L'Aquila: concussione, chiesta archiviazione per rettore Di Orio

26 Ottobre 2010   12:44  

Il Pm Pietro Giordano della Procura di Roma, dopo la fase istruttoria e acquisita la relativa documentazione, è giunto alla conclusione di chiedere l'archiviazione delle accuse di concussione a suo tempo rivolte al rettore dell'Università dell'Aquila prof. Ferdinando di Orio.
A comunicarlo è lo stesso rettore, che commenta così la notizia: "Accolgo con grande soddisfazione la decisione del Pubblico Ministero ma non posso non rammaricarmi del danno di immagine causato all'Università dell'Aquila dalla prezzolata macchina del fango, che in questi mesi si è messa in azione contro la mia persona. A tal proposito, comunico che nessun altra inchiesta è stata mai avviata nei miei confronti o nei confronti dell'Ateneo aquilano, come falsamente sostenuto anche in una recente interrogazione parlamentare".

Mantenendo fede all'impegno assunto nel comunicato stampa del 15 aprile scorso, a conclusione dell'intera vicenda il rettore prof. Ferdinando di Orio terrà una conferenza stampa nella quale illustrerà i veri termini della questione e le procedure avviate per la richiesta di risarcimento danni nei confronti della sua persona e di quelli dell'istituzione universitaria aquilana.

Ecco cosa scriveva, il 28 aprile scorso, su 'Il Giornale', il "segugio" Gianmarco Chiocci, lo stesso che ha condotto l'"inchiesta" sulla casa di Montecarlo.


L'Aquila, indagato il rettore "fan" di Di Pietro.

Più del terremoto. C’è un’inchiesta sul Rettore dell’Aquila che rischia di fare serissimi danni all’università abruzzese. Ferdinando Di Orio, il Magnifico, è indagato per concussione. Giorni fa si è visto recapitare un avviso di garanzia dalla procura locale che insieme ai carabinieri sta cercando di venire a capo delle clamorose accuse lanciate da un professore della facoltà di Medicina. Accuse che porterebbero a un impressionante giro di soldi, passati in una decina d’anni dal conto corrente del professore a quello del rettore, per un ammontare complessivo di oltre 200mila euro. Versamenti dovuti «a titolo personale», così dice il docente denunciante, pena la minaccia da parte del rettore di ricorrere a una serie di atti ritorsivi. Vero? Falso? Il rettore nega disgustato. Il professore esibisce copie degli assegni.

Questa la storia su cui indaga la procura: il 13 settembre 2009 il titolare della cattedra di Igiene e Medicina Preventiva nonché direttore del centro di Epidemiologia, Sergio Tiberti, inoltra una denuncia-querela per dimostrare come il Rettore, a suo dire, per oltre dieci anni ha approfittato della sua posizione per «estorcergli» denaro. Al pm racconta che un bel giorno i due rompono ogni rapporto in occasione di una convenzione, stipulata nel 2006, fra l’Enel e l’Università. Tiberti è nominato responsabile scientifico, ed è dunque lui che deve rispondere dello studio, successivamente inviato all’Istituto Superiore di Sanità. Le lodi si sprecano ma ai primi di gennaio, continua Tiberti, il rettore gli sollecita un incontro riservato nel corso del quale - è scritto nei carteggi in mano alla procura - «richiamandomi al lustro che avrei ottenuto con la pubblicazione del lavoro, alla conseguente crescita professionale, alle ripercussioni che personalmente (il rettore, ndr) avrebbe dovuto fronteggiare a causa dei “soliti fanatici ambientalisti” e soprattutto a necessità economiche derivanti dalla ristrutturazione di una casa recentemente acquistata all’Argentario, mi ha chiesto di versargli, a titolo personale, un contributo di 50mila euro».

