Il radon di Giampaolo Giuliani, i rospi di Gian Antonio Stella

05 Ottobre 2010   08:31  

Ha reso noto questa notte sul suo profilo facebook il ricercatore Giampaolo Giuliani:

''Rn 2600-3000 sopra soglia. Strumentali bacino aquilano. Possibilità aventi udibili zone urbanizzate. Sismicità anche oltre 25-40 km raggio AQ.''

Piccole scosse in vista, dunque: il gas radon, considerato da Giampaolo Giuliani un precursore dei terremoti e registrato dalle sue apparecchiature in queste ore è in una concentrazione superiore alla media e dunque entro le 6-24 ore, secondo la teoria di Giuliani, si verificheranno eventi sismici, non però di particolare intensità e pericolosità, sotto la soglia del 3.0, in un raggio di 25-40 km, par di capire a partire da L'Aquila città. Per fare un paragone, spiega Giuliani, prima del sei aprile 20009 l'incremento di radon fu pari a 6.050 conteggi sopra la media, il doppio di quelli registrati ieri e si verificò una scossa del 6.3.

E a proposito di previsioni e terremoti. Tutto da leggere l'articolo di Gian Antonio Stella pubblicato ieri sul Corriere della sera.


Non siamo dei rospi, purtroppo

A differenza di molti animali, l'uomo non è in grado di sentire i terremoti. Sa però che vive in un pianeta dove ce ne sono un milione l'anno, e sta imparando a prevenirli. Non in Italia

di Gian Antonio Stella

Racconta Mario Costa Cardol nel suo libro Ingovernabili da Torino (Mursia, 1989) che Wilhelm Rüstow, prussiano di nascita, svizzero d'adozione, ufficiale garibaldino fino alla battaglia del Volturno, era convinto che una delle ragioni per cui i soldati borbonici non riuscirono a opporre resistenza a Giuseppe Garibaldi fosse un terrore superstizioso.

Erano convinti che il condottiero fosse invincibile grazie a un'ostia benedetta che aveva in corpo e lo rendeva intangibile: «L'opinione che Garibaldi fosse un uomo normale non aveva quasi più seguaci. Gli ufficiali borbonici pazzamente alimentavano queste pericolose idee, allo scopo di giustificare se stessi».

Un po' tutta la storia d'Italia dalle origini è segnata dalla superstizione. «Superstizioso come una donnicciuola», secondo Giulio Castelli, autore del libro Il Vaticano nei tentacoli del fascismo (Donatello De Luigi Editore, 1946) era Benito Mussolini, che si portava dietro come un amuleto lo zucchetto che gli aveva regalato Pio X sperando gli evitasse grane dopo che il Papa aveva detto «chi colpisce l'Azione cattolica colpisce il Papa e chi colpisce il Papa muore. Qui mange du Pape en meurt».

Superstizioso Enrico De Nicola, il primo Presidente della Repubblica, che aveva un cassetto pieno di spille, chiodi, ferri da cavallo e come segretario si teneva un fido "scartellato", cioè un gobbo. Superstizioso era Giovanni Gronchi, così convinto che un certo giornalista portasse sfiga che quando proprio non poteva non tirarselo dietro nei viaggi ufficiali faceva togliere gli specchi dall'aereo. Per non dire di un altro capo dello Stato, Giovanni Leone, che da presidente della Camera, quando doveva richiamare all'ordine un deputato iettatore urlava: «Onorevole Vito Scalia! Onorevole Scalia!». E quando quello chiedeva stupito perché mai ce l'avesse con lui che non c'entrava, rispondeva: «Onorevole, fra meridionali c'intendiamo...».

