Se la ricostruzione diventa un lusso: il caso del quartiere Banca d'Italia

23 Luglio 2012   15:15  

A favore di chi sarà ricostruita L'Aquila, intorno cui si vagheggia e si magnifica, a cantieri ancora fermi, un futuro da smart city, da capitale europea della cultura, da perla hi-tech e medioevale degli Appennini? La domanda comincia ad avere un senso, a quasi tre anni e mezzo dal terremoto, ascoltando ad esempio la storia della famiglia della signora Luisa, figlio disoccupato, appartenente alla classe media impoverita dallo spread e dalla spending review, sfollata al progetto C.A.S.E. di Assergi, alle pendici del Gran Sasso, a decine chilometri dalla sua casa inagibile del quartiere di proprietà della Banca d'Italia, circa cento appartamenti in palazzine di mattoncini ai confini della zona rossa a dai suoi silenziosi ruderi.

E' un quartiere che ha rappresentato, all'indomani del sisma, una luce di speranza, uno dei pochi, per una veloce ricostruzione.

La Banca d'Italia ha infatti riavviato subito i cantieri, e prima di natale è previsto il taglio del nastro per festeggiare la ristrutturazione anche della palazzina dove ha l'appartamento la signora Luisa. Ma non sarà per lei un bel giorno.

'' Vivevamo in quell'appartamento da vent'anni – spiega Luisa - e sempre in affitto. Prima del sisma pagavo 500 al mese, un canone relativamente basso. Dopo il terremoto però, la Banca d'Italia, nel rinnovarci il contratto, ha deciso di alzare il canone fino a 850 euro, soldi che io non ho. E lo stesso è capitato ad altre decine di sfollati, tra cui molti pensionati, che dovranno far fronte ad aumenti in media del 70 per cento.''

Oltre al salasso la surreale beffa: chi non sottoscriverà il nuovo contratto, perderà anche il diritto di rimanere al progetto C.A.S.E., riservato ai proprietari e appunto agli affittuari di case gravemente danneggiate o imprigionate nelle zone rosse. 

''Siamo andati a protestare al Comune – racconta Luisa - e gli abbiamo proposto di farci almeno rimanere al progetto C.A.S.E. pagando ovviamente un affitto. E pazienza se resterò qui ad Assergi, se la casa è piccola, se c'è il nulla intorno e non tornerò a vivere nella mia città''

Ma il Comune ha risposto che ha le mani legate: le ordinanze commissariali in vigore vietano di affittare gli appartamenti del progetto C.A.S.E.. Inoltre non ci sono soldi per aiutare i terremotati indigenti  a pagare un canone per una delle poche case agibili in città affittate a prezzi sempre più alti.

Infine i quasi 700 appartamenti delle case popolari, che potevano essere utilizzati proprio per casi di emergenza abitativa come questi, sono ancora nelle condizioni dell'aprile 2009, ovvero inagibili e in molti casi ruderi pericolanti. 

Il sindaco non ha potuto far altro che inviare un appello al direttore della Banca d'Italia Fabrizio Saccomanni: ''Non si capisce – si legge nell'accorata missiva - come mai questi appartamenti debbano subire aumenti così pesanti. La Banca d'Italia dovrebbe piuttosto aiutarci a calmierare i prezzi, in questo momento di grave difficoltà economica, ben sapendo che a L'Aquila la situazione e' ancora più drammatica che nel resto del Paese''

La Banca ai diretti interessati andati a chiedere spiegazione nella bella sede sul corso principale della città, uno dei pochi palazzi del centro storico ristrutturati e riaperti in tempo record, ha risposto in soldoni che quegli appartamenti sono proprietà privata, ricostruiti con fondi propri, dunque non vale l'ordinanza che impone di riaffittare, avvenuta la ristrutturazione con i soldi dei contribuenti e dei donatori, alle stesse condizioni pre-sisma. E gli aumenti rientrano in una politica di valorizzazione e messa a profitto del patrimonio immobiliare nell'intero paese. Nessun accanimento contro i terremotati aquilani, insomma. Tutto regolare, normali leggi del mercato. Anche la Banca d'Italia deve far fronte alla crisi. I terremotati che rischiano a natale di non ritrovarsi un tetto sulla testa, se ne facciano una ragione.

Filippo Tronca



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