Antonio Verini: una vita per la politica

Sarà lui l'assessore esterno?

16 Gennaio 2009   20:52  

L'uomo nuovo, la new entry nel toto-assessori è, garantiscono i bene informati, Antonio Verini, che punta ad essere scelto come assessore esterno della giunta Chiodi, in nome della sua aquilanità e lunghissima esperienza politica ed amministrativa. Il candidato non eletto di Rialzati Abruzzo avrebbe il forte sostegno dell'ex-ministro Baccini, leader  della Federazione dei cristiano popolari, uno dei tanti cespugli attecchiti intorno al Pdl, in seguito alla diaspora centrista e democristiana. Non sarà facile, però il tentativo più che legittimo è già una notizia.  Antonio Verini confida nelle telefonate confidenziali del suo mentore al premier Berlusconi, che con tutte le gatte che ha da pelare gli ci mancava  solo il puzzle con troppe tessere della giunta regionale abruzzese.
Nell'attesa, ci sembra opportuno  ricostruire gli ultimi anni della lunga e onorata carriera  di Antonio Verini.  Politico purosangue, di indiscutibile talento. Sempre protagonista nel bene e nel male. Umanamente amabile, sempre disponibile e sorridente nel privato.  Freddo e guerriero implacabile nell'arena della politica.

All'alba del terzo millennio Antonio Verini, originario di Campotosto, conterraneo di Enrico Paolini, moderato e democristiano da una vita, stimato preside  di una  scuola media, presidente dell'Irre, l'istituto regionale di ricerca educativa, presiede con mano ferma la segreteria provinciale della Margherita. Ed è anche consigliere di opposizione nel consiglio provinciale dell'Aquila. Il cumulo delle cariche che non lo spossa né spaventa, segno di sconfinato amore per la politica.

Nel 2004 entra nel consiglio nazionale del partito. Un gradino decisivo per successive scalate. Una curiosità, siede al fianco di Carlo Costantini, suo futuro rivale alle regionali del 2008.
Il 2004 è anche l'anno della vittoria alle provinciali di Stefania Pezzopane: Verini stappa lo spumante con Fassino. Qualche mese prima aveva ingaggiato un epico duello con Lolli per sbarrare la strada alla candidatura della Pezzopane, e per alzare la posta a vantaggio della Margherita.  Nel frattempo si occupa assiduamente della politica comunale lanciando una bordata dopo l'altra al sindaco di centrodestra Biagio Tempesta.

Nel 2005 Antonio Verini, a sessantotto anni compiuti  si candida alle regionali  con Ottaviano Del Turco presidente. E ' un trionfo, viene eletto con 8.370 voti. E' lui l'uomo  forte in Regione  che rappresenta l'Aquila. Forte del risultato, aspira ad un assessorato. Si deve accontentare della  presidenza della Seconda commissione.

Un gradino dopo l'altro: nel 2006 Verini ottiene un posto in lista blindato nell'Ulivo nelle elezioni politiche. Prodi vince e per Verini si spalancano le porte di Montecitorio. Ma terminati i brindisi Verini spiazza tutti e afferma: “La mia volontà è quella di accettare l’incarico, ma si impone una riflessione che faremo con quanti nel partito mi hanno sostenuto. Non è una scelta facile lasciare la Regione, privando la città di una sua rappresentanza, per un futuro che al momento è ancora carico di incognite".  Seguono  settimane di amletica  riflessione. “Devo capire come vanno le cose – spiega -  se per esempio c’è stabilità di governo. Non si può lasciare il certo per l’incerto". L'indecisione crea scandalo e irritazione. Verini vota l'indulto e intanto medita. In Regione Nazario Pagano accusa: "I lavori della seconda commissione consiliare sono bloccati a causa del neo-parlamentare Verini che non ha ancora deciso se scegliere il seggio alla camera o quello all’Emiciclo".

