Perdonanza Celestiniana, Monsignor Stella: "Il perdono come una forma di “ecologia spituale"

28 Agosto 2015   18:31  

Sono vivamente grato all’Arcivescovo, S.E. Mons. Petrocchi e all’Arcivescovo emerito, S.E. Mons. Molinari, che saluto cordialmente, per l’invito a presiedere questa celebrazione, in una diocesi a me molto cara, e famigliare fin dagli anni Cinquanta, nella sua storica Città e nei paesi di montagne che le fanno corona.

Dopo il 1973, anno della morte dello Zio Arcivescovo Monsignor Costantino Stella, sono tornato un paio di volte, alcuni anni fa. E’ la prima volta dopo il drammatico terremoto.

Sempre, in questi decenni trascorsi, ma soprattutto nella dolorosa circostanza menzionata, ho potuto esprimere davanti al Signore, il mio profondo affetto per questa Chiesa locale e le sue comunità cristiane, con un fervido ricordo nella preghiera, che oggi rinnovo di gran cuore.

«“Paziente e misericordioso” è il binomio che ricorre spesso nell’Antico Testamento per descrivere la natura di Dio» (Misericordiae vultus, n. 6) e «L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia» (Misericordiae vultus, n. 10).

Sono parole di Papa Francesco nella Bolla, con cui ha indetto il Giubileo dedicato alla Misericordia; e nell’orizzonte di questo evento ecclesiale, ormai prossimo, possiamo situare bene la celebrazione dell’antica Perdonanza Celestiniana, dal beato Paolo VI collocata, nel 1967, al primo posto nell’elenco delle Indulgenze plenarie.

Sin da ora, ci prepariamo a vivere questo anno dedicato alla misericordia di Dio, celebrandone oggi uno dei suoi aspetti più alti e toccanti, il perdono; esso è come il canale attraverso cui l’amore di Dio inonda il cuore dell’umanità.

Il perdono, in primo luogo, è un atto relazionale, al quale ciascuno é chiamato a partecipare. Da una parte, c’è colui a cui il perdono è chiesto, al quale occorre una “riserva di amore” e la disponibilità a donarlo; dall’altra, c’è chi ha bisogno di essere perdonato, a cui non può mancare l’umiltà di chiederlo e di lasciarsi amare.

Questa dinamica vale per i rapporti tra le persone, ma emerge in modo eminente nel sacramento della riconciliazione e nella domanda interiore dell’indulgenza, come quella odierna; c’è un tesoro di grazia e di amore, messo da Dio a disposizione di tutti, a una sola condizione: chiederlo, con un cuore pentito e con il proposito di emendarsi e cambiare rotta di vita.

Proprio perché comporta uno scontro e una lotta contro il male, mai banale, l’esercizio del perdono è più spesso un difficile cammino, il punto di arrivo di un percorso di conversione, sia quando lo chiediamo a Dio, sia quando, nella comunità, lo Spirito Santo ci dà la grazia di concederlo. Per raggiungere la meta, non basta sapere che è una cosa buona e “doverosa”; occorre piuttosto vincere le resistenze che il peccato e la fragilità umana producono in noi.

Bisogna implorare dal Signore il desiderio di essere da Lui perdonati, e, da parte nostra, di poter perdonare chi ci ha fatto torto. Da questo esercizio interiore, talvolta difficile e doloroso, ma sempre gratificante, esce un cuore gioioso e consolato dalla misericordia del Padre, e, nel perdono concesso, uno spirito riconciliato e sereno.

Mi piace, dunque, pensare al perdono come a una forma di “ecologia spirituale”, con cui si purifica l’ambiente umano inquinato dal peccato; esso ha molto a che vedere con l’“ecologia integrale”, a cui Papa Francesco ha dedicato la sua ultima enciclica, “Laudato si’’”.

Con un esempio semplice e quasi banale, potremmo dire che ogni peccato è come una buca, più o meno ampia e profonda, che apriamo nel nostro mondo; più aumentano i peccati, nostri e altrui, più diventa difficile muoversi, sino quasi a trovarsi paralizzati.

Il perdono è come la terra nuova, fresca e fertile, con cui Dio colma quei buchi, sino a cancellarli; magari resta il segno della terra smossa – le “cicatrici” del male commesso e patito – ma il buco è scomparso; con il perdono il bene prevale e il male resta solo un ricordo del passato, per la cui liberazione dobbiamo essere grati all’infinita misericordia del Padre.

Dopo aver parlato del perdono, come di un atto relazionale, di un cammino e di una ecologia spirituale, vorrei fare un passo avanti, soffermandomi sulla visione nuova che esso introduce nella vita di chi lo riceve e inizia a vedere le cose dal punto di vista di Dio.

Il perdono di Dio, infatti, ci immerge in un orizzonte nuovo, di fatto divino, rispetto al mero buon senso umano, perché Dio non guarda il merito, non dona il suo amore e il perdono a chi lo “conquista”. Dio non sta su una montagna erta e scoscesa, guardandoci mentre ci affatichiamo nella salita, in attesa che paghiamo, con il sudore della fronte e il dolore dei muscoli, il prezzo del Suo perdono.

