Giornalisti, Petaccia: basta sfruttamento nelle redazioni

22 Novembre 2010   11:56  

Una vistosa spaccatura fra lavoro dipendente “garantito” e lavoro autonomo, sia a livello reddituale che di rappresentanza sindacale e di potere contrattuale ed un “impoverimento” delle fasce di reddito intermedie a vantaggio di quelle medio - alte, nel campo del lavoro subordinato, sono due dei dati contenuti nell’analisi 'Giornalismo: il lato emerso della professione. Una ricerca sulla condizione dei giornalisti italiani visibili ',  condotta da Lsdi (Libertà di stampa diritto all’informazione) attraverso i dati forniti da Inpgi, Cnog e Fnsi.

Concluse le elezioni presso l’Associazione della Stampa Abruzzese per rinnovare i componenti del direttivo del sindacato dei giornalisti e fuori da qualsiasi logica pre-elettorale, la giornalista abruzzese, Simona Petaccia, ha spedito ad Assostampa e ODG Abruzzo la seguente lettera aperta:

«Augurando un buon lavoro al nuovo consiglio direttivo, mi auguro che questo si adoperi affinché i giornalisti freelance della nostra regione non siano più una “categoria svantaggiata” rispetto ai colleghi contrattualizzati. Di conseguenza, ben vengano le campagne fatte in passato a favore del rinnovo del contratto giornalistico, ma non bisogna dimenticare che solo una minoranza degli iscritti ne ha potuto, ne può e ne potrà beneficiare.

Così come ho sempre sostenuto verbalmente nei nostri incontri (istituzionali e no), ciò che mi auguro è un impegno concreto affinché, al di là dalle sterili logiche di competenza, il nuovo consiglio direttivo dell’Associazione della Stampa Abruzzese lavori assieme all’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo al fine di:

1. creare un database degli enti pubblici che hanno designato un Ufficio Stampa/Comunicazione istituzionale;

2. effettuare un controllo sull’effettiva applicazione della Legge 150 del 2000  (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni) laddove l’ente pubblico abbia istituito tale ufficio;

3. denunciare le testate giornalistiche registrate che non hanno redattori;

4. incriminare gli organizzatori di corsi di giornalismo non riconosciuti, ma “venduti” come tali.

Quattro obiettivi che, se ci sarà la volontà di tutti, potranno dare dignità a una categoria professionale tanto importante per la Regione Abruzzo e per il Sistema Italia.

Credo, infatti, che non si possa invocare la libertà di stampa dei “grandi nomi” del giornalismo italiano se e quando si fanno calpestare i diritti dei “professionisti minori”. Pertanto, saluto voi e tutti gli altri rappresentanti regionali e nazionali con una domanda: Può essere libero un collaboratore esterno remunerato con un pagamento netto di Euro 5,00 (cinque) ad articolo o a servizio… equivalente a uno stipendio di  euro 150,00 (cento/cinquanta) al mese SE lavora tutti i giorni.''

                                                                                                                                                                                                                                                   Simona Petaccia


Sempre a tal riguardo riportiamo un'estratto da 'Giornalismo: il lato emerso della professione. Una ricerca sulla condizione dei giornalisti italiani visibili a cura di Franco Siddi - Segretario generale Fnsi

 

Nebulosa su 110 mila giornalisti, ma la Fnsi è in campo per la dignità di tutti

di Franco Siddi


Il ringraziamento che tutti dobbiamo a Lsdi (“Libertà di Stampa Diritto all’  Informazione”), e particolarmente a Pino Rea, per la pubblicazione di questa ricerca non è un atto puramente formale. Tutti coloro che operano nel mondo dell’informazione sanno quanto sia sempre stato difficile comprendere nelle sue reali dimensioni il fenomeno dell’evoluzione della professione giornalistica, per la mancanza, almeno sino ad ora, di una indagine accurata e meticolosa quale quella che abbiamo oggi finalmente a disposizione.


