La democrazia (improvvisamente) e il Parco della Costa teatina

02 Settembre 2011   09:49  

Scrive Enzo Di Salvatore su caffedabruzzo.blogspot.com

''Su Il Centro di oggi si legge che degli otto Comuni direttamente interessati dall'istituzione del Parco quattro hanno ritenuto di doversi esprimere negativamente (San Vito, Rocca San Giovanni, Torino di Sangro, Casalbordino) e solo tre positivamente (Fossacesia, Vasto, San Salvo). Il Comune di Ortona, invece, sarebbe "indeciso". Nel caso di Torino di Sangro, il Comune avrebbe addirittura chiamato a raccolta i propri cittadini, chiedendo loro cosa ne pensassero del Parco. Risultato: dei 3.000 residenti, solo 777 avrebbero accolto l'invito del Sindaco e di questi ben 738 avrebbero manifesto il proprio dissenso. C'è chi ha sottolineato l'irritualità con cui si è esercitato il diritto di voto (un sì o un no annotato su un registro consultabile da chiunque); e chi, invece, ha osservato come il voto espresso non sia in alcun modo rappresentativo dell'opinione della maggior parte degli abitanti di Torino di Sangro.

La domanda che, tuttavia, mi porrei è la seguente: perché si è deciso che gli Enti locali e/o i loro cittadini si esprimessero sul Parco? La legge dello Stato, infatti, prevede tutt'altro: la decisione in ordine all'istituzione e alla delimitazione provvisoria del Parco spetta allo Stato. E così anche la sua delimitazione e la sua concreta istituzione, sebbene per quest'ultimo passaggio sia previsto che lo Stato stringa un'intesa con la Regione. Qualcuno senz'altro penserà che aver voluto seguire un procedimento differente da quello prescritto dalla legge non sia comunque un fatto da biasimare: acquisire il voto dei cittadini o il parere degli enti locali territorialmente interessati dall'istituzione del Parco è comunque espressione del principio democratico. Come dire: un atto giuridicamente non dovuto, ma politicamente voluto; cioè: opportuno. Forse. Ma quest'opinione non mi convince del tutto e provo a spiegarne il perché.

La Costituzione attribuisce in via esclusiva allo Stato la competenza in materia di tutela dell'ambiente. Come è facile intuire – e come la Corte costituzionale ha sottolineato più volte – la riserva in capo allo Stato di tale competenza si collega alla circostanza che l'ambiente non è un bene frazionabile, ossia territorialmente divisibile, ma un bene comune. Quindi se volessimo essere ancor più rispettosi del principio democratico, trattandosi (a maggior ragione) di un Parco nazionale, dovremmo ammettere che sulla sua istituzione debba pronunciarsi l'intero corpo elettorale italiano.

Si potrebbe ovviamente obiettare che questo discorso sia assolutamente astratto, in quanto, di fatto, i benefici o gli inconvenienti che sempre discendono dall'istituzione di un Parco ricadrebbero unicamente sulla popolazione residente sul suo territorio. E che in ragione di questo sarebbe giusto che si esprimano soltanto i Comuni interessati o tutt'al più i suoi abitanti. Ammesso (e non concesso) che sia così – e cioè che coloro che hanno deciso di investire della questione direttamente o indirettamente la popolazione locale siano i più convinti sostenitori della democrazia ad ogni costo – ci si dovrebbe chiedere come mai iniziative di questo tipo non siano caldeggiate anche in altre occasioni: come mai, ad esempio, nessuno chiede agli abitanti dei Comuni della Costa teatina di esprimersi sul rilascio delle concessioni petrolifere in terraferma e in mare? In questo e in altri cento casi, i benefici o gli inconvenienti di una decisione siffatta non ricadrebbero egualmente sulla popolazione ivi residente?

La democrazia è un paradiso in terra solo se maneggiata con cura. Altrimenti diventa uno strumento del diavolo. La Storia lo sta a testimoniare; essa prova, cioè, come la democrazia sia stata spesso utilizzata per neutralizzare la stessa democrazia.

E ciò potrebbe essere ripetuto anche a proposito dell'istituzione del Parco della Costa teatina. Anche in questo caso, infatti, il ricorso alla democrazia finisce per mettere capo esattamente al suo contrario: se entro il 30 settembre il Parco non verrà istituito, lo Stato nominerà un Commissario ad acta; il quale provvederà direttamente, e senza consultazione di alcuno, alla sua perimetrazione e istituzione.

Un atto, dunque, che non avrebbe in sé nulla di democratico, in quanto dall'iter di istituzione del Parco verrebbe estromessa la stessa Regione, che – almeno fino al 30 settembre – rappresenta pur sempre l'unico legittimo baluardo a presidio della democrazia: non è forse chiamata dalla legge a stringere un'intesa con il Governo?

Ma se così è, si potrebbe anche insinuare il dubbio che il ricorso alla democrazia – rectius: il ricorso al parere dei Comuni o al voto dei suoi abitanti – serva a ben altro: a che arrivi presto il 30 settembre oppure a che la Regione – unica formalmente legittimata a pronunciarsi nel procedimento di istituzione del Parco – non debba esprimersi sul punto. E cioè: che non debba assumersi la responsabilità di una scelta politica, che dietro l'istituzione del Parco sempre si cela. Eppure anche un ragazzino sa che non può esserci democrazia (rappresentativa) senza responsabilità.

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