Egli attende solo una stilla di pentimento, una parola detta col cuore: “Mio Dio, mi pento e mi dolgo dei miei peccati!”. E come la carezza di una madre sul volto di un bimbo, il perdono di Dio ci immerge, all’istante, nella tenerezza del suo amore.

Pensiamo al “buon ladrone”; in croce accanto a Gesù, quest’uomo dedito lungamente al male, ha come un guizzo, vede le sue mancanze e i suoi delitti, avverte la distanza enorme tra la sua povera vita di pubblico delinquente, e quella piena di amore del Crocifisso, in procinto di offrire la propria vita per gli altri.

In Gesù, innocente nella vita e umiliato nella Crocifissione, il buon ladrone vede la “porta” – abbiamo sentito nel Vangelo Gesù stesso definirsi proprio così – per introdursi furtivamente a ultimissima ora, e recuperare, nel perdono di Gesù, una dignità del cuore e della persona, da tempo calpestate e distrutte.

Secondo i parametri umani, egli non meritava la salvezza – quanto male avrà commesso sino a quel giorno! – ma con una parola rivolta a Gesù dal profondo del cuore, “Ricordati di me! Pensa a me, quando sarai nel tuo Regno!”, entra per la porta, spaziosa e accogliente, del perdono e della salvezza, che è Gesù stesso.

Vedete come Gesù, sulla croce, non ha fatto la somma matematica delle buone e delle cattive azioni, come se il bene e il male avessero lo stesso valore. Che follia pensarlo!

Una sola goccia di desiderio di bene è in grado di far fiorire un terreno, direi un deserto essiccato dal male; la bontà, infatti, è sempre più forte e ha il peso della grazia divina, che la produce e la sostiene; a Dio importa solo che diventiamo capaci e sinceramente desiderosi di bene, per vivere quella vita buona secondo il Vangelo, che Gesù ha vissuto e ha donato a noi.

Fuor di metafora, quando il pentimento è sincero, il perdono di Dio accolto nel cuore, può cancellare anni di peccati accumulati. Tanto è grande la forza amorosa del perdono, sia quello umano, sia, a maggior ragione, quello che riceviamo da Dio, specialmente nel sacramento della confessione! Non dimentichiamo le parole dette, e tante volte ripetute, da Papa Francesco: Dio perdona sempre e perdona tutto! Il suo perdono è l’àncora di salvezza, la sola àncora di salvezza!

Un pensiero al riguardo desidero rivolgere ai sacerdoti, ministri della misericordia divina, chiamati a essere strumenti di Dio nell’elargire il perdono; i fedeli sanno che «nel sacramento della Riconciliazione Dio manda un fratello a portare il perdono, la sicurezza del perdono, a nome della Chiesa», ha ricordato Papa Francesco (Udienza Generale del 20 novembre 2013) e, pertanto, occorre che noi sacerdoti torniamo al confessionale, dedichiamo a questo ministero un tempo abbondante, sia per le nostre necessità spirituali, sia per quelle dei fratelli che ci sono affidati. Come sacerdoti, siamo investiti di una speciale responsabilità e depositari di un dono grande da portare ai nostri fratelli!

Se il perdono diventasse la forza che fa muovere il mondo! Papa Francesco sin dall’inizio del suo ministero petrino ha invitato a una conversione alla Misericordia. Il male avrebbe sempre la peggio, anche qui su questa Terra e le sofferte periferie, che a volte vediamo intorno a noi, nelle nostre città e nelle contrade dei nostri paesi, sarebbero pian piano trasformate in oasi di pace, di fraternità e di umana convivenza.

Anche qui, in questa Città ancora, purtroppo, segnata dalle devastazioni del terremoto, possiamo, così, parlare di bellezza, quella vera, che non risiede solamente in edifici e in cose materiali. Una città è prima di tutto la comunità dei suoi abitanti, le loro relazioni, la loro solidarietà e la loro capacità di umanizzare l’ambiente in cui vivono. La vera bellezza di una città è la sua gente – ecco di nuovo l’ecologia integrale – quando ha il cuore buono, gioioso, capace di accoglienza e perdono, e di cristiana solidarietà!

Cari amici, ci fa bene al cuore, in questa storica giornata aquilana della Perdonanza di San Celestino, pensare con gratitudine alla divina Misericordia e a quanto Dio ci vuole bene e ci vuole amici suoi, lieti di condividere con Lui, in abito nuziale, come dice la parabola del Vangelo, la sua mensa, la sua presenza e il suo sguardo, che ci scruta il cuore e ci invita a rimanere con Lui, nella sua carità e nella sua sequela. Siamo infatti, in ogni istante della nostra vita, invitati, gratuitamente, alla sua mensa e alla sua compagnia, come i figli che siamo, in verità.

Chiediamo allora al Signore che ci aiuti a partecipare, con umiltà e disponibilità interiore, a questa storica Perdonanza, e ci prepari a chiedere e a ricevere il Suo dono d’amore, per la crescita spirituale, personale e di questa comunità, e per essere a nostra volta capaci di diffondere intorno a noi misericordia e perdono, seguendo gli inviti e l’esempio costante di Papa Francesco. Amen.

 

 


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