Viviamo una fase storica dell’evoluzione dei media fortemente accelerata nelle sue trasformazioni e congestionata da un irrefrenabile sviluppo tecnologico, di cui è sempre più difficile comprendere le prospettive, stante una precipitosa obsolescenza di ogni innovazione che rende definiti solo per poco tempo i nuovi confini.

La rincorsa tecnologica e il tumultuoso cambiamento, i nuovi incerti assetti del sistema industriale dell’informazione, creano indeterminatezza e generano spesso incapacità di programmazione e di progettualità. Questa realtà nevrotica produce inevitabili effetti sulla professione giornalistica, modificandone i contenuti, alterandone i ruoli, riscrivendone in continuazione gli ambiti di espressione.

Nell’arco del trentennio preso in esame da questa indagine abbiamo assistito ad un cambiamento dei modi di fare giornalismo e di essere giornalisti, che può essere paragonato ad una vera e propria rivoluzione epocale. Sono cambiati non solo i numeri complessivi di una categoria che è balzata dai quasi 30.000 iscritti complessivi (professionisti e pubblicisti) del 1975 ai quasi 110.000 del 2009, ma sono cambiate strutturalmente le condizioni del lavoro. Ciò nonostante la professione è ancora oggi regolata da una legge che risale al 1963 e che, non avendo subìto alcuna modifica per la colpevole incapacità del legislatore, dimostra tutti i segni del tempo.

Basti pensare che per la legge del ’63 la pratica giornalistica può svolgersi soltanto presso un quotidiano, o un’agenzia quotidiana a diffusione nazionale o un periodico a diffusione nazionale o nel servizio pubblico radiotelevisivo. Se questa norma di legge non fosse stata interpretata in termini estensivi, tali da farvi rientrare tutti quei nuovi media che non erano inizialmente compresi, oggi avremmo uno scenario pauroso, nel quale la maggioranza di coloro che fanno informazione sarebbero esclusi dall’esercizio della professione giornalistica.

La norma di legge è stata intelligentemente interpretata da chi è stato chiamato ad applicarla in modo che potessero essere riconosciuti come giornalisti anche coloro che svolgevano questa professione nelle televisioni private, nazionali e locali, negli uffici stampa di enti pubblici e privati, nei siti online e nel mondo del web oltre che ovviamente nelle agenzie di stampa e nei periodici anche di ambito territoriale. E ancora, non ci si è limitati a consi derare giornalisti soltanto coloro che avevano un rapporto di lavoro subordinato, ma si è esteso l’accesso all’albo anche a tutti coloro che svolgono attività giornalistica esclusiva di lavoro autonomo: qui c’è il mondo tumultuoso e crescente dei freelance.

L’indagine di Lsdi fotografa questa evoluzione e fornisce elementi statistici di estremo interesse per quanti, come noi, sono quotidianamente impegnati nell’attività sindacale al fine di individuare gli strumenti più idonei per la tutela degli interessi dei lavoratori del settore.

Se dal 1975 al 2009 il numero dei giornalisti professionisti è poco più che triplicato, mentre quello dei giornalisti pubblicisti è quasi quintuplicato, vuol dire con tutta evidenza che si sono sostanzialmente modificati gli equilibri all’interno della categoria a favore di prestazioni di lavoro più flessibili ma anche più friabili. Il che è dimostrato,
inoltre, dall’alterazione dell’equilibrio tra lavoratori subordinati e lavoratori autonomi.

Il lavoro subordinato copriva nel mondo dell’informazione quasi la totalità degli addetti, tanto è vero che la legge istitutiva dell’ordinamento professionale dei giornalisti aveva come anomalia e come obiettivo quello di regolare una prestazione professionale svolta integralmente in regime di lavoro subordinato. Oggi non è più cosi. Il numero dei giornalisti con rapporto di lavoro autonomo è cresciuto e continua a crescere, si tratta non solo di pubblicisti ma anche e sempre più di professionisti con le inevitabili conseguenze che tutto ciò comporta sul quadro complessivo della professione: maggiore flessibilità, ridotte garanzie sociali, minori livelli contributivi. Grazie ancora alla strumentazione tecnologica, il lavoro autonomo non è più marginale o aggiuntivo ma è diventato sempre più concorrenziale al lavoro subordinato. Freelance non è solo il commentatore, l’analista o l’opinionista, il collaboratore esperto e affidabile che svolge un’attività integrativa a un’altra principale, ma è anche colui che raccoglie e fornisce informazione, occupando il campo e le mansioni che erano proprie delle redazioni.

