Messaggio pasquale dell'Arcivescovo Petrocchi alla comunità ecclesiale e civile

Fare Pasqua per vivere da risorti

18 Aprile 2014   09:11  

Cristo, nostra Pasqua, è risorto (cfr. 1 Cor 5,7)! Questo annuncio esultante, che la Chiesa fa risuonare con gioia incontenibile fino ai confini dello spazio e alle frontiere del tempo, ha la forza di cambiare “dalle fondamenta” la nostra vita. Basta accoglierlo e viverlo.
L’esperienza della croce è, per la nostra ragione, motivo di scandalo (cfr. 1Cor 20-25). Rimaniamo, infatti, sconcertati davanti alla “logica della Pasqua”, che sancisce la necessità di entrare nel tunnel della sofferenza per immettersi nella gioia della risurrezione.
Lo sappiamo bene: noi siamo allergici al dolore e lo rigettiamo con veemenza. L’impatto con la tribolazione ci spinge a reagire negativamente, facendoci oscillare tra polarità emotive opposte (ma, strettamente collegate dallo stesso nodo del rifiuto): la rabbia aggressiva (che si attiva verso se stessi e verso gli altri) o la chiusura nella depressione fatalistica e rassegnata.
Sono convinto che se qualcuno, volendo condurre un’indagine sul malessere interiore della gente, intervistasse quelli che si dichiarano tristi e delusi, molti di loro - alla richiesta di indicare le cause della scontentezza - punterebbero il dito all’esterno, dichiarando che il motivo della loro infelicità è da rintracciare negli altri o in eventi sfortunati.
La colpa, insomma, viene individuata sempre “fuori”. Il soggetto, in questo modo, non si mette in discussione e non riconosce che, in larga parte, la fonte nascosta delle sue inquietudini è dentro di lui. Proprio così: non sono gli eventi che ci capitano l’origine principale del nostro disagio, ma il modo sbagliato con cui li viviamo.
Quando, in alcuni colloqui personali, ho provato a dire ad alcuni amici che le frustrazioni di cui si lamentavano dipendevano anzitutto dagli atteggiamenti inadeguati con cui avevano affrontato gli avvenimenti spiacevoli che li avevano feriti, essi hanno reagito elencando tutte le avversità che si erano abbattute sulla loro esistenza, rovinandola.
Facendo così, scaricavano la responsabilità delle loro insoddisfazioni sul conto altrui o sull’accanimento della mala sorte. Pur rispettando profondamente la loro versione, rispondevo dicendo che riconoscevo l’oggettività dei problemi che mi riferivano, tuttavia sottolineavo con fermezza che se le situazioni di sofferenza, pur gravi, fossero state vissute praticando il Vangelo, quelle difficoltà non li avrebbero “uccisi” dentro, togliendo la serenità e seminando rancore, ma, al contrario, sarebbero diventate motivo di crescita nell’amore verso Dio, verso se stessi e verso gli altri.
Citavo, allora, una frase della Scrittura che afferma: «se tu avessi camminato nei sentieri di Dio, saresti vissuto sempre in pace» (Bar 3,13).
Non si sostiene, in questa espressione, che quanti aderiscono alla volontà del Signore sono esentati dai problemi, ma si evidenzia piuttosto che essi sono resi idonei a trasformare le difficoltà in risorse. E pure l’apostolo Paolo si muove sulla stessa frequenza di pensiero quando ci assicura che tutto collabora al bene di coloro che amano Dio (cfr. Rom 8,28).
Dobbiamo dircelo con chiarezza: dalla prigione del dolore non usciamo da soli. Se cerchiamo di evadere, i nostri tentativi prima o poi falliscono e ci ritroviamo ancora più incatenati. Senza l’aiuto del Signore le nostre domande non hanno risposte convincenti e gli sforzi messi in atto non ci consentono di scavalcare il muro dei problemi. Feriti come siamo dalla piaga del peccato, se vogliamo guarire dobbiamo rivolgerci a Lui: infatti, senza la Sua Parola, la verità non brillerebbe nel nostro cielo; senza la Sua grazia il negativo avrebbe la meglio; senza la Sua compagnia resteremmo intrappolati nei labirinti dei nostri limiti. La Pasqua ci porta la buona notizia che Gesù ha preso su di sé la nostra “morte” (nella quale confluisce anche il dolore trascinato senza senso e senza amore) e l’ha vinta.
Per questo la Sua risurrezione ci apre la porta verso la “vita” (che è capacità di mutare tutto in amore, anche il dolore). «Egli ha preso la morte e l'ha infissa alla croce e ne ha liberato i mortali - esclama sant’Agostino -, ma nella morte di Cristo, la morte ha trovato la sua propria morte, poiché la vita morendo ha ucciso la morte»1. In Gesù ci viene donata la forza per non rimanere incastrati nelle nostre disgrazie e la sapienza per vivere da risorti: qualunque cosa accada! Infatti, per quanto fitta e intricata sia la selva delle difficoltà che ci circondano e per quanto profondo sia il baratro della sofferenza in cui le circostanze avverse ci hanno scaraventato, possiamo sempre mantenere alto il vessillo della fede, della carità e speranza. Infatti sta scritto: «Dio è fedele...», insieme con la prova «vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla» (1 Cor 10,13).
Questa via è Gesù, il crocifisso-risorto. È Lui - e Lui solo - che ci salva, se Lo lasciamo agire nella nostra esistenza. E il Signore possiamo incontrarLo nella Chiesa, in cui Egli si fa nostro contemporaneo ed agisce per il bene integrale di tutti e di ciascuno. La Pasqua di Cristo, perciò, offrendoci la possibilità di riconciliarci con la nostra sofferenza (fisica, psicologia e morale), spalanca davanti al nostro sguardo orizzonti straordinari, prima impensati. Ricordiamolo bene, niente e nessuno può scipparci la gioia e la pace; solo la nostra complicità (spesso inconscia) consente agli avvenimenti esterni di compiere questo furto. Perciò, da “uomini nuovi” (cfr. 2Cor 5,7) riprendiamoci - se le avessimo perse - la serenità e la letizia, strappandole agli artigli del peccato e dei nostri egoismi increduli. Pensando secondo queste categorie, il dolore mi sembra simile al carbone, che, se osservato solo in superficie, ci appare un materiale sgradevole (perché sporca), inutile (perché è friabile) e velenoso (perché esala gas tossici); ma se viene “acceso” diventa una formidabile fonte di energia, che emana luce e calore. Anche la sofferenza, se viene subìta in modo cieco, ci inquina l’anima e ci soffoca dentro, sottraendoci la capacità di ricevere e dare amore; ma se vissuta secondo il Vangelo e bruciata nella carità, si trasforma in una inesauribile e contagiosa sorgente di luce e di gioia. Coraggio, allora, qualunque sia la nube oscura che si è posata sulla nostra storia. Per cambiare noi stessi, e così cambiare l’ambiente in cui ci muoviamo, la Pasqua di Gesù deve diventare la nostra Pasqua. La mensa del Risorto, alla quale siamo invitati, è già pronta e la tavola dell’Agnello imbandita. Per far nuove tutte le cose (cfr. Ap 21,5) Dio attende solo il nostro “sì”.
Auguri carissimi, a tutti e a ciascuno! Con un grande abbraccio fraterno.

Giuseppe Petrocchi

 

 

 


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