di Lorenzo Rotellini*
Tra le numerose iniziative svoltesi a celebrare questo secondo anniversario del terremoto che ha colpito L’Aquila e provincia, segnalo un convegno tenutosi a Roma e organizzato da “Italia Nostra” proprio in occasione di questa tragica ricorrenza, convegno dal titolo generico: “La città venduta - 20 anni di urbanistica contrattata”. Uno degli interventi in scaletta è stato affidato all’architetto Pier Luigi Cervellati, docente di “Recupero e riqualificazione urbana e territoriale” presso la Facoltà di Architettura dell'Università di Venezia, titolo del suo intervento: “L’Aquila come caso emblematico del tracollo dell’urbanistica italiana”. Purtroppo non ho potuto presenziare, e con profondo rammarico, tuttavia ciò non mi ha impedito di affrontare una riflessione sulla base degli argomenti trattati.
Il primo, quanto semplice, spunto che ne traggo è questo: mentre a L’Aquila assistiamo quotidianamente al teatrino delle polemiche sulla ricostruzione ed i suoi cittadini continuano a promuovere iniziative più o meno estemporanee, insigni urbanisti di livello nazionale discutono delle attuali condizioni della nostra città in termini non proprio edificanti, viste le premesse!
Ma cosa si intende per “urbanistica contrattata”? Essa di fatto si manifesta ogni volta che l'iniziativa delle decisioni sull'assetto del territorio non viene presa per l'autonoma determinazione degli enti che istituzionalmente esprimono gli interessi della collettività, ma per la pressione diretta, o con il determinante condizionamento, di chi detiene il possesso di consistenti beni immobiliari. Quando insomma comanda la proprietà privata, e non il Comune, un’autentica consuetudine dalle nostre parti (vedi le numerose varianti al PRG). A questo genere di discussioni la maggior parte della popolazione aquilana non sembra avere accesso per svariati motivi, ma sono tantissime le persone che in questo post-terremoto stanno sperimentando, sulle proprie vite, le criticità e le disfunzioni urbanistiche di cui soffre il nostro territorio.
Al seguito di un piano regolatore ormai datato 1975, che già non aveva impedito alle speculazioni edilizie di creare quartieri come Pettino nati senza una logica e senza servizi, è arrivato il 6 aprile 2009 e la protezione civile con le sue 19 new towns, un totale di 4500 appartamenti costruiti prevalentemente su aree agricole, una soluzione già preventivamente criticata dall'Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) presieduto da Federico Oliva.
Data 25 Maggio 2009 invece la delibera 58 con la quale il consiglio comunale dettava i “criteri per la localizzazione e realizzazione di manufatti temporanei”, in pratica una città di legno, anch’essa distribuitasi disordinatamente e perlopiù in campagna. Benché tale delibera sia stata ritirata ormai dal dicembre del 2010 e nonostante i numerosi abusivismi ammessi dal comune stesso, anche questa città provvisoria sta prendendo gradualmente la forma del definitivo, con le primissime richieste di sanatoria giunte in comune! A tutto questo va inoltre aggiunta tutta una serie di strutture pubbliche, comprese quelle derivanti dalla beneficenza degli italiani e non solo, che costellano città e frazioni: M.A.P., M.U.S.P., chiese di legno, auditorium, centri polifunzionali, centri anziani, poli-ambulatori e quant’altro. Si stima un totale di 350 ha di insediamenti realizzati in contrasto con la pianificazione normativa vigente, una cifra in continuo aggiornamento. A queste criticità, che potremmo definire organiche o strutturali, rischiano di aggiungersi quei faraonici e quantomeno discutibili progetti che, preesistenti e non alla data del 6 aprile, sembrano stranamente emersi con una certa prepotenza nel post-sisma: Centrale a biomasse, “vasche Goio”, Variante sud, gasdotto Snam!
