Un casinò sul Gran Sasso: perché no?

25 Novembre 2020   19:21  

L’Abruzzo è la Regione italiana che più apprezza il gioco e torna, per questo, a pensare al sogno dei sogni: un casinò, magari sul Gran Sasso. Partiamo da un fatto, la passione per il gioco degli abruzzesi: un dato concreto mostrato dalle statistiche relative al 2019 che ci dicono come la spesa pro capite degli abruzzesi per il gioco, fisico e online, sia stata di 2.213 euro, a fronte di una media nazionale di circa 1.700 euro. A metterlo nero su bianco il Libro Blu del 2019, realizzato dall'ADM (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli), che mette la nostra Regione davanti a Campania (2.167 euro) e Lazio (1.979 euro). 

I dati provenienti dall’ADM fanno capire quanto gli italiani amino il gioco e come le offerte dei casinò online come Rabona stiano raccogliendo sempre più capitali a scapito di scommesse e lotterie classiche. I giocatori di Teramo, in particolare, sono al secondo posto nazionale, subito dietro alla capolista Prato, seguiti poi da Pescara al settimo posto, L’Aquila al diciassettesimo posto, e Chieti in posizione numero 35. Da qui nasce l’idea, perché un casinò terrestre aiuterebbe a far rimanere parte dei soldi sul territorio creando un indotto non indifferente.

Proprio la possibilità di realizzare un casinò in Abruzzo è un tema che spesso torna a fare capolino. A essere precisi da quasi un secolo: fin dalla creazione nel 1934 dell’allora Centro Turistico del Gran Sasso, nella zona di Campo Imperatore. All’epoca, accanto all’ufficio postale fu aperta una casa da gioco che funzionò fino al 1937. 

Negli anni Cinquanta la possibilità di veder tornare giocatori di roulette e blackjack si riaffacciò con forza quando, nel 1952, l’allora Re d’Egitto in esilio Faruk cercò, senza esito, di acquisire l’albergo “Amedeo di Savoia” per aprire un casinò. 

Pure negli anni Ottanta, quando il Governo nazionale sembrava aprire alla possibilità di nuove strutture, rispetto a quelle già esistenti (tutte ubicate al Nord Italia), l’Abruzzo tornò a sognare: non solo con la proposta del Gran Sasso, ma pure con la candidatura di Francavilla (nel complesso “La Sirena”) e Pescara, con il Palazzo Aurum. Il divieto a nuove strutture, però, rimase intatto e lo è tutt’ora anche dopo le richieste avanzate, nel 2017, dall’allora sindaco de L’Aquila Massimo Cialente intenzionato a rilanciare la zona del Gran Sasso attraverso il recupero delle strutture di Campo Imperatore.

Oggi si torna a parlare con insistenza di un casinò in Abruzzo, considerando anche l’amore per il gioco degli abruzzesi. Una casa da gioco vera darebbe una risposta a questa passione, avendo tra l’altro anche ricadute positive: da quella dell’occupazione, con un indotto turistico attivo tutto l’anno e non più legato alla stagionalità, fino al non indifferente ritorno per le casse pubbliche.

Il bacino di riferimento sarebbe potenzialmente enorme, considerando che oggi gli unici casinò presenti in Italia si trovano a un migliaio di chilometri di distanza, tra Veneto, Val d’Aosta e Liguria. Il casinò del Gran Sasso potrebbe intercettare non solo i giocatori abruzzesi, ma anche quelli di Roma, di Napoli e di Bari, unendo turismo e gioco, poker e cultura, roulette ed enogastronomia.

Quindi, tornando all’inizio: perché no?


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