Vi chiederete a questo punto: che cosa c'entrano i terremoti? C'entrano. Perché c'è anche questo inguaribile sentimento, diffuso non solo nelle terre napoletane della Smorfia se è vero che sugli aerei italiani non c'è il sedile numero 13 e negli alberghi italiani non c'è il 13° piano, dietro l'incapacità del nostro Paese di affrontare in modo serio il problema: che cosa fare, per contenere i danni nelle catastrofi future? Meglio fare gli scongiuri. Anche in Giappone sono superstiziosi.

Al punto che qualche anno fa Laura Franza spiegava su Avvenimenti che ai grandi magazzini Tobu di Tokyo una coppia di rarissimi scarabei hirata kuwagata dagli occhi bianchi, considerati i più pregiati e più affidabili amuleti portafortuna, era stata venduta a 12 milioni di euro in valuta attuale. Un delirio. Che non acceca però i giapponesi impedendo loro di fare ciò che va fatto: prendere sul serio la probabilità che, scarabei o non scarabei, arrivi in ogni momento uno dei tanti terremoti che da sempre colpiscono le isole nipponiche e sempre continueranno a farlo.

Giulietta, una francese che abita in Giappone, «dove tutti vivono con i sensi in costante allerta e con la perenne spada di Damocle sulla testa del grande terremoto che dovrebbe colpire la regione di Tokyo nei prossimi 30 anni», ha raccontato la sua esperienza su www.expatclic.com:

«Il Big One è un gioco educativo sulla prevenzione dei rischi legati ai terremoti e sui terremoti stessi. Lo scopo di questo incrocio tra un gioco dell'oca e un Trivial Pursuit è di mettere i giocatori nella situazione, prima, durante e dopo una grande scossa sismica, in modo da poter immaginare e memorizzare i gesti giusti. (...) Le carte arancioni, 20, sono invece delle domande trabocchetto, che fanno tornare indietro il giocatore, come in un vero gioco dell'oca, ma insegnando qualcosa di utile per il prima e per il dopo terremoto. La mia carta diceva: la tua casa è andata distrutta, i membri della tua famiglia sono bloccati da un'altra parte della città, non conosci nessuno. Le linee telefoniche sono appena state ripristinate e vuoi utilizzare la segreteria Ntt per lasciare un messaggio ai tuoi famigliari. La segreteria è però tutta in giapponese, non puoi utilizzarla... Avresti dovuto fare esercizio, provare prima per non ritrovarti adesso in difficoltà».

A Tokyo, prosegue Giulietta raccontando delle periodiche esercitazioni antisismiche fatte con «una tenda riempita di fumo denso, in mezzo a vari ostacoli» o «un camion con una cucina attrezzata dove viene simulato un terremoto», le autorità impongono ai cittadini di «avere sempre con sé un documento con le proprie coordinate anagrafiche, le informazioni mediche e i dati delle persone da contattare in caso di urgenza, questo perché in caso di grossa scossa sismica i soccorsi devono lavorare rapidamente e disporre subito dei dati vitali (gruppo sanguigno, eventuali problemi medici, allergie). Queste carte sono disponibili in 22 lingue e ovviamente sono tutte tradotte in giapponese. Le nuove versioni contengono inoltre tutte le informazioni per utilizzare la segreteria telefonica attiva in Giappone in caso di grosso sisma, in modo che le famiglie separate possano comunicare».

Fatto sta che il terremoto che squassò il Giappone il 23 ottobre 2004, di magnitudo di poco inferiore a quella che in Irpinia nel 1980 aveva ucciso 3mila persone, provocò, grazie ai criteri antisismici con cui si costruisce in quel Paese, all'opera incessante di prevenzione, a un'organizzazione lubrificata e sempre all'erta 24 ore su 24, solo una ventina di morti. Prova provata che aveva ragione Francesco Guicciardini quando scriveva nei Ricordi politici e civili che «è vero che le città sono mortali, come sono gli uomini» ma «essendo una città corpo gagliardo e di grande resistenzia, bisogna bene che la violenzia sia estraordinaria o impietosisima a atterarla. Sono adunche gli errori di chi governa quasi sempre causa delle ruine della città; e se una città si governassi sempre bene, sarìa possibile che la fussi perpetua, o almeno arebbe vita più lunga sanza comparazione di quello che non ha».

