Petrolio in Abruzzo? In Basilicata non porta ricchezza e lavoro

Carlo Vulpio sul Corriere della sera

22 Settembre 2008   16:33  

Carlo Vulpio sul Corriere della sera di oggi firma un reportage sulla Val D'Angri, in Basilicata, regione in cui si estrae l'80% del petrolio italiano. Nell'articolo si spiega, con dovizia di numeri e particolari, come l'oro nero non ha portato ricchezza, lavoro e benessere al territorio, come promesso dall'Eni e dai politici locali inebriati dal sogno della Lucania saudita. Anche in Abruzzo l'Eni  si appresta a sfruttare numerosi giacimenti petroliferi, nel bel mezzo di aree a forte vocazione agricola e turistica. Detto in altri termini, per capire quale potrebbe essere il futuro delle colline di  Ortona, una volta realizzato il Centro oli, basta farsi una gita domenicale a Viggiano, dove un impianto del genere già esiste. Credere  in ciò che si vede, tomisticamente parlando...

I nostri articoli sul Centro oli

 BASILICATA: IL PETROLIO CHE NON PORTA RICCHEZZA

DI Carlo Vulpio

 Texas o Lucania Saudita, ormai i luoghi comuni si sprecano, per la Basilicata che galleggia sul più grande giacimento di petrolio dell`Europa continentale e sul gas.
Qui, nel parco nazionale della Val d`Agri, dove non c`è la sabbia del deserto ma il verde degli orti e dei boschi, tutto è di primissima qualità: olio, vino, carne, fagioli, miele, nocciole. E anche il petrolio, che si estrae da quindici anni, è di ottima qualità. 147 pozzi del giacimento della Val d`Agri custodiscono, dicono le stime ufficiali, circa 465 milioni di barili (finora ne sono stati estratti quasi i i milioni), che al valore corrente di go-ioo dollari al barile formano un tesoro da quasi 5o miliardi di dollari.
Ma la Basilicata, che produce l`ottanta per cento del petrolio estratto in Italia, non si fermerà a quello della Vai d`Agri, estratto dall`Eni. Dal 2011 comincerà a sfruttare - con Total, Esso e Shell - i giacimenti di Tempa Rossa, poco più a nord: altri 480 milioni di barili, altri 5o miliardi di dollari. Ed è pronta a far trivellare anche Monte Grosso, proprio a due passi da Potenza, dove c`è altro petrolio per cento milioni di barili. E poi farà scavare nel Mare Jonio, nelle acque di Metaponto e di Scanzano, dove dai templi greci si vedranno spuntare piattaforme petrolifere come nel Mare dei Nord.
Nessuno, ancora fino a qualche anno fa, e nonostante i giacimenti della Val d`Agri, avrebbe scommesso che nel sottosuolo lucano e nei fondali jonici fosse nascosta tutta questa ricchezza.
Dopo l`intuizione di Enrico Mattei, che tra gli anni 5o e 6o venne qui a cercare petrolio e trovò «soltanto» gas, l`idea che la Basilicata potesse davvero essere un enorme serbatoio di petrolio era per lo più giudicata un volo della fantasia.
Invece i sondaggi e le trivelle si sono spinti fino nelle viscere della terra, a tre-quattromila metri di profondità, e hanno trovato il mare nero che cercavano. Come non essere contenti? Sembrava l`annuncio dell`inizio di una nuova era, per la Basilicata e per il Mezzogiorno d`Italia, per la questione meridionale e per il federalismo fiscale, per il lavoro ai giovani e per la fine dell`emigrazione.
E infatti, all`inizio, tutti erano contenti.
Dicevano: «Pagheremo meno la benzina, come in Valle d`Aosta, dove costa la metà senza che si produca una goccia di petrolio. E pagheremo meno anche le bollette della luce e dei gas».
Dicevano: «Con le royalties del petrolio avremo strade e ferrovie, che qui sono ancora quelle di un secolo fa». Dicevano: «Finalmente non saremo più costretti a emigrare, avremo il lavoro a casa nostra». Dicevano: «Si metterà in moto un meccanismo virtuoso, da cui tutti trarremo vantaggi.
Il petrolio è la nostra grande occasione».
Dicevano tutte queste cose, i lucani. Che oggi non dicono più. La delusione ha frantumato i sogni, lo scetticismo ha svuotato la speranza. E il petrolio, da grande risorsa per la grande occasione, sta diventando sempre di più una maledizione.
E infatti. Il lavoro manca come prima. Le opere infrastrutturali nessuno le ha ancora viste.
