#2Giugno "Festa Di Tutti", 70 Anni Della #Repubblica ..e Del Voto Alle Donne #emptyquirinale

Quirinale illumina il Torrino e apre la Porta a Instagram

02 Giugno 2016   03:00  

In 25 milioni si misero in fila, emozionati e in paziente attesa, davanti ai seggi elettorali per esprimere il proprio voto e decidere sull’assetto istituzionale e sul futuro dell’Italia.

Sono passati 70 anni dal referendum del 2 giugno 1946 che sancì la nascita della Repubblica, e che fu il primo appuntamento – se si escludono le amministrative del 10 marzo dello stesso anno – in cui le donne esercitavano il diritto al suffragio.

Una doppia ricorrenza che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, attraverso la Struttura di Missione per gli anniversari guidata dal Sottosegretario Luca Lotti, celebra come “La Festa di Tutti”.

E' stata una decisione su cui non si puo' tornare, la forma repubblicana dello Stato non puo' essere oggetto di revisione costituzionale. Lo stabilisce la Carta, ed e' l'unico argomento riguardo al quale i padri costituenti non ammisero nemmeno la piu' remota eventualita' di riaprire il dibattito. Mai e poi mai: dopo il referendum del 2 giugno 1946 la monarchia non puo' tornare.

Tanta severita', che per decenni si e' tradotta anche nel divieto di rientro nel Paese degli eredi maschi di casa Savoia, ha una sua ben precisa spiegazione.

Questa: il Paese non e' piu', dopo il 1945, quello scaturito dal Risorgimento, ma anche e soprattutto quello nato dalle ceneri della guerra, consumatesi in un giorno di tremendo sbandamento - era l'8 settembre 1943 - ben rappresentato dalla fuga di Vittorio Emanuele III di Savoia. Dagli ozi ventennali al Quirinale verso l'isolamento di Salerno. Fuggire lasciando l'esercito senza ordini, ed il Paese senza una guida.

Fu cosi' che la casa che Umberto Biancamano costrui' divenne la casa che addosso a Umberto II crollo'. Re per il solo mese di maggio, chiuse con dignita' ma anche poca gloria una storia dinastica durata mille anni, segnata peraltro anche da pagine di assoluto fulgore. Un Savoia era quell'Emanuele Filiberto detto Testa di Ferro che, nella giornata di San Quintino, umilio' i francesi del Montmorency dando agli Asburgo la vittoria definitiva in quella guerra quarantennale che li aveva opposti, nei campi di tutta Europa, ai Valois. Sangue Savoia aveva anche quel Marcantonio II Colonna cui la cristianita' deve la vittoria piu' grande nel momento del piu' grande pericolo, quando mando' a fondo le galere ottomane concentrate nelle acque di Lepanto.

La fine di una dinastia durata 1000 anni 

Nobilta' vera, a 18 carati, che trovo' la sua apoteosi in una notte di dicembre in cui Vittorio Emanuele II, giunto da poche ore da Firenze, pote' affacciarsi a salutare una piccola folla che si era adunata sotto le finestre del Quirinale. Roma era sconvolta da una delle piu' tremende piene del Tevere di tutta la sua storia. I Savoia accorsero vicino ad un popolo divenuto loro suddito appena da due mesi, ed acquistarono cosi' grande seguito. Ma tanto credito, nel corso degli anni, non venne per niente capitalizzato, o almeno mantenuto.

Accanto ad una grande tradizione militare, infatti, i Savoia conservano anche una meno nobile abitudine. "He is a ditherer", scriveva proprio di Vittorio Emanuele II il ministro inglese a Torino prima del 1861, "E' un indeciso". E dire indeciso di qualcuno, per un inglese dell'Ottocento, era insulto che implicava la piu' assoluta disistima (ben diverso era infatti il giudizio su Cavour).

Ma ci si poteva aspettare qualcosa di diverso dal successore di un sovrano come Carlo Alberto, passato alle cronache con il nomignolo di "Re Tentenna" affibbiatogli dagli scalpitanti campioni della Carboneria? No, di questione di sangue si tratta, e la voce indecisa del sangue alla fine porto' il nipote ed omonimo del primo re d'Italia a mostrarsi per lo meno irresoluto nei confronti degli obbrobri del fascismo.

Il primo tra tutti fu l'avallo delle leggi razziali, sicuro, ma in realta' l'elenco e' lungo, a partire dall'aver tollerato la nascita del regime, l'eliminazione delle liberta' parlamentari, infine la repressione di ogni dissenso politico. Olio di ricino e manganello contro i crani refrattari alla Piero Gobetti, mentre Sua Maesta' non interviene.

