L'addio "con stile" di Sarkozy fa rivalutare l'ormai ex presidente

07 Maggio 2012   11:46  

Finisce l'era Sarkozy in Francia. Le presidenziali d'oltralpe fanno discutere anche in Italia, soprattutto dopo che l'ormai ex presidente francese aveva instaurato un asse politico con la tedesca Merkel emarginando l'Italia.

UN ARTICOLO DE LA STAMPA SULLA SCONFITTA DI SARKOZY

Uscita di scena con stile per Sarkò "Restiamo uniti per la Francia"
di Alberto Mattioli

Se i politici si giudicano non da come si impossessano delle poltrone, ma da come le lasciano, forse Nicolas Sarkozy è stato un buon Presidente. O almeno non così cattivo come dicono i suoi avversari. E con tutto quel che si può pensare dell'uomo, della sua politica e dei suoi amici, bisogna dargli atto che, nel momento più difficile della carriera e forse della vita, non è stato solo dignitoso, ma nobile.

Arriva alla sala della Mutualité appena venti minuti dopo il verdetto delle 20, e, davanti a una folla che non si arrende all'evidenza dei numeri, ferma i fischi indirizzati a chi l'ha sconfitto: «No, è stata una scelta democratica e repubblicana. François Hollande è il Presidente della Francia e dev'essere rispettato. Gli ho parlato al telefono e gli ho augurato buona fortuna. Mi auguro che la Francia riesca a superare le prove che l'attendono. C'è qualcosa di più grande di noi, è il nostro Paese, la nostra Patria, la Francia».

É commosso, Nicolas, davanti ai fedelissimi che l'acclamano. E ritorna nelle sue parole il mantra che qui accomuna tutti, sinistra e destra, e che fa sì che, nonostante tutto, questo Paese sia ancora una Nazione: la Francia. «Dobbiamo pensare alla grandezza della Francia», «Ringrazio i francesi perché mi hanno dato l'onore immenso di presiedere la Francia», «Esco da questa prova con un amore per la Francia ancora più forte».

La Francia, la grandeur, il solito abracadabra. Però per dieci minuti il discusso, chiacchierato, contestato, sbeffeggiato Nicolas Sarkozy smette di essere un uomo di parte e diventa un uomo di Stato: «Questa sera dobbiamo dare la miglior immagine della Francia, democratica, libera, gioiosa, splendente, che non guarda un nemico ma un avversario, che sa che la vita è la vittoria e la sconfitta».

Politicamente, il rebus è cosa farà adesso. É arrivato alla Mutualité direttamente dall'Eliseo dove, mentre ogni exit poll si rivela peggio dell'altro, i cacicchi dell'Ump, il suo partito, gli chiedevano di non annunciare l'addio alla politica. Fra un mese ci sono le legislative e l'Ump è a forte rischio implosione. Alla fine, Sarkò fa capire che ha chiuso: «Ero il capo ed è il numero uno che deve assumersi la responsabilità.

Porto tutta la responsabilità di questa disfatta. Devo trarne tutte le conseguenze. Voi potrete continuare a contare su di me, condivido le vostre idee, le vostre convinzioni, i vostri ideali. Ma dopo 35 anni di politica, dieci alle massime responsabilità e cinque alla testa dello Stato, il mio impegno sarà diverso. Sarò un francese in mezzo ai francesi. E voglio dirvi che mai vi potrò ridare quel che mi avete dato voi».

Exit Sarkò quindi. Il presidente, riferiscono fonti del governo, avrebbe giurato che non sarà mai più candidato all'Eliseo e né alla guida del partito. L'addio non l'ha dato davanti alla vecchia guardia, come Napoleone con cui ha in comune la statura, ma a quella giovane. La Mutualité è piena di ragazzi che hanno votato per la prima volta o addirittura devono ancora farlo. Solo loro, del resto, possono ancora illudersi mentre Internet ridicolizza la legge francese che vieta la diffusione di qualsiasi sondaggio a urne ancora aperte.

Su Twitter «Radiolondres» si sbizzarrisce: «Van Basten batte Puskas 53 e 47». Oppure: «Il grido di Munch rappresenta Nicolas Sarkozy il 6 maggio 2012». E i siti francofoni belgi e svizzeri iniziano a sparare percentuali già alle cinque.

Loro, i Sarkòboys, rifiutano di credere. «I belgi, li conosciamo...», dice JeanBaptiste, 24 anni. «Sarkò lascia la politica? E io lascio la Francia», rincara Marine, 22. «Ma se lo immagina Hollande che incontra Obama?», chiede Margaux (ma come, proprio come la celebre etichetta di Bordeaux? «Proprio per quello, papà è un appassionato»), appena 17. É la generazione Sarkozy, per la quale Mitterrand è un nome sui manuali scolastici e Chirac un vecchio nonno.

Sono loro che fischiano ogni volta che la tivù inquadra qualsiasi socialista, perfino Thomas Hollande, primogenito di François e Ségolène, che prima ha un sorriso più largo della faccia e poi si mette a piangere dall'emozione. Però che butti male lo si capisce dagli slogan. Sul filo delle ore e dell'attesa, si passa da «Sarkozy à l'Elysée, Hollande en Corrèze!» a «Sarkozy c'est pas fini!», in pratica la resa. Finché l'ultimo grido è «Sarkozy merci!», fra le lacrime, mentre lui dal podio strilla: «Siete la Francia eterna e io vi amo!». Marsigliese. Chapeau. Sipario.


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