La richiesta, continua Tiberti, può sembrare singolare. «Ma singolare non è» posto che il «Di Orio non è certo nuovo a tali iniziative». Nel corso degli ultimi anni infatti «con la ferma ma pressante cortesia di chi non è avvezzo ad accettare il rifiuto, chiedendomi somme destinate invariabilmente a non essere restituite, si è costantemente avvalso del mio apporto finanziario quantificabile, approssimativamente nella somma di 200mila euro. Importo che gli ho corrisposto in parte in contanti, in parte con miei assegni personali». Non essendo più disposto ad esaudire simili richieste, Tiberti fa presente al magistrato di essersi ribellato e dopo un’estenuante trattativa di esser riuscito a far scendere la cifra «pretesa» da 50 a 6mila euro. Come dicevamo, a questo punto, i rapporti si interrompono. I due si lasciano malissimo. Secondo Tiberti a quel punto partono le ritorsioni: l’Università inizia a sollevare questioni sullo studio, sull’utilizzazione non autorizzata del logo dell’Ateneo, persino sull’arbitraria utilizzazione del nome del rettore indicato come coautore della pubblicazione, circostanza, quest’ultima, energicamente smentita dal professore con l’esibizione ai carabinieri del documento originale. Seguono altri screzi, come i tentativi di chiudere - è scritto sempre nell’esposto - il Centro di Epidemiologia diretto proprio da Tiberti, che per il Magnifico avrebbe avuto costi di gestione insostenibili.

Agli atti dell’inchiesta sono poi finite le copie di numerosissimi assegni firmati da Tiberti, del Credito Cooperativo e di Unicredit, intestati, tutti, a Ferdinando Di Orio. Le cifre spaziano da 700 euro a 10mila, alcuni titoli di credito (almeno cinque) sono addirittura da otto/nove milioni di lire (antecedenti all’avvento dell’euro).
Il rettore ha respinto ogni addebito facendo risalire l’offensiva di Tiberti a una vendetta personale collegata allo studio sulla sicurezza della centrale Enel di Civitavecchia chiusa per ordine della magistratura in seguito al decesso di un lavoratore. Quanto alle accuse «economiche» nei suoi confronti, Di Orio parla di fatti «deliranti», di accuse «false», di Tiberti che è anche «rappresentante dell’attuale governo nel consiglio di amministrazione dell’università», quasi a volerla buttare in politica, proprio lui (Di Orio) che adesso passa per un fan di Di Pietro dopo aver attaccato il governo nel suo intervento all’assemblea regionale dell’Idv: «Occorre scongiurare che il governo trasformi l’intervento in Abruzzo in propaganda», oppure a proposito della visita di Berlusconi alla scuola materna dell’Aquila paragonata ai filmati dell’Istituto Luce che rispetto a Mussolini «non proponevano scene peggiori di queste».

Contattato dal Giornale il Rettore si mostra sorpreso e amareggiato quando il discorso cade sugli assegni: «Non so nulla, anche perché non ho la possibilità di consultare gli atti che mi riguarderebbero e che sono stati segretati dall’autorità giudiziaria. Non sono assolutamente reticente, non è che non voglio parlare, la verità è che non so assolutamente di cosa si stia parlando. Se e quando sarò chiamato dal pm, capirò. Dopodiché saprò essere esaustivo».

Sul perché Tiberti avrebbe fatto quello che ha fatto, Di Orio ha una sua spiegazione: «Sono caduto dalle nuvole e ancora non mi sono ripreso per quanto è successo. Fra noi due, che ci conosciamo e siamo amici da trentacinque anni, è sorto un contrasto su uno studio commissionato dall’Enel sulle condizioni di vita dei territori in cui sono presenti le centrali a carbone. Io non ho voluto avallare la tesi che era presente in quello studio di Tiberti, e da lì si sono rotti i rapporti». Tornando agli assegni, il Magnifico nega di averne mai presi dal professore-amico: «Ma scherziamo? Sono senza parole, non ho mai preso soldi, non riesco a darmi pace, questa cosa mi sta gettando in un’angoscia... la mia immagine... sono a pezzi». E Tiberti? Col Giornale non spiccica parola. «Quello che avevo da dire l’ho detto agli inquirenti. Arrivederci».


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