Storici molto quotati sostengono con ottime ragioni che in realta' il rapporto tra Mussolini e Vittorio Emanuele III fosse ben piu' complesso della semplice sudditanza, perche' in realta' il sovrano alla guerra, ad esempio, era ben contrario. Ma lo stesso sovrano aveva accettato l'investitura dalle mani del Duce condottiero dell'Impero d'Etiopia, e da quel momento appariva ormai irrimediabilmente colluso con il Ventennio.

Politica e ricerca storica spesso seguono ragioni e logiche diverse, e non si puo' pretendere che, al momento di votare nel 1946, si andasse troppo per il sottile.

Tanto piu' che i partiti antifascisti, nuove centralita' emerse dall'opposizione al regime e dalla Resistenza, erano quasi tutti schierati in blocco contro i Savoia. Unica eccezione la Democrazia Cristiana, che alla fine dette liberta' di coscienza ai propri elettori. Verrebbe da dire: da una dinastia di indecisi al partito dell'indecisione. In realta' De Gasperi, cui il fiuto politico non mancava di certo, non aveva ne' voglia ne' intenzione di creare una frattura all'interno di una compagine che si preparava non tanto a governare la nuova Italia, quanto ad impersonificarla.

Evitando una frattura che avrebbe bloccato la crescita della Dc pose le basi per il futuro e venne premiato la sera stessa del referendum. Non solo per la sconfitta dei Savoia (lui non volle mai dire per chi aveva votato, ma era tra le vittime dell'attenzione del fascismo e dell'indifferenza reale), quanto semmai per gli esiti delle elezioni della Assemblea Costituente, che si erano svolte nello stesso momento.

Questi i risultati della consultazione del primo vero organo parlamentare dopo un silenzio durato quattro lustri: Dc 35 percento e 207 seggi su 255; Psiup 20 percento e 115 seggi, Pci 19 e 104 seggi, tutti gli altri a seguire. Erano definitivamente nati i partiti di massa, e tra le masse spiccava quella femminile: per la prima volta si era votato a suffragio universale. Un benvenuto all'altra meta' d'Italia.

Gli esiti del referendum istituzionale, invece, vennero poco regalmente contestati fin da subito dai monarchici, e la leggenda nera dei brogli continua ad avere i suoi estimatori a 70 anni di distanza, alimentata da quella propensione alla dietrologia che gia' Manzoni indicava tra le caratteristiche negative del nostro carattere nazionale. A conti fatti la Repubblica ebbe il 54,3 percento dei suffragi, la Monarchia il 45,7. Quando la Cassazione lo annuncio', Umberto II fece sapere che per lui la maggioranza da calcolare non era sui voti espressi, ma sugli aventi diritto.

Quindi, nessuna vittoria per i repubblicani. C'e' da perdonargli tanta ignoranza delle regole democratiche: in fondo l'Italia dei Savoia si era di fatto fermata, dal punto di vista elettorale, ai tempi della Legge Acerbo. Per svelenire il clima e' necessaria a questo punto una parentesi di carattere cinematografico: alla sera della proclamazione dei risultati del 2 Giugno e' dedicata una delle piu' riuscite performance di Alberto Sordi, affiancato per l'occasione da una affascinante Lea Massari. Il film e' "Una vita difficile", una piccola perla consegnata alle sale italiane da Dino Risi nel 1961. Si trova tutto su Youtube.

Il duello tra il discendente di Testa di Ferro e il figlio della guardia municipale di Trento duro' diversi giorni, fino a quando De Gasperi, che nel frattempo aveva assunto i poteri temporanei di Capo dello Stato, disse a Umberto che, a continuar cosi', "entro stasera uno di noi due sara' a Regina Coeli". Era chiaro che l'arrestando non sarebbe stato lui. Il giorno dopo Umberto saliva su un volo privato per Cascais.

La nuova Italia quel giorno si affaccio' alla Storia simboleggiata da una bellissima ragazza mora, antesignana di un Neorealismo prossimo ad esplodere nei cinema, che alza sopra la testa l'annuncio della nascita della Repubblica urlato su nove colonne dal Corriere della Sera.

Gioia di un giorno in mezzo a tempi duri: ci sarebbero voluti diversi anni per ricostruire il Paese. Nel frattempo l'Assemblea Costituente stendeva la Carta che sarebbe entrata in vigore nel 1948, senza bisogno di alcun referendum confermativo.

Di quegli anni Giorgio Napolitano ha ricordato recentemente l'aspro insorgere della Guerra Fredda e l'incipiente scontro tra i blocchi e tra i partiti italiani.

