Stop alle "Botte per Educare", per la Cassazione è Reato anche sui Propri figli

15 Luglio 2015   05:00  

Non si educano i figli a suon di schiaffi, quando va bene.

Le botte non sono un correttivo accettabile.

Lo ricorda ai genitori troppo maneschi la Corte di Cassazione con una sentenza della Sesta sezione penale nella quale intima lo stop a metodi violenti a scopo educativo.

"L'eccesso di mezzi di correzione violenti - scrive il relatore Stefano Mogini - concretizza il reato di maltrattamenti in famiglia e non rientra nella fattispecie" punita in base all'art. 571 c.p. che sanziona l'abuso dei mezzi di correzione "neppure ove sostenuto da 'animus corrigendi' poichè l'intenzione soggettiva non è idonea a fare rientrare nella fattispecie meno grave una condotta oggettiva di abituali maltrattamenti, consistenti in continue umiliazioni, rimproveri anche per futili motivi, offese e minacce, violenze fisiche".

A fare scendere in campo in modo perentorio i giudici di piazza Cavour, il caso di un padre ultracinquantenne di Pordenone condannato dalla Corte d'appello di Trieste (febbraio 2014) ad un anno e otto mesi di reclusione per i reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate in danno del figlio minorenne. Inutile il ricorso dell'uomo in Cassazione volto ad attutire la sua posizione (abuso dei mezzi di correzione anzichè il reato di più grave di malrattamenti) sulla base che, a detta della difesa, la sua condotta era volta "unicamente all'esercizio, pur se in ipotesi eccessivo, dello 'ius corrigendi'" e quindi avrebbe dovuto tutt'al più essere sanzionata in maniera più lieve.

Bocciata la tesi difensiva del padre manesco dalla Corte che nel dettaglio ha scritto che "il termine correzione va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo e non può ritenersi tale l'uso abituale della violenza a scopi educativi, sia per il primato che l'ordinamento attribuisce alla dignità delle persone, anche del minore, ormai soggetto titolare di specifici diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione, sia perchè non può perseguirsi quale meta educativa lo sviluppo armonico della personalità usando un mezzo violento che tale fine contraddice".

La sentenza registra fra l'altro che il padre del minorenne era stato sollecitato dal servizio sociale a modificare i suoi metodi che provocavano "sofferenza psichica" al bambino.


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