Crolli a Pompei e L'Aquila sospira "che ne sarà di noi"

08 Novembre 2010   12:44  

Abbiamo guardato attoniti le immagini di distruzione che sono apparse sugli schermi delle nostre tv, abbiamo pensato “che peccato” pezzi di storia in macerie, per colpa dell’incuria e della potenza degli agenti atmosferici certamente, di restauri sbagliati, forse, ma senza dubbio anche per mancanza di soldi.  A Pompei è andato a pezzi una gioiello architettonico la  Schola armaturarum juventis pompeiani, la palestra degli atleti.

Secondo la Sovrintendenza di Napoli la causa vera del cedimento sarebbe, con molta probabilità, la pioggia abbondante dei giorni scorsi. Circostanza confermata dallo stesso ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi: "Alla luce dei primi accertamenti, il dissesto che ha provocato il crollo parrebbe imputabile a uno smottamento del terrapieno che si trova a ridosso della costruzione per effetto delle abbondanti piogge di questi giorni e del restauro in cemento armato compiuto in passato". Il tetto andato distrutto durante la seconda guerra mondiale, infatti, era stato ripristinato negli anni scorsi ed è probabile che il peso non sia stato retto dalle antiche mura.

Bondi aggiunge però un elemento "mancano risorse adeguate", ribadendo “la necessità di disporre di risorse adeguate per provvedere a quella manutenzione ordinaria che è necessaria per la tutela e la conservazione dell'immenso patrimonio storico-artistico di cui disponiamo".

Quanti aquilani però, alla triste notizia del crollo di uno straordinaria testimonianza del passata, non si sono chiesti  “Pompei? Ma è stata sepolta 1931 anni fa (era il 79 d.c.) e ancora parlando di conservazione, e casa mia?  Mica ci vorranno 1931 per vederla deteriore in tutto? E Le chiese della mia città?”

Figurarsi, il patrimonio artistico aquilano è per lo più sotto le intemperie del tempo, puntellato a cielo aperto, sottoposto a continuo ulteriore deterioramento, e alla ricerca disperata di fondi completi per il loro recupero: la stima è di 3 miliardi di euro e almeno dieci anni di lavoro per recuperare i beni artistici distrutti dal terremoto. Uno Stato che non ce la fa a tutelare resti che raccontano la nostra storia, elementi fondamentali di ricognizione della nostra cultura, che lascia deteriorare testimonianze uniche per qualità e per antichità, in che modo potrà occuparsi di noi? Soprattutto ci si chiede se, effettivamente, ci sia una volontà politica, una visione per recuperare fondi. Si potrebbe pensare a quanto già avviene nel resto del mondo, ovvero alla sponsorizzazione della tutela dei beni artistici: grandi investimenti da parte di soggetti privati che nel mettere i propri soldi nell’arte ottengono un fortissimo ritorno di immagine.

Il problema è però solo parzialmente all’arte. Guardando il gioiello pompeiano venuto giù per incuria quanti non hanno curvato le spalle, scosso la testa, abbandonato le braccia fino a terra pensando mestamente tra sé e sé…s”e questa è Pompei figurati casa mia”.

E dire che molti l’hanno pensato spesso “non lasciate che L’Aquila diventi Pompei”, ma che avranno voluto dire: disabitata e deserta come la Pompei post eruzione o meta di turisti che assistono sconcertati a definitivi che deteriorano per sempre ciò che è già ferito?

L’Aquila come Pompei urla: abbiamo bisogno di fondi, di tutela, di politica fattiva e non di effetti speciali, e facciamo nostre le parole del sindaco di Pompei Claudio d’Alessio "Le nostre grida d'allarme non trovano ascolto…..basta con la politica dei rinvii e delle chiacchiere. Occorre pensare a quali siano gli strumenti per il rilancio dell'intero patrimonio archeologico nazionale".

Barbara Bologna


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