Oscar Luigi Scalfaro, che della Costituente era stato parte, aveva un ricordo ben diverso: "Massima dialettica quando si trattava di amministrare il Paese, ma poi tutti insieme si scriveva la Costituzione".

Una Costituzione profondamente condivisa, che in molti oggi amano definire "la piu' bella del mondo". Chissa' se lo e' davvero. Di sicuro ha il volto di una giovane donna dal sorriso radioso che agita una pagina di giornale su cui e' scritto, a caratteri di cassetta, "E' nata la Repubblica Italiana".

La Repubblica e' donna fin dal primo istante

"Il pieno riconoscimento dei diritti politici delle donne costituisce elemento fondativo della nostra Repubblica".

A dirlo. Lo scorso 8 marzo, e' stato Sergio Mattarella.

Si e' trattato del primo atto con cui le istituzioni hanno voluto ricordare che il suffragio universale, in Italia, e' nato insieme alla Repubblica e alla democrazia parlamentare, il 2 giugno 1946. Quel giorno per la scelta tra Monarchia e Repubblica la percentuale della partecipazione femminile al voto fu dell'89,1% delle aventi diritto, in maniera quasi uguale a quella degli uomini. Se si considera l'ostacolo anche culturale che si veniva abbattendo, si tratta di un risultato ancor piu' importante.

Tina Anselmi, grande protagonista della Resistenza e della Prima Repubblica, cosi' scrisse di quei giorni: "Le italiane, fin dalle prime elezioni, parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando vi a le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perche' non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne e' stato sempre un enigma per gli uomini. E tuttora vedo con dispiacere che per noi gli esami non sono ancora finiti. Come se essere maschio fosse un lasciapassare per la consapevolezza democratica".

Non era stato un cammino facile quello dei diritti politici delle donne in Italia e quello raggiunto nel 1946 non era un risultato scontato. All'inizio del '900 il movimento per il voto alle donne aveva avuto un sussulto con la comparsa sulla scena di personaggi come Anna Mozzoni e Maria Montessori e nel 1919, dopo la Grande Guerra, la Camera voto' a larga maggioranza la legge sul diritto di voto alle donne.

Ma la legge si areno' in Senato, e poi cambiarono i tempi: arrivo' la legge Acerbo che tolse i diritti anche agli uomini, figuriamoci a loro. Dopo la Liberazione u na prima presenza femminile si ebbe nella Consulta nazionale. L'assemblea non elettiva, composta dai esponenti dei partiti del Cln, il Comitato di liberazione nazionale, funse da parlamento tra il 1945 e il 2 giugno 1946 e vide la nomina di 13 donne su 460 membri. Il problema ormai era posto, e i principali partiti divenivano ogni giorno di piu' ben consapevoli che la democrazia non poteva sussistere senza l'apporto di oltre la meta' dei suoi cittadini.

A porre la questione in modo ufficiale fu l'Udi, l'Unione delle donne italiane, l'associazione di ispirazione socialcomunista che gia' nel 1944 aveva inviato al governo Bonomi una precisa richiesta. Sulla questione del voto fondamentali furono poi le parole di papa Pio XII che diede in un certo senso la sua 'benedizione' dopo che per lungo tempo la Chiesa di Roma aveva visto con terrore la possibilita' che le donne andassero a votare.

Quello dei cattolici e delle cattoliche era stato un avvicinamento a tappe. All'inizio del secolo alcune esponenti del mondo cattolico si espressero a favore del suffragio amministrativo, poi giunse il si' di don Luigi Sturzo nel 1917, quindi nel 1945 quello di Pio XII: perche' si difendesse la famiglia e la stabilita'. A non entusiasmarsi rispetto alla questione del suffragio femminile furono altri partiti rispetto alla Democrazia Cristiana: gli azionisti, i liberali e i repubblicani. I partiti di ispirazione liberale, in parte, sottolinearono lo scarso livello culturale delle donne e i limiti della loro coscienza politica.

Ma in fondo era un certo tipo di mondo che volgeva al tramonto, quello della democrazia liberale di stampo risorgimentale che aveva fatto il suo tempo, prosperando sul concetto di voto attivo e passivo in base al censo e, sia chiaro, solo a suffragio maschile. Ricorda ancora Mattarella: "Le elettrici, sin dalle amministrative del '46, e dal referendum del 2 giugno, parteciparono in massa al voto, smentendo i timori che affioravano nei gruppi dirigenti dei partiti di massa, e conferendo alla nostra democrazia una forza che e' stata poi decisiva per superare momenti difficili e minacce oscure". La Repubblica e' donnam insomma, fin dal primo istante.

