Petrolio e dintorni. Il caso Ombrina Mare

Fabrizia Arduini risponde

20 Febbraio 2010   00:35  

Qualche tempo fa una nota compagnia petrolifera interessata alla ricerca e alla coltivazione di idrocarburi nella Regione Verde, definì il popolo abruzzese come “mansueto”, e pertanto non particolarmente ostico all’insediamento di attività estrattive ad alto impatto ambientale all’interno del proprio territorio.

Il caso Ombrina Mare prova il contrario, e dimostra come oltre al riso di chi si crogiola nel dolore e nella disgrazia altrui, esista anche il sorriso di quanti sognano di partecipare e promuovere l’altrui benessere, senza fini politici o intenti economici, ma semplicemente per quella cosa semplice e misteriosa chiamata amore, amore per la propria terra e per gli esseri che la abitano.

E se la parola amore vi sembra esagerata, sdolcinata o fuori luogo, aspettate di leggere l’intervista a Fabrizia Arduini, nota esponente del Coordinamento per la Tutela della Costa Teatina nonché strenua collaboratrice del Wwf. Vi sorprenderà, come una favola luminosa nella notte scura di un Abruzzo ancora in lutto, e ancora molto, molto arrabbiato.

 

INTERVISTA A FABRIZIA ARDUINI

 

Ciao Fabrizia, in cosa consiste il progetto Ombrina Mare e perché molti abruzzesi lo temono?

“In realtà si tratta di un vecchio pozzo Eni che affonda nella storia della Costa Teatina, con la differenza che oggi è la Medoilgas a proporsi per la ricerca e l’estrazione di petrolio in quella porzione di mare. È un progetto molto complesso  che prevede la costruzione di tre diverse strutture petrolifere. La prima consisterebbe in una piattaforma mobile tipo Galloway -come quella che stazionò nel 2008 tra Ortona e S.Vito- volta alla perforazione di circa 6 pozzi in un arco di tempo che va dai 6 ai 9 mesi. Effettuate le perforazioni l’impianto dovrebbe poi lasciare il posto ad una piattaforma fissa destinata a funzionare per la bellezza di 24 anni. La terza e più inquietante struttura dovrebbe invece sorgere ad una distanza di 4 chilometri dall’impianto fisso: una sorta di enorme barcone lungo 350 metri, il cui acronimo è FPSO,  che sta per Floating Production Storage and Offloading, un sistema flottante di produzione, stoccaggio e  scarico di petrolio”.

Si tratta di una zona che oltre ad essere intensamente abitata è anche ricca di riserve naturali e aree protette …

“Esattamente. Come recita lo stesso progetto della Medoil, il punto più vicino alla piattaforma è la nota spiaggia La Foce di Rocca San Giovanni, situata a ridosso della riserva del Fosso delle Farfalle, nei pressi di San Vito. La proposta di legge Febbo sulla concessione edilizia per la piattaforma fissa è stata pensata anche in base a tale consapevolezza”.

Se Ombrina Mare andasse in porto, non sarebbe certo il primo impianto petrolifero realizzato lungo le nostre coste. Cosa avrebbe di tanto diverso dalle strutture già esistenti?

“La piattaforma fissa e le funzioni svolte dall’ FPSO sono di gran lunga più impattanti degli impianti ad oggi utilizzati in Abruzzo e nel resto d’Italia. Questo sarebbe il primo sistema flottante dell’Adriatico, una realtà altamente inquinante, la cui attivazione è stata recentemente rifiutata persino in una terra del petrolio come il Texas. Il “gas dolce” coltivato da Ombrina verrebbe direttamente inviato al centro Santo Stefano Mare, dove già sono presenti tutte le tubature di collegamento. Per la desolforazione e lo stoccaggio si era inizialmente fatto riferimento al Centro oli di Miglianico, poi decaduto grazie alla pressione dei cittadini e delle associazioni ambientaliste sui Governi regionale e nazionale ”.

Dove avverrebbero quindi desolforazione e stoccaggio, e con quali conseguenze ambientali?

“Le operazioni avrebbero luogo in mare. Se il Centro oli di Miglianico ha creato paure e malumori per la tonnellata di rifiuti giornalieri che il suo funzionamento avrebbe prodotto, si può immaginare il clima di preoccupazione che nasce intorno al termodistruttore del sistema flottante, una sorta di inceneritore capace di immettere in atmosfera qualcosa come 14 tonnellate di inquinanti al giorno, tra i quali H2S (Idrogeno Solforato), la cui pericolosità è paragonata al cianuro, gli NMHC (idrocarburi non metanici), che l'OMS ha classificato come inequivocabilmente cancerogeni (e pertanto non  collegabili ad una soglia minima al di sotto della quale non si riscontrino effetti apprezzabili sulla salute), gli ossidi di zolfo e di azoto, responsabili delle piogge acide, etc... Se a tali inquinanti aggiungiamo i fanghi perforanti prodotti dalle piattaforme, e le 184 tonnellate quotidiane di fumi derivanti dai motori necessari al funzionamento del gigantesco serbatoio galleggiante (FPSO) il quadro si compie”.

Un bel problema per cittadini e turisti.

“Le due strutture di Ombrina, e quella di Santo Stefano Mare di fronte a Casalbordino, sarebbero collegate da una serie di tubazioni sottomarine, quindi un tratto abbastanza esteso di mare sarebbe precluso a tutta una serie di attività, comprese la balneazione e la pesca.”

Questa volta però gli abruzzesi hanno reagito per tempo, tempestando di denunce, petizioni e dossier scientifici i Ministeri di Ambiente e Pesca. Ci racconti com’è andata?

“Maria Rita D’Orsogna, portavoce del gruppo antipetrolio di Emergenza Ambiente Abruzzo, ha sensibilizzato molte persone circa l’impatto ambientale che attività di estrazione e ricerca di idrocarburi hanno sul nostro territorio. Per Ombrina Mare è giunta a raccogliere l’impegno di oltre 170 enti,  tra associazioni, Comuni e liberi cittadini, compresa la Provincia di Chieti.  La ricercatrice ha dato vita ad un vero e proprio pool di esperti, tra i quali avvocati, docenti universitari, ingegneri, tutti in difesa della Regione e delle sue peculiarità geofisiche, paesaggistiche, gastronomiche etc. Mai prima d’ora il Ministero dell’Ambiente era stato sommerso di così tante osservazioni, lettere, testimonianze, raccolte di firme”.

Quanto conta l’adesione del cittadino in campagne come questa?

“Più di uno studio scientificamente perfetto sui possibili disastri ambientali che Ombrina potrebbe arrecare all’Abruzzo. In uno studio conoscitivo per verificare le potenzialità di un investimento petrolifero in Regione, la Petroceltic ci definì un popolo “mansueto”, e pertanto non ostile all’insediamento di pozzi e raffinerie. Si sbagliava. Altre urgenze, sociali ed economiche, hanno portato gli abruzzesi a considerare la difesa dell’ambiente come un lusso che non potevano permettersi. L’abruzzese è –forse l’ha dimenticato- un amante dell’ambiente. Anche se non esterna questo sentimento, relegandolo in un angolo nascosto del proprio essere, l’abruzzese ama la propria terra.”.

 

 

 

 

 

Giovanna Di Carlo

 

 

 


 

 

 


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