La montagna abruzzese uccisa da uomini di potere abulici e dalle strette visioni

04 Aprile 2013   12:39  

Riceviamo dal signor Ferdinando Di Filippo e pubblichiamo.

''Diversi di quelli che sono arrivati anche da lontano a visitare l’Italia hanno affermato che questo paese potrebbe avere le risorse per vivere bene anche di solo turismo e sono ben d’accordo con loro.

Basta pensare alle bellezze naturali di tante nostre regioni: delle Alpi, dell’Appennino, della Calabria, della Sardegna e aggiungere i tanti meravigliosi palazzi,chiese, musei e quant’altro di culturalmente ammirevole per rendersi conto della validità di tali risorse.

Non a caso l’Unesco ha dato tanti assenzi per fare emergere siti italiani tra i patrimoni dell’umanità e tra questi tra i più meritevoli le Dolomiti.

Il nostro Gran Sasso comunque, a detta anche di chi lo ha visitato solo superficialmente, dovrebbe invidiare alle Dolomiti solo la loro maggiore vastità, anche se con un handicap concorrenziale di frequenze estive dalle pur magnifiche spiagge abruzzesi.

Corre quindi l’obbligo di evidenziare qualche sensata e razionale spiegazione per far capire il motivo per cui possa esserci tanta distanza tra le due conformazioni montuose e non certo per lo spazio troppo evidente e insignificante, ma bensì a carattere economico-culturale.

Da una parte uno sviluppo turistico da rendere prosperi e ben vivibili anche Paesi ad altezze molto elevate e dall’altra uno spopolamento generalizzato e degradante dalla montagna verso il mare.

Sulle Dolomiti si è saputo ben integrare tale sviluppo con uno scrupoloso rispetto per l’ambiente; dove sebbene tante piste sciistiche scorrono tra folti boschi, il disboscamento è stato ben superato da vero e proprio rimboscamento, e questo anche su territori ben governati da Parchi Nazionali, come quello dello Stelvio e quello delle Dolomiti Bellunesi.

In Abruzzo invece i Paesi al di sopra dei 700 m e sulle falde montane si trovano ormai pressoché in veloce estinzione e anche tutte quelle strutture turistiche provenienti da lontane sagge iniziative stanno precipitando in degrado.

I più resistenti operatori economici vengono a trovarsi con grande delusione dinanzi a una visuale fallimentare sempre più marcata.

Perché insomma da una parte tanta fioritura di aspettative e dall’altra il disastroso dramma della paura e della fuga per evitare la propria fine?

Il tutto per le antitesi divergenti: da una parte persone decisionali attive, comprensive e costruttive, dall’altra quelle stesse persone col potere, abuliche, incomprensibili e distruttive.

Dopo i disastrosi esempi dovuti a quegli uomini che, meschinamente provvisti di visuali troppo corte, hanno procurato tanti guasti alla natura, i più capaci di comprendere hanno capito però che l’uomo, non solo può procedere ad un veloce sviluppo nel rispetto della natura, ma può farlo anche addirittura migliorandola.

Questa edificante comprensione purtroppo è ancora lontana dell’Abruzzo, dove si è voluto creare un grandissimo Parco Nazionale, non solo per la salvaguardia della natura, ma anche per lo sviluppo di quel suo prezioso territorio montano ben vocato al turismo e all’emersione economica.

I Parchi Nazionali derivano da una stessa legge costitutiva e con statuti ad essa connessi, e quindi con scopi e finalità pressoché uguali: oltre a quello del rispetto per la natura, quello dello sviluppo socio-economico del territorio da governare.

Dove però quelle stesse finalità sono state interpretate troppo diversamente i risultati sono stati non solo ben diversi, ma addirittura con effetti da antipodi.

Da una parte si è compreso il vero significato dell’ambientalismo con una difesa della flora e della fauna da renderla integrativa del miglior sviluppo economico e dove l’animale può armoniosamente convivere con l’uomo. In tal caso è possibile sentire sui bei prati montani i fischi delle marmotte, come pure avere la visione di camosci e stambecchi su dirupi da alpinismo.

Dall’altra, la completa incomprensione dello stesso significato di ambientalismo, ormai confuso con quel dannoso integralismo naturale ha portato solo rovine.

Quali ad esempio l’impossibilità di convivenza tra uomo e animale da far propendere erroneamente verso l’animale; l’abbandono dei boschi divenuti ormai inestricabili e pericolosi invece che giulivamente percorribili da appassionati escursionisti a miglioramento della propria salubrità.

Dove quindi quei poteri decisionali avrebbero dovuto operare come al nord, magari anche solo a mezzo di facile lavoro copiativo, risultano ormai così deleteri fino a raggiungere finalità opposte e completa desertificazione di luoghi ammirevoli. Per altro con ingenti spese di denaro pubblico di cui meglio non toccare il tasto per non aggravare la già tanto precaria situazione.''

 


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