 

Lo spot istituzionale “Festa della Repubblica - La Festa di tutti” - coprodotto con la Rai e trasmesso gratuitamente nella settimana dal 26 maggio al 2 giugno dai broadcast nazionali e digitali Rai, Mediaset, Sky, La7, MTV, Discovery e Tv2000 - vuole sensibilizzare il pubblico più vasto possibile, in particolar modo i ragazzi, al ricordo di una data tanto importante per il Paese. Nel video l’Orchestra Sinfonica della Rai si raccoglie in piazza del Quirinale per eseguire l’Inno di Mameli.

Le note richiamano i passanti e la curiosità negli occhi di giovani e adulti diventa gioia all’ascolto, mentre irrompono festose le Frecce Tricolore che tingono di bianco, rosso e verde il cielo sul Colle più alto di Roma.

E proprio la Capitale, con la consueta parata lungo i Fori imperiali - che quest’anno vedrà sfilare per la prima volta una rappresentanza di 400 sindaci italiani - resta il fulcro delle solenni manifestazioni nel ricordo delle vittime e dei caduti della seconda guerra mondiale previste per il 2 Giugno in ogni città.

 

Quirinale illumina il Torrino e apre la Porta a Instagram per il 2 giugno

L'effetto scenografico è sicuro: il punto più alto del Colle più alto di Roma illuminato a giorno di bianco rosso e verde.

Accadrà la sera del 2 giugno, all'imbrunire, per ricordare i 70 anni della scelta repubblicana compiuta con il referendum istituzionale del 1946. Ricorrenza tonda, particolarmente significativa visti i tempi, che la Presidenza della Repubblica celebra puntando i fari tricolori sul Torrino del Quirinale, vale a dire la guglia tardorinascimentale che svetta al di sopra del Cortile d'Onore.

E', per intenderci, la torre dotata di orologio e campana su cui normalmente sventolano le tre bandiere europea, nazionale e del Presidente.

I papi vi vollero uno splendido mosaico in cui una Madonna cinquecentesca si affaccia come da una finestra, tenendo un Cristo di pochi mesi in braccio, a salutare Roma e la corte.

Il 2 Giugno il Tricolore occuperà la facciata opposta, quella che dà sulla Città e sarà così visibile anche da lunga distanza. Si tratta della novità più evidente tra le molte che caratterizzano la ricorrenza di quest'anno, non l'unica.

I festeggiamenti si apriranno con un'altra novità, la mattina del 1 giugno: l'inaugurazione della ripristinata Porta Quirinale, all'angolo del Palazzo che dà verso il Palazzo della Consulta.

Un'opera di recupero anche filologico, dal momento che lì era locata la porta da cui si accedeva alla palazzina del Cardinal Carafa, nel Quattrocento, che poi è il nucleo storico dell'attuale palazzo.

La ripristinata porta, che si colloca in un settore del Quirinale che ha visto anche l'opera di Bernini, avrà lo scopo di regolare meglio l'accesso delle migliaia di visitatori che ogni anno visitano la Casa degli Italiani.

Seguirà nel pomeriggio un concerto dell'orchestra sinfonica nazionale della Rai, nel Salone dei Corazzieri, in cui canteranno tre solisti di tre generazioni diverse, Salvatore Accardo, Mario Brunello e Beatrice Rana.

Prima ancora del concerto, nella Piazza, il cambio della guardia solenne con lo sfilamento del Reggimento dei Corazzieri e la fanfara del IV Reggimento Carabinieri a cavallo.

Il 2 Giugno la tradizionale deposizione da parte di Sergio Mattarella di una corona di fiori all'Altare della Patria, e la presenza alla parata militare su via dei Fori Imperiali.

Proseguirà anche la ventennale consuetudine dell'apertura dei Giardini, cui si potrà accedere senza prenotazione dalle 15 alle 19.

Dopo un paio d'ore, quando sarà calata la sera, l'illuminazione del Torrino.

Non sarà però questo l'atto di chiusura della Festa della Repubblica, perché il 3 giugno sarà aperta al pubblico la mostra fotografica "2 Giugno 1946, la scelta degli italiani", a cura dell'agenzia Ansa.

Ripercorrerà la campagna elettorale referendaria, la giornata della decisione, la proclamazione del voto e i lavori dell'Assemblea Costituente che venne eletta in concomitanza con il referendum.

Saranno anche festeggiamenti social e informatici.

Parte infatti il nuovo sito ufficiale della Presidenza, dominato da una livrea blu che ricorda il colore della divisa degli staffieri.