Piccati ultimatum arrivano anche dal suo partito "Verini decida -  tuona in una nota Tommaso Ginoble - il tempo è scaduto così come è esaurito lo spazio della pazienza e del bon ton. Occorre porre fine a questa insignificante commedia che l’attore in teatro non ha in animo di chiudere".
E’ polemica anche all’Irre, dove Verini è stato appena riconfermato presidente. Il preside della facoltà di Scienze della Formazione, Franco Trequadrini, scrive al ministero: “  Come può conciliarsi la fitta agenda di impegni di un parlamentare  con gli impegni di un presidente di un ente che ha bisogno di slancio e idee nuove”.

Dopo quattro interminabili mesi e mezzo di doppio incarico Verini decide: "Sono una persona che rispetta gli impegni assunti, mantengo quelli presi con coloro che per primi mi hanno dato fiducia. Non posso tradire la prima scelta e rimango in Consiglio regionale". Esulta Giorgio D'Ambrosio, il sindaco di Pianella che come primo dei non eletti nella Margherita si ritrova parlamentare.
Si incavola parecchio invece il sulmontino Bruno Di Masci, designato sostituto di Verini all'Emiciclo, con la benedizione di Franco Marini.
Il sindaco di Sulmona Franco La Civita non le manda a dire:"La scelta di questo signore di rimangiarsi un accordo che prevedeva lui in Parlamento e Di Masci in Regione ha dell’incredibile”.
Per ragioni opposte il gran rifiuto di Verini  suscita polemiche al vetriolo anche  nella Margherita aquilana: Celso Cioni si chiede con malizia : “Ma che si è candidato a fare, non poteva lasciare spazio ad un altro?” Vito Albano, della corrente Futura,  accusa: "Ha tradito la città dell’Aquila lasciando il seggio alla Camera ad un esponente della costa". Peccato mortale, in una politica dove l'amor di campanile conta più di ogni altra cosa.

La  segreteria provinciale di Verini è del resto segnata da continui scontri e la vicenda del gran rifiuto ha solo contributo a farli esplodere. La Margherita perde petali, di solito all'imminenza di scadenze elettorali e conseguenti composizioni delle liste.
Vito Albano,  continua a sparargli bordate, lo accusa di di personalismo, di emarginare il dissenso interno, "di aprire il partito  con archi di trionfo ad ex amministratori esclusi dal centrodestra".  
Verini però è un vascello che caracolla nelle tempeste ma non affonda mai e al congresso viene infatti rieletto segretario provinciale. "Nel corso del mio mandato - esulta Verini -  la Margherita è cresciuta nettamente non solo come voti e iscritti ma anche come amministratori passando da 25 a 195”.

Agli annali della politica aquilana anche i rudi bracci di ferro con la presidente della provincia Stefania Pezzopane. Verini chiede la testa prima dell'assessore Celso Cioni: " E' uscito dal gruppo comunale della Margherita - argomenta -  non ha più titolo per restare nell’esecutivo provinciale". Poi prende di mira l'assessore Ermanno Giorgi, colpevole di non seguire la linea del partito. Ma il partito non lo segue, come i consiglieri comunali  Roberto Riga, Francesco Pistoia e Pierluigi Mancini. Verini è accusato di voler far fuori Giorgi per assicurare un assessorato al figlio Enrico, consigliere comunale al secondo mandato. Va bene il valore della famiglia, insomma, ma qui si esagera. Un'assemblea rischia di finire in rissa e deve intervenire la Digos.

Gli editti del segretario Verini però non sortiscono effetti. Giorgi e Cioni restano al loro posto, segno che il potere del segretario provinciale, dissidio dopo dissidio,  si è affievolito, proprio quando è già cominciata la travagliata avventura  del Partito democratico. Verini sostiene inizialmente  la candidatura a segretario regionale di D'Alfonso. Poi i suoi entusiasmi si raffreddano, comprende che nel neonato Pd ha troppi nemici e difficilmente avrà lo spazio che ritiene legittimamente di meritare. E da politico di razza  vaticinia per il Pd un un futturo tutt'altro che glorioso e vincente, soprattutto in Abruzzo.