Mezzo millennio fa aveva già capito tutto. Certo, nessuno è ancora riuscito a spiegare come diavolo si possa prevedere l'arrivo di un terremoto. Lo sanno i rospi, quando arriva. Tant'è vero che secondo uno studio della zoologa Rachel Grant della britannica Open University anche in Abruzzo il 96 per cento di una grossa colonia «era scomparso all'improvviso pochi giorni prima del sisma» per ricomparire cinque giorni dopo. Esattamente come era successo non molto tempo prima in Cina, a Mianzhu: «La nostra scoperta suggerisce che i rospi siano in grado di recepire i segnali presismici, quali il rilascio di gas e di particelle cariche, sfruttandoli come sistema d'allarme preventivo».

Anche le vipere, stando agli studi sulla civiltà etrusca che se ne serviva, sono in grado di intuire che la terra sta per dare uno scrollone. E così i serpenti in genere, dicono gli scienziati del centro sismologico di Nanning, provincia del Guangxi, Cina. Noi no, non riusciamo a "sentire" le scosse in arrivo.

A differenza di rospi e serpenti, però, noi sappiamo benissimo "dove" viviamo. La Terra non si è ancora "raffreddata" del tutto. Nel mondo, ha scritto Giorgio Dell'Arti, che è un infaticabile collezionista di dati, «ci sono ogni anno un milione di terremoti e i terremoti di magnitudo 5 sono 100- 150, cioè uno ogni tre- quattro giorni».

E come ha ricordato il Guardian dopo il sisma dell'Aquila, «l'Italia è l'area geologicamente più instabile in Europa, ha quattro vulcani attivi, montagne in crescita e molti terremoti». Il geofisico Enzo Boschi ha scritto nel suo libro Terremoti d'Italia (con Franco Bordieri, Baldini Castoldi Dalai, 2009): «Si calcola che in Italia ci siano stati una cinquantina di Big One, eventi superiori al X grado della scala Mercalli, capaci di radere al suolo qualunque edificio che non fosse costruito con i più avanzati sistemi antisismici. La Calabria (da un punto di vista sismologico appartiene a questa regione anche la punta nord-orientale della Sicilia) è la regione più sismica d'Italia. In appena 125 anni vi si sono verificati ben sette Big One: nel 1783, 1832, 1835, 1836, 1870, 1905 e 1908».

In una situazione come questa, in un Paese normale, la stessa scritta che c'è sull'elenco telefonico di Los Angeles («Ci saranno sempre terremoti in California») dovrebbe campeggiare ovunque. Provateci. E avrete una sollevazione delle autorità locali, delle pro loco preoccupate per il turismo, degli stessi cittadini: «Hiiii! Volete proprio portare sfiga?». Molto meglio affidarsi a san Gennaro, come fecero i napoletani l'ultima volta che il Vesuvio diede un botto, nel 1944, quando Norman Lewis nel libro Naples '44 descrisse il panico che sconvolse San Sebastiano al Vesuvio: «La lava si muoveva alla velocità di pochi metri all'ora, e aveva coperto metà della città con uno spessore di circa dieci metri. La cupola di una chiesa, emergendo intatta dall'edificio sommerso, veniva verso di noi sobbalzando sul suo letto di cenere».

«Non esiste al mondo una località a più alto rischio vulcanico di quella vesuviana, considerando l'abnorme concentrazione edilizia spintasi fino a poche centinaia di metri dal cratere», avverte da anni, inutilmente, il vulcanologo Franco Barberi. «Il vulcano è tranquillo, ma prima o poi dovremo fare i conti con una nuova eruzione», conferma pure inutilmente da anni Giovanni Macedonio, responsabile del settore geodesia dell'Osservatorio vesuviano, spiegando che il materiale incandescente sta pressato a una profondità di otto chilometri e che questo è insieme un bene e un male perché quando verrà su dovrebbe dare un po' di tempo per l'evacuazione, ma poi quello strato di lava «salterebbe come un tappo di champagne».

