La L. 300/1970: Norme sulla tutela della libertà e dignità del lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, meglio nota come "Statuto dei lavoratori", rappresenta, dopo la Costituzione Italiana, la fonte normativa più importante in materia di tutela della libertà e della dignità dei lavoratori, nonché in materia di libertà nell'attività sindacale.
In questi ultimi giorni, è tornato protagonista assoluto nella scena politica e giurisprudenziale l'art. 18 di questa legge che statuisce l'obbligo per il datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel suo posto quando il licenziamento sia giudicato inefficace dal magistrato: l'art. 18, inoltre, prevede il risarcimento del danno al lavoratore stesso nonché una sanzione nel caso in cui il datore di lavoro non ottemperi alla sentenza di reintegrazione che riguardi lavoratori che siano dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali.
Nello specifico l'art. 18 " Reintegrazione nel posto di lavoro" stabilisce:
"Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro. Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie. Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti. La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile. L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore."
Questa importante forma di tutela per il lavoratore è stata totalmente sconvolta dal Senato della Repubblica il giorno 3 Marzo 2010 alle ore 19:00 circa.
L'aula, infatti, ha approvato la legge1167/2010, ed in particolare il suo art. 31, con 144 si, 106 no e 3 astenuti. In questo modo la legge aggira le tutele previste dall'art. 18 della Statuto dei lavoratori.
Ricordo che la Camera aveva già dato la sua approvazione.
Il fulcro della nuova norma è rappresentato dal fatto che le controversie tra datore di lavoro e dipendente potranno essere risolte anche mediante l'arbitrato, con una decisione secondo equità, e non più solo attraverso il giudice del lavoro.
Teoricamente la scelta della conciliazione non sarà imposta al lavoratore, concretamente quest'ultimo al momento della stipula del contratto dovrà optare per l'arbitro o per il giudice del lavoro, ed una volta apposta la firma la decisione sarà definitiva.
Ovviamente questa scelta anticipata comporterà una sottile e subdola ricattabilità a discapito del lavoratore da parte del suo datore, che sicuramente spingerà affinché il dipendente scelga la forma di tutela meno complessa e al contempo meno pericolosa. Una volta apposta la firma sul contratto, il lavoratore si ritroverà ingabbiato per sempre dentro una situazione penalizzante.
I partiti di Opposizione ed il Sindacato della Cgil sono fermamente decisi a proporre ricorso dinanzi alla Consulta per grave violazione dell'art. 3 della Costituzione che sancisce il principio di uguaglianza di tutti i cittadini.
La disparità è data dal fatto che i lavoratori, soprattutto quelli di nuova assunzione, si troveranno in forte difficoltà in quanto il datore di lavoro, approfittando di una situazione di squilibrio iniziale (il lavoratore accetta tutto perché ha bisogno di lavorare), spingerà, senza grandi problemi, l'inconsapevole e accondiscendente contraente ad una scelta definitiva non ben soppesata.
Molto probabilmente accadrà anche che qualche poco serio datore di lavoro pretenderà, come condizione per l'assunzione, la scelta dell'arbitro invece che del giudice del lavoro.
Con l'evidente conseguenza che il rapporto nascerebbe viziato a causa degli abusi del datore di lavoro e questo comporterebbe l'annullamento di un cinquantennio di lotta politica e sociale per il raggiungimento della pari dignità e libertà dei protagonisti del rapporto di lavoro.
Oltre la variazione del contenuto dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, in questa legge si prevede:
La possibilità di assolvere l'ultimo anno di scuola obbligatoria anche con percorsi di apprendistato. Con la conseguenza che già all'età di 15 anni si potrà essere apprendisti.
Per ciò che concerne i lavori usuranti si potrà andare in pensione ad un'età minima di 57 anni e 35 di contributi.
Tornano ad essere gratuiti i processi di lavoro.
In materia di licenziamento sarà estesa a tutti la possibilità di procedere all'impugnazione entro 60 giorni.
Contro questa nuova norma è previsto uno sciopero generale il 12 Marzo. Non bisogna dimenticare che il lavoratore è la parte più debole del rapporto di lavoro e per questo con l'evoluzione della società e della politica, andrebbero aumentate le sue tutele e non indebolita la sua difficile realtà.
Francesca Aloisi