#Referendum #Brexit: 60 britannici chiedono la cittadinanza italiana #Ue #Gb #Juncker

Tra incognite e timori, tutto quello che c'è da sapere

28 Giugno 2016   12:25  

In un clima da 'si salvi chi puo', dal giorno del risultato del referendum sulla Brexit oltre 60 cittadini britannici hanno chiesto ai consolati di Londra ed Edimburgo come ottenere il prima possibile la cittadinanza italiana: lo fanno sapere all'Agi fonti diplomatiche, che spiegano come molte di queste persone abbiano lontani parenti italiani e, in virtu' di questo fatto, stiano ora cercando di ottenere da Roma il passaporto.

La preoccupazione principale di coloro che fanno domanda di cittadinanza italiana e' infatti quella di non essere piu' cittadini comunitari, venendo a perdere cosi' molti benefici derivanti dall'abitare in un paese appartenente all'Unione europea.

Le domande di cittadinanza, stando alla reazione dei consolati, hanno veramente sopreso le autorita'.

Diverse persone hanno chiesto direttamente ai consolati quali siano i documenti da presentare, anche con una certa urgenza.

Si stima che nei prossimi giorni il numero delle domande di questo tipo, assai rare fino al voto per la Brexit, sia destinato ad aumentare.

 

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Ci saranno contraccolpi sul fisco. Uk perde convenienza

Le aliquote basse sui redditi delle società, ora al 20%, potrebbero non bastare più a rendere conveniente il fisco britannico. L'uscita dall'Ue del Regno Unito pone il Paese fuori dalle regole europee, che prevedono meccanismi di semplificazione burocratica sull'Iva e, per le multinazionali, un alleggerimento del prelievo per le royalties e per i dividendi. T

Trasferirsi a Londra non sarà sempre vantaggioso e qualche ombra si affaccia sul futuro. L'incertezza fiscale creata dalla scelta del referendum potrebbe portare alcune multinazionali a trasferire la sede altrove e - questo è uno dei temi sul tavolo degli studi dei tributaristi internazionali - alla fine il governo britannico si potrebbe trovar costretto a coprire la 'falla' di gettito ritoccando, ovviamente all'insù, le aliquote richieste.

Il Regno Unito è un Paese che, pur non essendo certamente paragonabile ad un paradiso fiscale, applica comunque una fiscalità privilegiata, in particolare per le grandi multinazionali e per la finanza. Ma fino ad oggi il Paese, rientrando nell'Ue, applica le direttive europee.

Il caso più vistoso è la normativa sulle società ''madri-figlie'' che ora prevede l'esenzione delle società madri e consente, in sostanza, di non pagare la ritenuta fiscale se la società figlia distribuisce il dividendo nel Regno Unito. Lo stesso vale per l'esenzione da ritenuta su interessi e royalties. Presto potrebbe invece scattare una trattenuta di almeno il 5% sui dividendi, all'8% sulle royalties e al 10% sugli interessi così come previsto dalla convenzione tra Italia e la Gran Bretagna.

Ma non basta. Perdono il regime di ''neutralità'' le operazioni di riorganizzazione aziendale, come le fusioni. Chiaro che sarà necessario riavviare un confronto per una nuova convenzione fiscale tra i due Paesi, ma i tempi potrebbero essere lunghi. Nel frattempo l'impatto c'è anche sul fronte degli adempimenti, ad esempio in campo Iva, che è l'imposta comunitaria per eccellenza.

Oggi esportazioni e importazioni seguono regole europee, con l' autofatturazione prevista per gli acquisti intracomunitari e la tassazione al consumo come se non ci fossero confini. In futuro le merci dovranno essere dichiarate in bolletta doganale, come se fosse una cessione extra-Ue. L'impatto c'e' anche per le tasse sul fronte della finanza. Il prestito da parte di una banca inglese, ad esempio, fino ad oggi non paga la ritenuta prevista per legge (il 12,5%). Ma è un privilegio riservato solo agli stati dell'Ue e - dopo la scelta del referendum - è chiaro che non sarà più così.


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