Le Incisioni pastorali della Maiella

13 Giugno 2012   10:47  

Sulle rocce della Maiella troviamo più di 300 anni di storia dei nostri pastori. È una storia di poveri, della loro solitudine e sofferenza. Li scopriamo ad imprecare contro la “maledetta” montagna e a gioire per la partenza imminente. Hanno inciso croci, il mostruoso bestiario dei capitelli e degli amboni delle chiese del proprio paese, la grande nave vista forse dal tratturo del mare, la casa lontana e tanti nomi, date e paesi di provenienza.

Sulle rocce possiamo ancora sentire le voci di un antichissimo mondo che è appena scomparso. E nel frastuono del mondo di oggi, non ce ne siamo neppure accorti. Le incisioni sembrano concentrarsi solo sul massiccio della Majella; su altre montagne, anch’esse mete estive della società pastorale, solo raramente accade d’incontrarle.

Troviamo incisioni un po’ ovunque, ma vi sono zone, molto circoscritte, di particolare concentrazione: punti nevralgici nella rete dei sentieri, luoghi dominanti su una o più vallate, o semplici punti di sosta sui pascoli. Alcuni di questi luoghi, anche se non molto frequentati, sembrano rivestire una particolare importanza.

È come se la società pastorale avesse tacitamente stabilito di farne un santuario e per secoli continuasse ad incidere scritte sulle stesse rocce, sovrapponendole a volte a quelle più antiche. Non è raro trovare incise brevi frasi che ci parlano della vita e soprattutto dello stato d’animo del pastore. Nella maggior parte dei casi si tratta di poche parole che esprimono la solitudine e la disperazione per una esistenza così dura. Non a caso si trovano in prevalenza nelle zone più impervie ed isolate.

Molti nomi sono seguiti dalle parole “più” o “mai più” e da frasi dalle quali si capisce che la montagna viene considerata alla stregua di una prigione: Tutto e fatto se me la salvo quest’anno mai più. La frase più nota è quella incisa alla Tavola dei Briganti, nella quale c’è una chiara contestazione del governo piemontese ed il rimpianto per quello borbonico: Eco la mia memo(ria) per i cari lettori nel 1820 nacque Vittorio Emanuele II Re d’Italia primo il 60 era il regno dei fiori ora e il regno della miseria. Di lato alla frase troviamo “Gabriele di Battista 1895” che dalla grafia sembra esserne l’autore. La data è piuttosto tarda per parlare di briganti e probabilmente si tratta solo di un naturale sfogo per la dura vita condotta dal pastore.

Le parole più toccanti sono quasi nascoste, incise in un angolo di una piccola roccia: “Dio mi vede e sente”. È probabile che questa convinzione fosse di conforto all’ignoto autore della scritta e che lo facesse sentire meno solo in mezzo a quella natura selvaggia, lontano dagli affetti familiari. Sembra quasi che i pastori conoscessero la fama della Majella come “montagna sacra”, a giudicare dalle numerose croci che essi hanno inciso sulle sue rocce. Croci grandi, piccolissime, semplici, ornate, isolate, a gruppi, scavate, in rilievo, incorniciate, raggiate, con il cuore, con il gallo, con la data, evidenti, nascoste: croci ovunque. Per secoli la società pastorale ha diviso la montagna con i monaci e gli eremiti condividendo con essi una dura esistenza ed assorbendone parte della religiosità.

La croce era anche il simbolo più comune, presente in tutte le tappe importanti della vita e nelle feste tradizionali che scandivano la vita religiosa del paese. Ma per molti pastori, essa era anche l’unico segno significativo che riuscissero a fare e in molti casi dobbiamo considerarla quasi una firma, un modo per dire: “ci sono anch’io”. La croce più significativa è quella incisa nel Vallone delle Tre Grotte. La troviamo quasi all’apice di uno sperone roccioso proteso nel vuoto del sottostante vallone. Intorno alla croce, sulla superficie perfettamente liscia della roccia, nessun segno, quasi a voler porre in risalto il simbolo. Il tutto infonde un forte senso di spiritualità.

La figura umana è piuttosto rara e nella maggior parte dei casi viene rappresentata solo parzialmente e con uno stile molto elementare. Sicuramente la difficoltà di incidere sulla roccia ha condizionato la scelta dei soggetti; infatti, sempre in ambito pastorale, troviamo rappresentazioni più complesse quando si tratta di incisioni su legno. In un ambiente agreste e pastorale ci si sarebbe aspettato una maggiore ricchezza di rappresentazioni animali, ma troviamo solo una pecora a due zampe, un asino, un cane, alcuni uccelli e imprevedibilmente una scimmia. Può darsi che quest’ultimo animale sia stato visto dall’autore dell’incisione in qualche rappresentazione di saltimbanchi girovaghi, piuttosto comuni un tempo nei nostri paesi. In due disegni, incisi sulla stessa roccia ed appartenenti forse al medesimo autore, vediamo la mitica figura del grifo, soggetto tratto dal bestiario raffigurato nelle chiese. L’incisione più interessante è quella dell’aquila bicipite che sembra ghermire un cane. Dovremmo cercare di immaginarla con la freschezza che aveva oltre tre secoli fa, prima che il sole e il gelo consumassero il rilievo.

L’aquila a due teste coronata dovrebbe rappresentare l’impero asburgico. Il cane è indiscutibilmente un pastore abruzzese considerando la grossa testa e le orecchie piccole, probabilmente tagliate. Meno bella dal lato estetico, ma ricca di significato, è l’incisione lasciataci da Ernesto del Castello alla Tavola dei Briganti. La figura umana fra l’animale da soma ed il cuore rende perfettamente l’eterno conflitto del pastore. Destano una certa meraviglia in quell’ambiente i semplicissimi disegni che ci mostrano delle navi caratterizzate da numerose vele triangolari. Infine una piccola mano incisa su una roccia isolata, senza alcuna firma: forse il semplice gioco di un pastorello, fatto per ingannare il tempo di quelle lunghe giornate. Edoardo Micati


Oroscopo del Giorno powered by oroscopoore