I resti di Ercolano e di Pompei sono lì a ricordare cosa accadde nel 79 d.C. in occasione dell'eruzione descritta da Plinio il Giovane: «La nube a forma di pino si sollevava alta nel cielo e si dilatava come emettendo rami». E tutti nella zona sanno che dal 1631 a oggi il Vesuvio ha brontolato più o meno rovinosamente 42 volte. In media ogni otto anni. Lo sapevano i trisnonni e poi i bisnonni e poi i nonni e poi i padri.

Eppure hanno continuato ad ammucchiare sul fianco del cratere migliaia e migliaia di case, non solo abusive. «Dopo il terremoto del 1980 fu varato un "piano Napoli" con la realizzazione di 20mila alloggi dentro la zona rossa. Tutti hanno continuato a far finta che fosse una montagna e non un vulcano», ricorda Marco Di Lello, ex assessore regionale, autore del "piano Vesuvia" che tentò senza successo di allontanare quante più famiglie possibili offrendo incentivi per abbandonare case che venivano subito occupate da altre famiglie.

«Il vincolo di divieto edilizio (legge regionale 21 del 2003) su 250 chilometri quadrati l'ho messo io e mi guardavano come un marziano. Faceva a cazzotti con il consenso. Quando il Vesuvio fece l'ultimo botto, nel 1944, l'area rossa aveva 200mila abitanti. Nel 2003 erano 600mila». Di più: «Gli avvocati posero subito il problema che gli edifici acquisiti non potessero essere abbattuti perché ci sarebbe stato un danno erariale». Di più ancora: «Sa quante volte mi sono trovato lì con le ruspe col motore acceso e l'ordinanza del Tar della Campania che bloccava tutto all'ultimo istante?». Risultato: stando al piano del 2004 per l'evacuazione di competenza della presidenza del Consiglio dei ministri, per portare via tutti in caso di emergenza ci vorrebbero 12 giorni. «Ma perché ricordarlo?».

Direbbe Pappagone: facimm 'e ccorna!

Per ripercorere la storia dell e catastrofi italiane, dal terremoto di Sanremo che nel febbraio 1887 devastò Bussana Vecchia (dove il governo mandò ai senzatetto solo assi di legno, chiodi e pece perché si costruissero da soli le baracche facendo poi seguire l'invio della fattura per il materiale) a quello di Messina del 1908, da quello in Belice del 1968 a quello in Friuli del 1976, da quello in Irpinia del 1980 a quello in Abruzzo del 2009, occorre partire da qui.

Dalla consapevolezza che il buon Dio ci ha regalato un Paese straordinariamente bello ma anche ad alto rischio. E che il rifiuto scaramantico di guardare in faccia la realtà è costato già troppe vite, troppe devastazioni, troppe perdite del nostro patrimonio artistico e monumentale. Una consapevolezza sempre mancata. Prova ne sia che solo la mattina dopo il terremoto dell'Aquila il governo Berlusconi cambiò il piano casa che fino a quel momento aveva del tutto ignorato le parole terremoto, scosse, sisma. Anzi, l'articolo 6, precipitosamente soppresso dopo il cataclisma abruzzese, era intitolato "Semplificazioni in materia antisismica".

Viene in mente quanto scrisse Jean-Jacques Rousseau sul catastrofico terremoto di Lisbona del 1755, furente con chi se la pigliava solo con il destino: «Dopotutto non è la natura che ha ammucchiato là 20mila case di seisette piani». E noi, due secoli e mezzo dopo, abbiamo ancora a che fare con chi fa le corna e si affida alla buona sorte.

nella foto un antico sismografo cinese

 


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