Istat: fotografia di un paese in declino da dieci anni con 15 milioni di poveri

Donne giovani, anziani soli pagano la crisi

23 Maggio 2011   12:01  

Nel decennio 2001-2010 l’Italia ha realizzato la performance di crescita peggiore tra tutti i paesi dell’Unione europea“.

Questo il giudizio dell’Istat sulla situazione economica della penisola, che emerge dai dati contenuti nel rapporto annuale ‘La situazione del paese nel 2010′, presentato oggi alla Camera dei deputati. L’Italia, nella definizione dell’istituto, è il “fanalino di coda nell’Ue per la crescita”, con un tasso medio annuo di appena lo 0,2 per cento contro l’1,3 registrato dall’Ue e l’1,1 dell’Uem. ”La crisi ha portato indietro le lancette della crescita di ben 35 trimestri, quasi dieci anni”, si legge nel documento, e l’attuale “moderata ripresa” ne ha fatti recuperare ancora solo tredici.

Anche l’inflazione continua a crescere: nella media dell’anno scorso l’aumento è stato dell’1,5 per cento, sette decimi di punto in più rispetto al 2009. Nell’anno in corso la tendenza sembra restare in rialzo. Per l’Istat, nei primi mesi del 2011, fino ad aprile, il tasso d’inflazione è aumentato al 2,6 per cento. Un terzo della risalita, secondo l’istituto, è dovuto alla sola componente energetica. Unica nota positiva contenuta nel rapporto: “A differenza di molte economie europee”, l’Italia non ha avuto bisogno durante la crisi “di interventi di salvataggio del sistema finanziario”. La situazione economica ha portato un italiano su quattro - il 24,7 per cento della popolazione, più o meno 15 milioni di persone – a “sperimentare il rischio di povertà o di esclusione sociale”. Un valore superiore alla media europea, che è del 23,1 per cento. Così una famiglia italiana su dieci è in arretrato nei pagamenti del mutuo o delle bollette, e quattro su dieci non si possono permettere una settimana di vacanza lontano da casa. Secondo l’Istat, quello concluso con il 2010, per l’Italia è stato un “decennio perduto”.

MEZZO MILIONE DI DISOCCUPATI IN PIU'

”In Italia l’impatto della crisi sull’occupazione è stato pesante”, conferma l’Istat. Nel biennio 2009-2010 il numero di occupati è diminuito di 532 mila unità. Tra questi, 501 mila sono giovani tra i 15 e i 29 anni. C’è chi non lavora, chi non studia né frequenta un corso di formazione: i giovani inattivi in Italia – con un calcolo al 2010 – sono più di due milioni, 134 mila in più rispetto a un anno prima. E insieme ai disoccupati, giovani e adulti, crescono anche gli scoraggiati. Nel 2010 sono stati circa 2 milioni gli italiani che hanno rinunciato a cercare un lavoro: 500mila tra loro sono però in attesa di una risposta di passate ricerche. Anche in questo caso l’Italia registra un primato negativo, con un’incidenza più che doppia del fenomeno “rispetto all’insieme dei Paesi dell’Unione”. La caduta dell’occupazione non è però uguale in tutta la penisola. Nel Mezzogiorno la discesa della manodopera industriale è doppia rispetto al centro-nord e anche l’impego della cassa integrazione è più massiccio. Nel sud, inoltre, si registra il minor numero di rientri sul posto di lavoro: il 33,6 per cento in confronto al 64,2 del nord. Per quanto riguarda ancora i giovani, resta preoccupante il numero di abbandoni scolastici prematuri nel Paese. Nel 2010 il 18,8 per cento dei ragazzi iscritti ha lasciato gli studi senza conseguire un diploma di scuola superiore. Una soglia molto più alta del limite del 10 per cento fissato come obiettivo nella Strategia Europa 2020, e comunque più di quattro punti in rialzo rispetto alla media europea.

