Matteo Renzi, O Si Fa L'Italicum O Si Muore. Il PD è Avvertito

31 Marzo 2015   05:00  

ROMA - Matteo Renzi è chiaro all'assemblea dei parlamentari del PD:

«Oggi chiedo un voto per una ratifica di quanto fatto negli ultimi 15 mesi e per un mandato per i prossimi mesi».

Poi passa rapidamente all'Italicum, vero punto di svolta per la sua legislatura:

«Sulla legge elettorale ci giochiamo la fiducia dei cittadini. Qualcuno ha detto che non si può mettere sul testo: ne parleremo a livello parlamentare. Ma permettetemi di mettere tra di noi la fiducia sulla legge elettorale perchè rappresenta la capacità di rispondere a quello che non siamo stati capaci di fare finora», ha detto ancora Renzi.

Ci sono due elementi posti nel merito sull'Italicum, il primo «è l'esigenza del ritocco alla Camera, è un'esigenza politica, per alcuni è anche tecnica. Io sono contrario a questa ipotesi del ritocco, capendone però le ragioni», ha sottolineato poi il presidente del Consiglio.

«Cento collegi con un candidato scelto dal partito, selezionato dalla classe dirigente. Su 340 deputati, 100 indicati nei collegi e 240 dalle preferenze, il 71% con le preferenze il 28% con candidati di collegio partendo dal presupposto», all'interno del Pd, «di non fare candidature plurime, oppure di farle tutte plurime», Così Renzi difende anche le ragioni dei capilista bloccati.

«Nel Pd c'è una parte, minoritaria, per il ricatto, che dice "o si fa così o c'è il voto segreto". Lo dico a D'Attorre: questo ricatto non lo prendo neanche in considerazione perché in questo anno abbiamo fatto passi in avanti sull'Italicum e il Pd non è un partito in cui ci si dice "ti mando sotto con il voto segreto"», ha continuato Renzi. «E' arrivato il mometo di decidere, continuare a rimandare non serve a niente», ha poi aggiunto.

«Sostenere che in democrazia non debba esserci chi decide è pericoloso; sostenere che nessuno debba decidere è un concetto più anarchico che democratico, è frutto di una malattia del dibattito che giudico pericoloso», ha detto ancora Renzi.

«Non c'è la dittatura o la democratura - come qualcuno ha avuto il coraggio di dire - nel modello che portiamo avanti, ma il modello che potremmo definire come la democrazia decidente, come l'ha chiamata Violante e su cui Calamandrei ha scritto pagine straordinarie», ha poi insistito il premier. «Democrazia è quel modello di organizzazione in cui si consente in libertà a qualcuno di decidere non con i blocchi e i veti, certo con i pesi e contrappesi», aggiunge.

«Nella storia di questi mesi - ha detto Renzi - non c'è stato un momento in cui qualcuno ha staccato la spina del precedente governo, ma il precedente non riusciva ad andare avanti con le riforme. Questo è un punto assodato della Direzione del Pd, e l'elemento della difficoltà era proprio sulle elezioni istituzionali».

«La legge elettorale era impantanata - ha aggiunto - ed era simbolicamente rappresentata dal fatto che la Sentenza della Corte rappresentava la sconfitta della politica. Quattro governi e tre legislature non erano riusciti a cambiare una legge che tutti dicevano che andava cambiata».

«Quindi c'era un blocco - ha detto ancora Renzi - e noi siamo partiti di lì, e se non diciamo che siamo partiti da un progetto complessivo di riforme non siamo credibili di noi stessi. Abbiamo detto facciamo una proposta al Paese che teneva insieme la riforma costituzionale quella elettorale e un pacchetto di altre riforme. Ma la legge elettorale era la chiave di lettura che proponevamo al Paese».

«Sulla legge elettorale siamo partiti da un modello - ha continuato Renzi - che assegnasse al vincitore la possibilità di governare. Il modello del sindaco era da sempre la più convincente, ma diciamo anche che siamo stati bruciati dall'esperienza del 2013, dove una legge non ha permesso a chi è arrivato primo di governare».

«L'idea, anche nel nostro dibattito interno, che la sinistra la possa rappresentare solo qualcuno non la condivido, io non lascio il monopolio della parola sinistra solo a chi la usa con più frequenza», ha affermato ancora il segretario del Pd.

L'ATTACCO A SALVINI E LANDINI

«Salvini e Landini, in modo molto diverso, sono due fenomeni televisivi. Ma se la politica non ha attinenza con la realtà e smette di essere vita quotidiana produce personaggi che sono solamente soprammobili da talk tv», ha detto ancora Renzi.

«Grillo non è più uno spauracchio, oggi Grillo da spauracchio è divenuto sciacallo» con «dichiarazione di indecoroso gusto», ha poi attaccato il presidente del Consiglio, riferendosi al post del leader del M5S che paragonava il premier al copilota della Germanwings. «È chiaro che Grillo ha perso centralità», ha aggiunto.

LA MINORANZA ATTACCA L'AUTORITARISMO RENZIANO

Intanto Pippo Civati, leader della minoranza Dem attacca l'atmosfera totalitaristica dell'assemblea che, secondo lui, è chiamata solo a ratificare.

«Riproporrò la necessità di cercare fino all'ultimo una mediazione per alcune modifiche alla legge elettorale»: se questa apertura non ci sarà, Area riformista non parteciperà al voto della Direzione. Lo ha spiegato il capogruppo Pd Roberto Speranza. Fonti di Area riformista sottolineano che la richiesta a Renzi è di modifiche alla legge elettorale e non sarebbe eventualmente considerata sufficiente un'apertura sulla riforma costituzionale.

L'EX SEGRETARIO BERSANI

«Al segretario tocca il compito d'ufficio di tentare la sintesi, affrontando il tema e parlandone nel merito», ha detto Pierluigi Bersani. Assicurando che «appena posso ci vado», Bersani si è augurato che da parte del premier non ci sia un «aut aut, spero non sia così».

Bersani si è detto «esterrefatto che si continuino a fare analisi e dietrologie invece di parlare di quale democrazia vogliamo per i nostri figli». L'ex leader del Pd ha infatti parlato del «rischio di una democrazia di investitura, una sorta di presidenzialismo senza contrappesi, un'autostrada per pulsioni plebiscitarie e populiste. Che tutti parlino di cosa farà la minoranza e nessuno discuta di quale democrazia lasciamo ai nostri figli, mi preoccupa molto».

Rispondendo poi a una domanda sull'eventualità che dietro la promessa di un seggio sicuro esponenti della minoranza possano alla fine schierarsi con Renzi, Bersani ha risposto: «Non ho i miei, non sono mai stato di impedimento alle nuove generazioni, la gente ragiona con la propria testa. Affermazioni che non sono vere alludono all'idea che tutto si possa comprare».

A giudizio di Bersani insomma «la governabilità non può essere a prescindere della rappresentanza» e quello che si propone «è un meccanismo democratico piuttosto azzardato: se sono stupidaggini si proceda, ma non in mio nome». Alla domanda, infine, se voterebbe per il mattarellum, Bersani, sorridendo, ha risposto: «Il mattarellum lo firmo domani mattina, se abbiamo fatto Mattarella possiamo fare anche il mattarellum».


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