Mancano i fondi per i prestiti agevolati agli imprenditori, anche stranieri, che volessero investire in Basilicata. Il costo della benzina non ha subìto sconti. Il risparmio sulla bolletta del gas è solo apparente. La gente, soprattutto i più giovani, continua a emigrare: negli ultimi quindici anni a Grumento Nova, 2.500 abitanti, la popolazione è diminuita di un quarto, mentre da tutta la regione - che ha poco più di 57o mila abitanti - si continua a emigrare al ritmo di quattromila persone all`anno. E l`aria, l`acqua e persino il rinomato miele della Val d`Agri sono sempre più a rischio perché sempre più «ricchi» di idrocarburi.
Il petrolio puzza, e in tutta l`area del Centro olii di Viggiano l`odore è forte e si sente: è normale, sono gli idrocarburi policiclici `aromatici e l`idrogeno solforato dovuti alla produzione e al trasporto del petrolio (che però adesso avviene attraverso un oleodotto di oltre cento chilometri che aorta il gregizio alle raffinerie di Taranto). Ciò che non è normale è che in Italia i limiti di emissione di idrogeno solforato siano diecimila volte superiori a quelli degli Stati Uniti e che il monitoraggio di queste sostanze in Val d`Agri avvenga solo due o tre volte l`anno. Ciò che non è normale è il valore altissimo delle «fragranze pericolose per l`uomo» (benzeni e alcoli) trovate nel miele prodotto dalle api della Val d`Agri, come sostiene una ricerca dell`università della Basilicata pubblicata dall`International Journal of Food Science and Technology.
Ciò che non è normale è che all`Arpab, l`Agenzia regionale di protezione ambientale, non crede più nessuno, tanto che c`è chi ha deciso di fare da solo. Come il Comune di Corleto Perticara, che l`anno scorso ha ceduto a Total per 99 anni, e per 1,4 milibni di euro, il diritto di superficie su un`area di 555 mila metri quadrati in cui realizzare il Centro olii, ma che si è dotato (finora unico comune fra i 3o interessati all`estrazione di petrolio) di un proprio sistema di monitoraggio ambientale.
L`accordo tra Eni e Basilicata prevede ben i 1 progetti «compensativi», del valore di 18o milioni di euro, per la sostenibilità ambientale, la formazione e lo sviluppo culturale. E il vicedirettore generale dell`Eni, Claudio De Scalzi, vanta i seguenti risultati: «Royalties per 50o milioni di euro già versati, con un potenziale. di 2 miliardi per i prossimi anni se si riuscirà ad arrivare a uno sviluppo completo dei campi della Val d`Agri. Centotrenta tecnici lucani assunti e altre 3o assunzioni in corso. Trecento ditte lucane dell`indotto in rapporto con l`Eni, di queste 6o lavorano in modo continuativo con la società».
Ma a guardare bene i numeri si fa presto a capire che si tratta di «piccoli numeri». A cominciare dalle royalties, il 7% (il 4% se il petrolio è estratto in mare), tra le più basse del mondo.
Quando già nel 1958 Enrico Mattei considerava «un insulto» il 15% che le Sette Sorelle versavano ai Paesi produttori e parlava di «reminiscenze imperialistiche e colonialistiche della politica energetica». Tanto è vero che oggi - in Venezuela, Bolivia, Ecuadór - i contratti vengono rinegoziati per portare le royalties oltre il 5o%.
Più «vantaggioso», almeno in apparenza, l`accordo stipulato nel 2006 dalla Regione Basilicata con Total, Esso e Shell per i giacimenti di Tempa Rossa, che, tra le altre, cose, dovrebbe consentire alla Regione di dotarsi di un sistema di monitoraggio ambientale da 33 milioni di euro (a riprova che finora su questo fronte non s`è fatto nulla) e di fornire gratuitamente tutto il gas naturale estratto (con un minimo garantito di 75o milioni di metri cubi) alla Società energetica lucana, interamente a capitale regionale.
L`effetto immediato sarà una bolletta del gas meno cara, almeno di un buon 1o%. Ma non per tutti lucani. Ne beneficeranno solo i pochi allacciati alla rete del metano. Già, perché il gas c`è, ma dove va se non ci sono le condotte?


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