800.000 DONNE COSTRETTE A DIMETTERSI PER GRAVIDANZA

 Nel 2008-2009 circa 800.000 madri italiane hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizioni di doversi dimettere in occasione o a seguito di una gravidanza. Si tratta dell'8,7 per cento delle donne che lavorano o hanno lavorato in passato. A subire piu' spesso questo trattamento, si legge nel dossier Istat, "non sono e donne delle generazioni piu' anziane, ma le piu' giovani (il 13,1% delle madri nate dopo il 1973), le residenti nel Mezzogiorno (10,5) e le donne con un titolo di studio basso (10,4)". E ancora: "le donne che lavorano o lavoravano come operaie (11,8%), quelle impiegate nell'industria (11,4), con un partner operaio (11) e con un basso livello d'istruzione (10,6)". Inoltre, solo 4 madri su 10 tra quelle costrette a lasciare il lavoro ha poi ripreso l'attivita', ma con valori diversi nel Paese: una su 2 al Nord e solo poco piu' di una su 5 nel Mezzogiorno. Le interruzioni imposte dal datore di lavoro riguardano piu' spesso le giovani: si passa dal 6,8% delle donne nate tra il 1944 e il '53 al 13,1 di quelle nate dopo il 1973. Per queste ultime generazioni, le 'dimissioni in bianco' quasi si sovrappongono al totale delle interruzioni a seguito della nascita di un figlio. Infine, le interruzioni prolungate, vale a dire le uscite dal mercato del lavoro che continuano dopo cinque anni, sono molto piu' elevate nel Mezzogiorno (77,1% dei casi, contro il 57,2 nel Nord-est).

MANCANO GLI ASILI NIDO, 40% RICORRE A QUELLI PRIVATI

In Italia le famiglie con bambini, le piu' aiutate dalla rete informale specie se la madre lavora, non possono contare su un'adeguata copertura di servizi sul territorio: la disponibilita' dei nidi e' "ancora ampiamente insufficiente" e il 40% dei bimbi che va al nido frequenta una struttura privata. E' in crescita il numero di bambini che vanno al nido, sebbene rimanga basso il tasso di frequenza (15%). Nel 77% dei casi la madre lavora, quota che segna un aumento di 7 punti percentuali rispetto al 2003. I bimbi che vanno al nido e hanno la madre casalinga sono invece il 12,5% (erano il 19,3 nel 2003). L'esperienza del nido e' piu' diffusa tra i piccoli del Centro (24,4%), mentre e' nel Mezzogiorno che si registra la quota piu' bassa (9,5).  

800.000 DONNE COSTRETTE A DIMETTERSI PER GRAVIDANZA

 Nel 2008-2009 circa 800.000 madri italiane hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizioni di doversi dimettere in occasione o a seguito di una gravidanza. Si tratta dell'8,7 per cento delle donne che lavorano o hanno lavorato in passato. A subire piu' spesso questo trattamento, si legge nel dossier Istat, "non sono e donne delle generazioni piu' anziane, ma le piu' giovani (il 13,1% delle madri nate dopo il 1973), le residenti nel Mezzogiorno (10,5) e le donne con un titolo di studio basso (10,4)". E ancora: "le donne che lavorano o lavoravano come operaie (11,8%), quelle impiegate nell'industria (11,4), con un partner operaio (11) e con un basso livello d'istruzione (10,6)". Inoltre, solo 4 madri su 10 tra quelle costrette a lasciare il lavoro ha poi ripreso l'attivita', ma con valori diversi nel Paese: una su 2 al Nord e solo poco piu' di una su 5 nel Mezzogiorno. Le interruzioni imposte dal datore di lavoro riguardano piu' spesso le giovani: si passa dal 6,8% delle donne nate tra il 1944 e il '53 al 13,1 di quelle nate dopo il 1973. Per queste ultime generazioni, le 'dimissioni in bianco' quasi si sovrappongono al totale delle interruzioni a seguito della nascita di un figlio. Infine, le interruzioni prolungate, vale a dire le uscite dal mercato del lavoro che continuano dopo cinque anni, sono molto piu' elevate nel Mezzogiorno (77,1% dei casi, contro il 57,2 nel Nord-est).