L’elenco di queste vere e proprie emergenze urbanistiche aquilane, seppur rapido, non può prescindere dalle cosiddette aree bianche, ovvero le vecchie aree su cui il vincolo imposto dal PRG a servizi pubblici e verde pubblico è ormai decaduto da tempo. Si stimano cinque milioni di metri quadri di terreni da ridisciplinare, sui quali il comune dell’Aquila è storicamente inadempiente, limitandosi a reiterarne all’infinito il vincolo quinquennale. Il tutto avviene mentre sono sempre più numerosi i cittadini proprietari di terreni ricadenti in aree a vincolo decaduto che intraprendono le vie legali contro il comune. Passando per il Tar, e il giudice amministrativo infatti, si può ottenere la nomina di un commissario ad acta che di fatto si sostituisce all’amministrazione comunale e, su istanza dei proprietari, ha il potere per decidere autonomamente la destinazione d’uso dei terreni. Attualmente sembra che delle 260 aree bianche da normare 50 siano gia state commissariate! Di fatto è una buona fetta di territorio a rischio cementificazione sulla quale il comune non avrà voce in capitolo! Mentre va da sé che anche in caso di normalizzazione di questa atavica anomalia, la partitocrazia aquilana non esiterebbe un secondo a rinormare queste zone a residenziale (si parla di un indice di edificabilità che va da 0,20 a 0,40 mq/mq di SU).
Mentre questo secondo terremoto sta inesorabilmente travolgendo questo comune esiste un assessorato di riferimento, presieduto da Roberto Riga (urbanistica), e di fatto potenziato con la nomina di Daniele Iacovone incaricato di redigere i “piani di ricostruzione”, o più correttamente “piani di rigenerazione urbanistica”, diventato inconsapevolmente oggetto dell’attenzione di importanti convegni di settore i quali impietosamente definiscono L’Aquila come “un caso emblematico del tracollo dell’urbanistica italiana”. Un assessorato che, paradossalmente, gli elettori locali hanno messo in discussione solo sui piani di emergenza, e quindi in virtù della delega alla protezione civile (di cui è anch’egli il titolare) e non all’urbanistica! Il resto dei nostri amministratori, compreso il Sindaco e gran parte dell’intellighenzia cittadina invece, insistono con la roboante e fantomatica “cantilena” della “città territorio”, anche sé, con questa definizione, non si sa ancora cosa si intenda, visto che l’unico riscontro all’atto pratico è solo urbanizzazione contrattata, cementificazione selvaggia e “periferizzazione forzata” di aree a secolare vocazione agricola (e spesso a rischio idrogeologico). Uno scontro periferia campagna che insiste su un territorio vasto quanto l’intera valle dell’Aterno che, demograficamente, non fa altro che diminuire! Il tutto accade in un momento in cui la ricostruzione dei centri storici e dei beni artistici danneggiati dal sisma basterebbe da sola ad accontentare le esigenze lavorative di tutti gli imprenditori del settore edile, dell’Aquila e non solo!
Una difficile, quanto drastica, inversione di tendenza a questo perverso meccanismo che molto velocemente sta alterando in maniera irreversibile ogni forma di razionalità urbanistica di questo comune, potrebbe arrivare solo dall’adozione di un piano regolatore a “volume zero”, un perentorio stop al consumo di suolo come già avviene in molti comuni virtuosi d’Italia, quasi una banalità se riferita ad un territorio dove in 2 anni si è costruito quello che in condizioni normali non si sarebbe costruito con 30 anni! Una politica urbanistica ispirata al principio del risparmio del suolo e al recupero del preesistente, indirizzando il comparto edile sulla ricostruzione dei centri storici regolamentata da “piani di rigenerazione urbanistica” volti a garantirne sia le peculiarità storico-estetiche e, allo stesso tempo, a favorirne vivibilità, sicurezza e qualità della vita. Un nuovo incastellamento quindi, come quello che secoli fa dette origine e forma ai nostri paesi oggi distrutti, solo che questa volta non si fugge da potenziali invasori… un nuovo incastellamento per fuggire dalla barbarie urbanistica della valle!
*Associazione Gruppo Ecovalle