Sarà lo strumento principale per le ricerche sull'attività del Presidente e del Palazzo, come anche per prenotare le visite. Chi non potrà venire di persona però avrà uno strumento in più, perché parte anche il progetto "Quirinale 3D VR", che permette la visita del piano nobile del Palazzo attraverso una visione tridimensionale.

Su Istagram, poi, saranno visibili infine gli scatti di alcuni specialisti della materia che si sono sguinzagliati nei tempi recenti attraverso i corridoi e le sale della Presidenza.

Per vederli ci si aiuti con l'ashtag #emptyquirinale, le sorprese sono assicurate.

Del resto questa è la dimensione della comunicazione futura, ed alla comunicazione social e di massa la Presidenza apre con un Instanmeet che si terrà proprio il 2 Giugno, in concomitanza con l'apertura dei Giardini.

Si potranno pubblicare le foto scattate con i propri smartphone su Istagram, questa volta con l'ashtag @openquirinale.

  

Mattarella, far vivere nel quotidiano principi della Repubblica

"La democrazia trova nella coesione sociale il rafforzamento delle proprie ragioni. Ogni sforzo collettivo per cogliere, sostenere e valorizzare i segnali positivi per il rilancio del sistema produttivo e ogni opportunita' di occupazione e di crescita sociale, va incoraggiato". Lo ha detto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in occasione della Festa della Repubblica, ha inviato un messaggio ai Prefetti d'Italia, affinché se ne facciano interpreti nelle iniziative promosse a livello locale nella ricorrenza del 2 giugno. Fondamentale, per il capo dello Stato, e' "far vivere nel quotidiano i principi e i valori che sono alla base del patto di cittadinanza repubblicana"

P.a., migranti e i valori della Festa della Repubblica
Poi un passaggio sulle pubbliche amministrazioni: "La spinta in questa direzione, accelerando l'innovazione e rendendo piu' agevole l'accesso ai servizi, piu' snelle le procedure e piu' semplici gli adempimenti, e' preziosa e non puo' essere frenata da dannose frammentazioni di compiti e funzioni, da sovrapposizioni di competenze e da inefficienze nell'utilizzo delle risorse". Ai Prefetti, dice ancora il Capo dello Stato, "compete di favorire in ogni modo la cooperazione fra istituzioni, quale condizione essenziale per superare situazioni di stallo, contrasti e divaricazioni di interessi pubblici, percepiti dai cittadini come una dialettica sterile, che ritarda e spesso vanifica la decisione finale". Occorre farsi carico in concreto dei bisogni e delle aspettative dei cittadini e garantire l'effettivo esercizio dei loro diritti. Si tratta di un impegno quotidiano che, nelle aree metropolitane come nei comuni piu' piccoli, deve convergere dove maggiori sono le disuguaglianze e le ingiustizie sociali, con attenzione al disagio dei piu' giovani e dei piu' anziani. In quest'ottica, utile e' l'azione di supporto alle scuole per le iniziative, anche fuori dall'orario di lezione, di contrasto all'abbandono scolastico e alla esclusione sociale". 
"Nella gestione dei continui flussi di persone in fuga da guerre, persecuzioni e poverta' spetta ai Prefetti un ruolo essenziale per coordinare le attivita' di primo soccorso e di assistenza, per garantire condizioni generali di sicurezza e di rispetto della dignita' umana, per favorire la sistemazione piu' adeguata nelle diverse realta' - ha osservato - grazie aduna attenta opera di mediazione si stanno realizzando, sulla base di accordi con enti locali e associazioni di volontariato, positive esperienze di accoglienza e di inclusione, con l'inserimento dei profughi anche in progetti di utilita' sociale", ha sottolineato Mattarella.
E sui valori intrinsechi alla Festa della Repubblica: "Cari Prefetti, nell'anniversario dei settanta anni della scelta repubblicana, mi e' grato rivolgere, per il vostro tramite, un saluto a quanti sul territorio svolgono pubbliche funzioni. La democrazia trova nella coesione sociale il rafforzamento delle proprie ragioni. Ogni sforzo collettivo per cogliere, sostenere e valorizzare i segnali positivi per il rilancio del sistema produttivo e ogni opportunita' di occupazione e di crescita sociale, va incoraggiato". "Operare con determinazione per l'affermazione dei principi di liberta' nella sicurezza e la coesione delle nostre comunita', per il buon funzionamento della macchina pubblica e a garanzia dei servizi essenziali, significa far vivere nel quotidiano i principi e i valori che sono alla base del patto di cittadinanza repubblicana. Con questi auspici - conclude - a Voi Prefetti ed a tutti coloro che con Voi celebrano la Festa della Repubblica rivolgo i piu' sentiti auguri di buon lavoro". 


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70 Anni Della Repubblica Italiana
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