 40 anni e, il più delle volte, portano con sé un faldone pieno di carte, segno tangibile della via crucis che hanno affrontato inseguendo il sogno di un bebè. Sono le donne italiane che bussano alle porte delle cliniche spagnole della fertilità. Il gruppo Ivi (Instituto Valenciano de Infertilidad) ha aperto i battenti della sua prima sede italiana a fine giugno a Roma, e in poco più di 3 mesi di attività ha già ricevuto 530 coppie di aspiranti genitori da tutta Italia che si sono sottoposti a prime visite nella Capitale. Tanto che l'idea è quella di aprire altri centri sia a Nord - puntando su Milano - che a Sud della Penisola, ricalcando il modello Ivi basato su una capillare presenza sul territorio.

Per ora il centro di Roma è un ambulatorio medico privato, attivo nel quartiere Parioli, dove si eseguono visite finalizzate alla diagnosi e all'individuazione delle tecniche di Pma più idonee alla coppia, oltre a tutte le analisi complementari. Il viaggio in Spagna si fa solo per la parte di trattamenti clinici. Ma il gruppo Ivi fondato 25 anni fa da Antonio Pellicer - che con quello romano conta più di 40 centri di riproduzione assistita in 10 Paesi fra Europa, America e Asia - punta a dar vita a una clinica, accreditata, in cui si possa offrire tutto il ciclo di prestazioni e seguire i genitori dal primo consulto alla nascita del bebè.

Lo spiega oggi durante un incontro a Milano Daniela Galliano, ginecologa esperta di medicina della procreazione, italiana con lunga esperienza all'estero (era in forze in una clinica del gruppo a Barcellona), alla quale Ivi ha affidato la gestione dei servizi di diagnosi e consulenza in materia di riproduzione medicalmente assistita nella Capitale.

E' infatti questa la strategia che il gruppo spiega di aver scelto: affidarsi a specialisti italiani, formati all'Ivi, e creare realtà integrate e capillari nel Paese in cui si avviano le attività. "Non a caso - spiega Galliano - è nata Ivi Italia", dove anche il presidente Pellicer (esperto di medicina riproduttiva) visita personalmente le pazienti. Il debutto di altri centri dovrebbe essere a breve termine, compatibilmente con il necessario percorso burocratico che va completato. Per Milano e la Lombardia c'è il limite del blocco degli accreditamenti fissato dalla Regione e il gruppo sta seguendo attentamente l'evolversi della situazione.

L'Instituto Valenciano de Infertilidad, istituto privato legato all'università, non è nuovo alle coppie 'tricolore'. Dal 2004 a oggi sono stati 11.137 i pazienti italiani che sono stati in cura nei suoi centri spagnoli, la stragrande maggioranza a Barcellona e a Valencia (oltre 10 mila). In 11 anni l'aumento degli 'Sos bebè' dal Belpaese è stato esponenziale. Si è passati da un ritmo di poche centinaia di coppie l'anno fino al 2006 ai 1.300 casi annui di oggi. Il 2013 è stato da record, con 1.627 aspiranti genitori trattati. Gli italiani sono quasi un terzo del totale dei pazienti stranieri.

Il gruppo iberico si gioca la carta dell'esperienza ventennale in un Paese come la Spagna, dove l'eterologa e la diagnosi pre-impianto sono una realtà da tempo, la cultura dell'ovodonazione è diffusa e anche l'esperienza con gli screening e la conservazione degli ovociti è consolidata, complici anche vincoli normativi fin da subito meno restrittivi che in questi anni in Italia. E così il 60% delle coppie che si sono presentate al centro romano ha chiesto consulenza per trattamenti di fecondazione in vitro con diagnosi pre-impianto, il 40% per l'eterologa.

"Facciamo tanta ricerca - assicura Galliano - potendo contare su un'esperienza di 37 mila cicli l'anno (dato 2014) e stiamo puntando su campagne di sensibilizzazione per abbassare il tasso di gravidanze gemellari che soprattutto sull'eterologa è ancora alto, seppur in calo nel 2014". Le donatrici, racconta Galliano, sono studentesse o lavoratrici perlopiù sotto i 30 anni, vengono screenate con diversi esami (previsti per legge ed extra), non possono essere sottoposte a più di 6 stimolazioni e i loro ovuli possono essere usati fino a ottenere un massimo di 6 neonati.

"Senz'altro il compenso economico è una leva per la donazione - osserva Galliano - ma da un'indagine che abbiamo condotto qualche anno fa è emerso che una buona percentuale di donne la vive come una forma di riscatto. Alcune di loro raccontavano di aver interrotto una gravidanza in passato e di voler aiutare altre coppie a esaudire il sogno di avere un figlio. Gli ovuli vengono fecondati o vitrificati e conservati in banca".

L'Ivi spiega di avere introdotto nel tempo alcune innovazioni. Per esempio l'Embryoscope, una sorta di 'incubatrice' degli embrioni che permette di evitare lo spostamento delle piastre con terreno di coltura. Gli embrioni vengono ospitati in celle in ambiente criocontrollato, dotate di un sistema di ripresa video che permette di avere le immagini in tempo reale di tutte le fasi di sviluppo. "Immagini che poi mettiamo su dvd per i genitori - spiega Galliano - Usare questa apparecchiatura ci ha permesso di migliorare del 19% la percentuale di successo dei transfer post fecondazione, secondo un nostro studio. Altra innovazione è un test genetico in grado di determinare il miglior momento di recettività dell'endometrio per aumentare le chance di successo di attecchimento dell'embrione, identificando una finestra di tempo personalizzata su ogni donna. E ancora - conclude - ricorriamo a un test di compatibilità genetica, basato su un prelievo di sangue da cui si estrae il Dna della persona e si studiano circa 600 malattie genetiche".


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