727° Perdonanza Celestiniana, il discorso del cardinale Petrocchi all'accensione del Fuoco

23 Agosto 2021   21:00  

SALUTO DEL CARD. PETROCCHI IN OCCASIONE DELLA ACCENSIONE DEL FUOCO DEL PERDONO

Il gesto “esterno” di accendere il “fuoco”, è simbolo di un evento che deve accadere “dentro” l’anima: le fiamme della Perdonanza debbono ardere in tanti cuori.

Il fuoco è immagine della carità evangelica, che Dio suscita in noi attraverso il Suo Spirito.

Anche il contesto temporale in cui si svolge questo rito ha un significato su cui riflettere: è notte. In un ambiente, privo di luminosità, si vede poco e male: è difficile identificare persone e cose, così come risulta arduo orientarsi nello spazio e decidere le direzioni da prendere.

Il fuoco della Perdonanza deve illuminare le nostre “notti” spirituali, culturali, sociali. Se spesso è impossibile eliminare rapidamente il buio che ci avvolge, è tuttavia fondamentale che il buio non si trasformi in “tenebra”, che è oscurità abitata dal male, in tutte le sue forme. Infatti, la sofferenza, provocata da condizioni avverse che si abbattono sulla nostra storia, non deve “inquinarsi” diventando una palude malsana (personale e collettiva), che genera rabbia, avvilimenti, contrapposizioni, atteggiamenti ostili, individualismi miopi e corrosivi.

Si potrebbero elencare numerose “notti” che caratterizzano la nostra epoca: l’ultima, in ordine di tempo, è la “calamità pandemica” che ci ha colpito in modo improvviso e rovinoso. Si spengono molte certezze, vengono meno prospettive su cui si contava, si riducono spazi di vita ai quali si era abituati, si è minacciati nella salute, si vedono attaccate da questo virus-killer persone care, e talvolta si assiste, impotenti, alla morte di parenti e amici. L’oscurità dell’ansia e della insicurezza sembra calare sulla quotidianità e si proietta sul futuro, facendolo apparire opaco e “rischioso”.

Il fuoco della Perdonanza deve rischiarare questa epidemia drammatica: in particolare, dobbiamo capire sempre meglio ciò che ci è stato tolto, ma anche ciò che ci è stato dato; le possibilità perse ma anche le nuove opportunità guadagnate; cosa è da correggere ma anche ciò che va confermato e rafforzato. Dobbiamo vedere, alla luce del messaggio celestiniano, il bene che è emerso (penso alla dedizione eroica messa in campo da Appartenenti alle Istituzioni, da Operatori sanitari, da una innumerevole schiera di Cittadini responsabili), ma occorre pure registrare atteggiamenti trasgressivi e massive manifestazioni di egoismo dannoso.

Inoltre, vanno attentamente identificate le “zone” dove domina il “buio”: cioè, le “periferie esistenziali” (personali e collettive), come le chiama Papa Francesco. Mi riferisco agli “ultimi” e alle persone escluse, ai malati e a quanti sono feriti nei loro sentimenti, alle condizioni di precarietà economica, agli aspetti di marginalità sociale.

In tutti questi “luoghi” della solitudine e della tristezza devono accendersi l’amore fraterno, la solidarietà generosa, la fattiva condivisione: ecclesiale e civile.

Ricordo, infine, che il fuoco non va solo acceso, deve essere anche alimentato e mantenuto, attraverso la preghiera perseverante e la corrispondenza fedele alla grazia del Signore.

A conclusione, leggo una intensa poesia, attribuita a Madre Teresa di Calcutta: una Santa del nostro tempo, certamente molto vicina alla sensibilità spirituale di Celestino V.

«Prendi un sorriso, regalalo a chi non l’ha avuto;

prendi un raggio di sole, mettilo nel cuore della notte;

scopri una sorgente, fa’ bagnare chi è prostrato nella polvere;

cogli una lacrima, posala sul volto di chi non ha pianto;

prendi il coraggio, mettilo nell’animo di chi non sa lottare;

vivi la vita, raccontala a chi non sa capirla

 

apriti alla speranza, vivi nella sua luce;

 

prendi la bontà, donala a chi non sa donare;

 

scopri l’amore, fallo crescere sulla terra».

 

A tutti e a ciascuno auguro, con affetto, “Buona Perdonanza”!

 


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