Assistiamo al fenomeno sempre più dilagante che i giornalisti lavoratori subordinati sono coloro che lavorano al desk nelle redazioni obbligati a rivedere testi provenienti dall’esterno e a gestire l’enorme flusso informativo che attraverso le agenzie e la rete invade quotidianamente le redazioni, mentre i freelance finiscono per essere i giornalisti che hanno un rapporto immediato e diretto con la notizia, che seguono i fatti e li raccontano.

Assistiamo così ad un pericoloso fenomeno di divaricazione della professione che potrebbe avere conseguenze devastanti. Il Sindacato è stato consapevole sin dal primo momento di questo pericolo e ha voluto imporre, per esempio, nel testo contrattuale, sin dagli anni ’80, una norma che garantiva ai giornalisti addetti al desk il diritto di essere adibiti almeno un giorno a settimana ad altre mansioni che comportassero, appunto, la stesura di articoli e non la cucina redazionale.

Ciò nonostante, ho la convinzione che questa norma non abbia mai trovato una seria applicazione, certo per responsabilità degli editori ma anche per acquiescenza dei giornalisti, che molto spesso preferiscono lavorare in redazione piuttosto che cercare all’esterno le notizie, favorendo la crescita di forme svariate di lavoro autonomo, essenzialmente precarie.

Questo è il problema più rilevante che il Sindacato di categoria è oggi chiamato ad affrontare. La ricerca di Lsdi ci documenta come nel 2009 poco più di 4.000 iscritti alla gestione separata dell’Inpgi hanno dichiarato un reddito pari a zero e come più del 55% degli iscritti abbia redditi dichiarati al di sotto dei € 5.000 all’anno. Si tratta di un dato terribile! Perché dimostra che una parte consistente della categoria è in una situazione di sofferenza economica. Se prima il freelance era soprattutto un pubblicista che svolgeva altra attività e che incrementava il suo reddito con collaborazioni e prestazioni giornalistiche, oggi è principalmente un professionista che non ha altri redditi e vive di solo giornalismo: in buona parte al di sotto dei limiti di sussistenza.

E’ un problema enorme, che però non scopriamo ora. Da anni abbiamo chiesto alla nostra controparte editoriale di poter regolamentare contrattualmente anche il lavoro autonomo. Abbiamo trovato sempre porte sbarrate e nessun indirizzo normativo di sostegno ed è stata necessaria la mobilitazione di tutta la categoria e la perseveranza del Sindacato per ottenere i primi risultati, che non sarebbe però giusto considerare marginali o poca cosa.

Oggi disponiamo di strumenti contrattuali che ci possono aiutare. Abbiamo un accordo collettivo con la Federazione Italiana Editori Giornali che stabilisce garanzie, sia pure minime, per i lavoratori autonomi. Abbiamo un accordo collettivo con Aeranti Corallo, che assicura trattamenti minimi ancora migliori per i freelance che lavorano nell’emittenza radiotelevisiva in ambito locale.

Abbiamo – e questo è l’ultimo risultato sindacale – un accordo collettivo con l’Unione della Stampa Periodica (Uspi) che regolamenta in modo organico le prestazioni dei lavoratori autonomi nelle testate periodiche e che ha introdotto per la prima volta un tariffario dei compensi minimi sia per le prestazioni occasionali sia per le collaborazioni coordinate e continuative. Si tratta di primi risultati, certo insufficienti, ma non disprezzabili. Il Sindacato è consapevole che su questa strada occorre andare avanti con la necessaria fermezza e con ostinazione.