AIUTATE 2 FAMIGLIE CON ANZIANI SU 3, PIU' CURE AL NORD

Nel 2009 il 29,2 per cento delle famiglie con anziani ha ricevuto un qualche tipo di aiuto (gratuito, a pagamento o pubblico) per la cura e l'assistenza, ma e' al Nord-est che l'assistenza pubblica e privata e' piu' alta. La quota cui la quota di anziani assistiti aumenta con l'eta' e con l'aggravarsi delle condizioni di salute "raggiungendo il 49,6% quando l'anziano e' affetto da gravi limitazioni dell'autonomia funzionale, e il 61,5 se cio' ha riguardato un ultraottantenne". Secondo l'Istat la cura alle famiglie con anziani viene fornita in prevalenza dalla rete informale (il 16,2% nel 2009), anche se in misura minore rispetto al 2003 (17,7). Al contrario, nell'ultimo decennio il numero delle famiglie raggiunte dal settore pubblico e da quello privato e' passato, rispettivamente, dal 3,5 al 7,9% e dal 10,5 al 14. Nel caso di anziani con limitazioni gravi, sono cresciuti in misura rilevante sia il supporto informale (da 29,6 fino a 37,1% nel caso di ultraottantenni gravemente limitati), sia i servizi erogati dal settore pubblico (rispettivamente 22 e 27,6%) e dal privato (22,9 e 31,9%). L'incremento piu' rilevante di famiglie con anziani che trovano sostegno per la cura e l'assistenza nel pubblico si e' registrato nel Nord-est (dal 3,7% del 1998 al 10,8 del 2009), in particolare nel caso di famiglie con almeno un ultraottantenne (18,7% contro il 9,9 del Nord-ovest e il 12 del Mezzogiorno). Sempre nel Nord-est c'e' la quota piu' elevata di famiglie che hanno ricevuto servizi privati a pagamento (16,8 per cento); segue il Mezzogiorno (14,6). In entrambe le zone l'aumento rispetto al 1998 e' risultato piuttosto marcato (+5,4 punti nel Nord-est e +4,7 nel Mezzogiorno). Complessivamente dunque e' maggiore nel Nord-est la quota di famiglie con anziani con limitazioni gravi raggiunte da almeno un aiuto informale, pubblico o privato (55,8%), mentre nel Mezzogiorno la quota e' minima (46,9). E' qui che le famiglie con anziani gravemente limitati hanno fatto piu' spesso riferimento esclusivo alla rete informale (14,7% contro 10,4 del Nord-est). In generale nel Mezzogiorno, dove piu' alta e' la poverta' degli anziani, tutti i tipi di aiuti economici sono stati piu' bassi (2,8%).

DONNE PILASTRO ASSISTENZA, 2 MLD ORE AIUTO INFORMALE

Donne avanti tutta. In una situazione di crisi economica in cui il sistema del Welfare non appare adeguato a rispondere ai bisogni delle famiglie, le donne continuano a essere il pilastro della rete di aiuto informale e dell'assistenza e cura: nel 2009 hanno svolto 2,1 miliardi di ore d'aiuto a componenti di altre famiglie (suoceri, genitori, figli adulti), pari ai due terzi degli oltre 3 miliardi spese complessivamente.

L'aiuto offerto a chi non abita sotto lo stesso tetto, vanno aggiunte le ore che le donne dedicano alla famiglia 'vera e propria': un carico sempre piu' "insostenibile", si legge nel dossier, "soprattutto per chi lavora". Particolarmente rilevanti restano le differenze di genere: le donne sono state coinvolte per un numero maggiore di ore in attivita' domestiche (84,5%), assistenza di adulti (73), cura di bambini (66,7), aiuto nello studio (61,5), compagnia, accompagnamento e ospitalita' (57,2) e prestazioni sanitarie (57,1). Agli uomini resta il primato nel lavoro extradomestico (75,2), mentre sono equamente divise le ore dedicate a pratiche burocratiche (50,4). Nel complesso le donne hanno condiviso di piu' l'aiuto con altre persone e diminuito il tempo dedicato all'assistenza (da 37,3 nel 1998 a 31,1 ore al mese nel 2009), perche' ne hanno sempre meno a disposizione.

E' sceso anche il tempo dedicato dagli uomini agli aiuti (da 26,4 a 21,5 ore al mese). Le tendenze demografiche e i cambiamenti nel rapporto delle donne con il mercato del lavoro sono state alla base di difficolta' crescenti della rete informale di aiuti. La rete di parentela e' sempre piu' 'stretta e lunga', rivela l'Istat, e ogni potenziale 'care giver' (chi ha oltre 14 anni d'eta' e fornisce aiuto gratuito a persone non abitano nella stessa casa) ha meno persone con cui condividere l'aiuto nella rete di parentela, meno tempo da dedicare agli aiuti e un maggior numero di individui bisognosi d'assistenza per un periodo di tempo piu' lungo.

