Suicidi in carcere, piano prevenzione siglato tra Asl Teramo e la Casa circondariale di Castrogno

28 Marzo 2017   13:16  

Stamattina, il direttore generale della Asl di Teramo Roberto Fagnano e il direttore del locale istituto penitenziario Stefano Liberatore, hanno firmato il "Piano Locale Operativo di pronto intervento e di prevenzione del rischio autolesivo e suicidario dei detenuti" con il quale vengono definite le modalita' di collaborazione reciproche, tra Asl e Casa Circondariale, per disciplinare aspetti e procedure di prevenzione dei suicidi in carcere.

Nell'ambito di un approccio in continua evoluzione finalizzato al "benessere" dei detenuti che mira a garantire la tutela della salute e il loro recupero sociale, e' fondamentale l'interazione tra la direzione del carcere e la Asl cui, dal 2008, e' stata trasferita la competenza in materia di salute dei detenuti.

Dal 2008, infatti, la Asl di Teramo gestisce il presidio sanitario della Casa Circondariale attraverso una specifica Unita' Operativa, diretta dal dr. Massimo Forlini, che consta di un Servizio di attivita' assistenziale continuativa con medici, infermieri, psicologi e altre figure, attrezzato di ambulatori polispecialistici (radiologia, ecografia, odontoiatria, ecc.).

Inoltre, poiche' l'istituto penitenziario e' dotato di sezione femminile e di nido per bimbi fino a tre anni di eta' (unico in Abruzzo), l'assistenza sanitaria e' rivolta anche alle specificita' di donne e bambini, con specialita' mediche loro dedicate (ginecologia e pediatria).

Con questo accordo a firma congiunta, di fatto viene regolamentato e potenziato il servizio multidisciplinare di pronto intervento e prevenzione del rischio di suicidio, nonche' di auto ed etero aggressione, che e' teso - fin dalle prime fasi della detenzione - ad affiancare il concetto di "sorveglianza" a quello di "sostegno", nell'ottica gia' definita in precedenza.

Uno staff multidisciplinare, dunque, composto non solo da personale sanitario, ma anche da personale della direzione dell'istituto (direttore, comandante, responsabili dei Reparti detentivi, funzionari giuridico/pedagogici, ecc.) che potra' essere altresi' integrato, all'occorrenza, da altre figure (ad esempio, i mediatori culturali), prendera' in carico tutti i soggetti che manifestino i sintomi di un intento autolesionistico e/o suicidario. Ma come si individuano i soggetti a rischio suicidio all'interno del carcere? Sta proprio qui, la difficolta'. Come riuscire a identificare le persone piu' vulnerabili, le circostanze nelle quali questa vulnerabilita' per lo piu' si manifesta, per poter intervenire efficacemente?

Esiste un ampio numero di fattori che, interagendo tra loro, conferiscono all'individuo un rischio elevato di suicidio, ed e' per questo che - gia' dall'ingresso in carcere - gli psicologi della Asl somministrano a tutti i detenuti un test, specificamente articolato, che mira a rilevare questi fattori e a riconoscere i soggetti piu' fragili, da tenere maggiormente sotto osservazione.

Le procedure di screening, seppur importanti, rappresentano pero' solo una parte di un programma di prevenzione del suicidio nelle carceri. Lo screening, per esempio, non e' in grado di prevedere quando un tentativo avverra' o quali ne saranno i fattori determinanti, caso per caso. Per essere efficace, la prevenzione del suicidio deve implicare valutazioni regolari nel tempo, ma e' fondamentale che non solo il personale sanitario, ma tutto lo staff, sia addestrato a vigilare sul detenuto per tutta la durata della sua incarcerazione.

Uno dei punti salienti dell'accordo firmato oggi dalla Asl e dalla Casa Circondariale, sta proprio nella previsione del ricorso anche a specifiche figure di detenuti, denominati "care givers".

Saranno, cosi', alcuni tra gli stessi reclusi, appositamente formati e qualificati dalla Asl, a svolgere l'attivita' di "cura", intesa come il prestare attenzione cosi' come farebbe un familiare, a quei soggetti, tassativamente segnalati dal medico, che ne abbiano dimostrato il bisogno.

La firma di questo "piano operativo" non e' solo la mera indicazione del "chi fa cosa", ma e' soprattutto un impegno a sostituire le tradizionali attivita' di sorveglianza con nuove attivita' di sostegno per intervenire sul disagio individuale, ascoltando, assistendo ed aiutando i detenuti, con lo scopo di restituire loro serenita', dignita' e salute. 


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