Il 19 maggio 1296 moriva Celestino V. Un ricordo in versi

19 Maggio 2010   09:22  

Il 19 Maggio del 1296 nel castello-fortezza di Fumone (oggi provincia di Frosinone), dopo 10 mesi di rigida prigionia, praticamente era stato murato vivo, moriva, o forse è più preciso dire, veniva ucciso, Papa Celestino V. In quel modo atroce finiva la storia di Pietro Angeleri, detto anche Pietro da Morrone iniziata in Molise intorno al 1210, si èra poi sviluppata in Abruzzo partendo dagli eremi costruiti dal giovane frate tra le rocce del Morrone e della Maiella, fino all’incoronazione a Papa il 29 agosto del 1294 nella Basilica di Collemaggio a L’Aquila. La vita del Papa del “gran rifiuto” è stata oggetto di un’ampia ricerca da parte di Giuseppe Tontodonati (1917-1989) “il poeta della storia d’Abruzzo” come lo ha definito il Prof. Umberto Russo nella prefazione del volume postumo “Sam Bbietre Céle” (Ediz. La Panarda – 2007, Rosciano) un volume, ad oggi unico nel suo genere, che raccoglie tutta la vasta produzione poetica di Tontodonati sulla figura di Celestino V. Tra i tanti versi, ecco come Tontodonati rievoca la morte del Santo e, a seguire la relativa analisi di Umberto Russo. “ Storie de Cilistine da Murrone // che lu puhete cande a bbassa voce // Ohi mure de la rocche de Fumone // addò’ ‘stu Sande fu traffitte ‘n croce..! // Fu Bbunefàzie..chelu lazzeròne, // a ccundannàlle a ffà na mort’atròce. // ji facì piandà ‘n còcce ne cendròne.., // e ppe’ la Cchjìse ‘stu dellìtte còce..! // A Fumone allestirene lu murtòrie..// e ‘st’assassine, dendr’allu papàte, // passì come Semòne pe’ la stòrie. // De Frà Cele profume la memòrie!..// e dde le Sacre spòjje ‘nzanguenàte // se fà ne pedestàlle pe’ la glòrie.// - (dalla prefazione di Umberto Russo al volume Sam Bbietre Céle del 2007) - “Ultimo di questa serie, il sonetto “Storie de Celistine..” è tutto dedicato alla rievocazione della morte del Papa, un canto “a bbassa voce” lo definisce l’autore, come preso da un senso di profondo rispetto per la triste vicenda. Comincia con l’invocare le mura della Rocca di Fumone, luogo del martirio del Santo, ancora una volta egli viene equiparato a Gesù,dal momento che la sua fine è descritta come una crocifissione. Nella seconda quartina diviene protagonista il suo crudele persecutore, “...chelu lazzarone” di Bonifacio VIII, che ordinò, secondo una certa versione dei fatti accolta dall’autore, di uccidere Celestino conficcandogli un chiodo nella nuca; la condanna del misfatto prosegue nella prima terzina quando a Bonifacio toccano l’epiteto di “assassino” e l’accusa di essere stato un Papa simoniaco (come, del resto, aveva detto Dante). In contrapposizione a questa sequela di invettive, la chiusura del sonetto torna a un registro celebrativo, con l’esaltazione di Fra Céle” e delle sue sacre spoglie, circonfuse di gloria. La disposizione chiastica dei fatti narrati conferisce al sonetto una bella compattezza strutturale, nella quale si rilevano le frasi esclamative, quasi momenti di ammirata contemplazione del drammatico ma glorioso transito di Celestino V”.

Raffaele Tontodonati


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