Comincia la traversata  dell'oceano. Viene  tentato prima di approdare nell'isolotto della Dc di Pizza, riemersa dai fondali della storia  dopo tredici anni di battaglie legali per il glorioso simbolo scudo-crociato. Poi però nel settembre 2007 insieme al figlio Enrico, consigliere comunale dell'Aquila, sceglie, nell'arcipelago centrista, il vecchio amico Lamberto Dini e i Liberaldemocratici per il rinnovamento. Verini dice addio alla Margherita, si dimette da segretario e in consiglio regionale costituisce un nuovo gruppo, “Alleanza dei democratici e dei Liberali per l’Europa”, di cui è l'unico componente e giocoforza anche capogruppo. Resta presidente di commissione, alleato ma distinto dalla maggioranza che sostiene Del Turco. In attesa di individuare il porto in cui mollare gli ormeggi.

Il clamoroso salto della quaglia del suo amico Lamberto Dini, che volta le spalle a Prodi e abbraccia Berlusconi,  anticipa però l'imminente parabola di Verini.
Nel maggio 2008 altro passaggio decisivo, la costituzione in Regione della Federazione di centro con l'Udeur di Liberato Aceto, e la Dc di Angelo Di Paolo. Un consorzio di monogruppi, a cui poi aderirà anche l'Udc di Mario Amicone.

In consiglio intanto Verini risfodera il suo vecchio cavallo di battaglia, la  legge per Aquila capoluogo, attacca con veemenza il manager della Asl dell'Aquila Roberto Marzetti, si oppone alla realizzazione della    sede regionale di Pescara, chiede con forza la riduzione dei costi della politica,  difende a spada tratta il reparto di ginecologia della clinica Sanatrix.

Siamo arrivati al luglio 2008:  Esplode lo scandalo di Sanitopoli, Del Turco e i suoi fedelissimi vengono arrestati.  “Chi fa uso della politica e delle istituzioni solo per scopi personali – commenta all'indomani Verini - deve essere punito senza sconti".

La prospettiva delle elezioni anticipate fa sciogliere come neve al sole la Federazione di centro. Verini rischia di restare al palo. Il vascello spiega così  le vele e vira deciso verso i lussureggianti lidi del centrodestra. Manda messaggi in politichese d'oil al Pdl: “Correremo con liste nelle quali saranno presenti uomini di rilievo delle quattro province”. Il leader nazionale Dini telefona direttamente a Berlusconi per garantirgli una candidatura.
Nel frattempo però sonda anche il terreno avverso, quello del centrosinistra. Voci di corridoio parlano di trattative segrete con l’Italia di valori, e di un piccato niet di Carlo Costantini, che in lista non lo vuole.

Alla fine Verini trova posto nella cosiddetta Pdl 2, la lista civica Rialzati Abruzzo. Il suo nome viene inserito tra i candidati pochi minuti prima del termine ultimo per la consegna delle liste alla Corte di appello dell'Aquila.  
Un colpo di scena che fa incavolare tantissimo un altro candidato aquilano di Rialzati Abruzzo, Stefano Vittorini,  che per comprensibili ragioni non vuole troppi galli nello stesso  collegio elettorale. Vittorini  presenta un esposto in cui si afferma che la firma di autentica di Verini sarebbe stata modificata dal 31 al 3 ottobre 2008.
La vicenda avvelena il clima della campagna elettorale, e rischia di danneggiare non poco il Pdl. Berlusconi è molto arrabbiato.
Alla fine tra i due contendenti non gode nessuno. Nè Verini nè Vittorini vengono eletti. Verini prende 1179 voti, 7mila in meno rispetto al 2005.  Il galeone, dopo la rocambolesca traversata dell'oceano, è diventato un peschereccio. 

Si pronostica  una sua uscita di scena. A settant'anni,  dopo una più che onorevole e a tratti avvincente carriera politica, può anche starci. Ed invece il guerriero di Campotosto,  che non sente affatto il peso degli anni e i segni lasciati da tante battaglie, potrebbe stupire ancora.

FT

 


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