Fermezza e ostinazione che abbiamo messo anche nella ricerca delle tutele assistenziali e previdenziali. La gestione separata dell’Inpgi, nella quale confluiscono i contributi di tutti i giornalisti che prestano lavoro autonomo, è stata modificata in modo da consentire la separazione tra i prestatori di lavoro in regime di parasubordinazione (co.co.co.) e prestatori di lavoro freelance.

Questa distinzione, contrattata a lungo con la controparte editoriale, ha consentito di elevare sensibilmente la contribuzione per i collaboratori coordinati e continuativi, accollando agli editori i due terzi del costo e impegnandoli ad aprire le posizioni previdenziali. Su questa strada stiamo lavorando insieme alla Casagit per individuare un percorso assistenziale sanitario anche per i lavoratori autonomi.

Il Sindacato, perciò, non è stato fermo in tutti questi anni, né è stato miope, ma anzi ha cercato, pur con povertà di mezzi e strumenti, di prevedere i mutamenti della professione. La crescita smisurata del numero dei giornalisti deve però indurci anche ad una riflessione e all’obbligo della sincerità nei confronti di tutti i colleghi iscritti all’albo. Se oggi gli iscritti all’albo sono quasi 110.000 bisogna con chiarezza saper dire a tutti i nuovi colleghi
che il sistema complessivo dell’informazione, per quanto si sia dilatato, non consente di assorbire una massa cosi elevata di addetti (come evidenzia anche la circostanza che poco più del 49% degli iscritti all’Ordine non figuri nella realtà professionale certificata presente nel mondo del lavoro: cioè né titolari di rapporto di lavoro dipendente, né pensionati giornalisti, né iscritti alla gestione separata Inpgi).

Una forza lavoro cosi smisurata rispetto alle richieste di mercato si risolve ineluttabilmente nel precariato, nella marginalizzazione, nella disoccupazione. E’ bene non farsi illusioni né demagogicamente
illudere tutti coloro, soprattutto i giovani, che sono ammaliati dal fascino della nostra professione.

Fatta questa doverosa quanto ineludibile precisazione, non vi è dubbio che il Sindacato unitario dei giornalisti debba perseguire tutte le vie per garantire le migliori condizioni di lavoro anche a questo segmento sempre più rilevante della professione. Lo stiamo facendo sul piano della struttura sindacale: abbiamo modificato il regolamento federale costituendo una assemblea nazionale dei giornalisti free lance, una commissione nazionale sul
lavoro autonomo e affidando ad un membro della Giunta Esecutiva e un coordinatore eletto le responsabilità del settore.

Lo abbiamo fatto e continueremo a farlo sul piano contrattuale, previdenziale e assistenziale. Ma è necessario anche stimolare il legislatore perché prenda atto di questa nuova realtà del mondo del lavoro che non riguarda soltanto i giornalisti, come è necessario riportare in testi legislativi nazionali e comunitari le osservazioni dell’ ILO (Organizzazione Internazionale Onu per il Lavoro) sulla opportunità che la questione del precariato sia affrontata anche nell’ambito della tutela dei diritti umani e di una dichiarazione universale di diritti e dignità. Lavoriamo, perciò, intensamente con la Federazione Europea e quella internazionale dei giornalisti e ancora di più sul piano nazionale.

Abbiamo un grande lavoro che ci attende. Ma troveremo le soluzioni adeguate alla complessità dei problemi che abbiamo di fronte soltanto se continueremo a conservare il senso dell’unitarietà della categoria e della sua rappresentanza sindacale, così come la vollero i padri fondatori della nostra organizzazione nel lontano 1908, senza cedere alle suggestioni della settorializzazione. Per il nostro lavoro di oggi e di domani questa indagine di Lsdi è, perciò, uno strumento altamente prezioso.


L'intero rapporto Giornalismo: il lato emerso della professione. Una ricerca sulla condizione dei giornalisti italiani visibili è disponibile qui


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