SEMPRE MENO FIGLI E AUMENTA NUMERO DONNE SENZA PROLE

Le donne italiane di oggi diventano madri piu' tardi, fanno meno figli e una percentuale sempre piu' alta di loro non partorisce. Le donne nate nel 1970 hanno avuto in media 1,4 figli, quelle nate nel '60 circa 1,7 e quelle del '40 quasi due. E mentre il numero dei figli si riduce, l'eta' del primogenito si sposta in avanti: le quarantenni di oggi sono diventate madri per la prima volta alla soglia dei 30 anni, tre anni piu' tardi delle donne nate nel '60 e 5 rispetto a quelle nate nel '40. Aumenta anche la quota di chi non diventa madre: secondo le stime Istat alla fine del percorso produttivo a non aver avuto figli sara' circa il 20% delle donne nate nel 1970, contro una percentuale del 13% per le generazioni del 1960 e del 1940. Un maggior numero di donne delle generazioni piu' giovani, dunque, una volta divenute anziane non avra' figli che potranno prendersi cura di loro. (AGI) Gav

2 MILIONI ANZIANI E MALATI SOLI, IL 37,6% NEL MEZZOGIORNO

Sono due milioni in Italia le persone, in gran parte anziani o adulti in gravi condizioni di salute che sono abbandonati a se' stessi e il 37,6% risiede nel Mezzogiorno.

Si tratta di persone, spiegano gli analisti Istat, "che non sono state raggiunte da alcun tipo di sostegno pur vivendo sole o con altre persone con limitazioni, o in un contesto familiare parzialmente o del tutto incapace di rispondere ai loro bisogni". Nel Mezzogiorno il 57% delle persone in queste condizioni ha dichiarato che le risorse della propria famiglia sono scarse o insufficienti; nel Nord-est questa stessa situazione riguarda il 48% del totale.

La forte riduzione della spesa sociale che, si legge nel rapporto, "negli anni a venire sara' inevitabilmente condizionata dallo stato delle finanze comunali e dalla riduzione del fondo sociale, mettera' seriamente a repentaglio la situazione delle famiglie di anziani raggiunti solo da aiuti pubblici (3%) o da un mix di questi con altri tipi d'aiuto (4,8), per un totale di circa 700mila famiglie.

9 GIOVANI SU 10 CHE HANNO PERSO LAVORO VIVONO IN FAMIGLIA

In Italia 9 giovani su 10 che hanno perso il lavoro nel 2010 vivevano in famiglia. Il fenomeno e' particolarmente accentuato tra gli uomini, dove la riduzione occupazionale dovuta ai figli (-7,2%, pari a -108.000 unita') e' stata quasi uguale a quella totale, e il tasso di occupazione specifico e' sceso dal 45,4% del 2009 al 42,6". La flessione dell'occupazione femminile ha, anche in questo caso, interessato soprattutto le donne che ricoprono il ruolo di figlie (-6,3% pari a -56.000 unita'), coinvolgendo comunque anche quelle che vivevano fuori dalla famiglia d'origine. 

DUE RAGAZZI SU 10 INTERROMPONO STUDI, SICILIA MAGLIA NERA

Due ragazzi su dieci tra i 18 e i 24 anni d'eta' nel 2010 hanno abbandonato gli studi senza aver conseguito un titolo superiore. Le differenze territoriali sono marcate: "particolarmente grave la situazione della Sicilia", si legge nel dossier Istat, "dove oltre un quarto dei giovani lascia la scuola con al piu' la licenza media.

Percentuali superiori al 23% si registrano anche in Sardegna, Puglia e Campania". Piu' in linea con il traguardo europeo del 2020 (ridurre entro la fine del decennio il tasso d'abbandono a un valore inferiore al 10%) appare il Nord-est "con un tasso intorno al 12% nella provincia autonoma di Trento e in Friuli Venezia Giulia". In particolare il fenomeno degli 'Esl' (Early school leaver) ha riguardato l'anno scorso il 18,8% dei giovani, particolarmente i ragazzi (22% contro il 15,4 delle ragazze). Sugli abbandoni, spiega il focus, pesa anche il basso livello d'istruzione e professionale dei genitori: "l'abbandono degli studi prima del diploma riguarda il 44% dei giovani i cui genitori hanno al massimo la licenza elementare e circa il 25 di quelli i cui genitori posseggono al piu' quella media". Inoltre, "incidenza molto contenute di abbandoni (pari al 7,4% e al 2) si riscontrano invece per coloro che provengono da ambienti culturalmente piu' elevati".

Nel contesto europeo, comunque, il Bel Paese si piazza, insieme con la Bulgaria, in fondo alla classifica con un tasso d'abbandono degli studi molto distante dalla media dei Paesi membri, e al contempo con un tasso d'occupazione di coloro che lasciano scuola "inferiore al 50%, anche se tale posizione puo' dipendere da una presenza relativamente maggiore del 'lavoro sommerso'".


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