La manifestazione, il senatore berlusconiano e un aquilano

Opinioni a confronto

22 Novembre 2010   10:25  

Due idee sulla ricostruzione, sul terremoto, sulla manifestazione del 20 , forse due mondi a confronto ma non comunicanti. Da una parte Filippo Piccone, coordinatore regionale del Pdl, parlamentare, imprenditore di successo. Berlusconiano di ferro anche nei momenti più difficili. Celanese, non ha subito personalmente il terremoto del 6 aprile. Dall'altra Antonello Ciccozzi, ricercatore universitario, aquilano sfollato. Sabato ha partecipato alla manifestazione. 

FILIPPO PICCONE: UNA MANIFESTAZIONE POLITICIZZATA. GRANDE IMPEGNO DAL GOVERNO BERLUSCONI

"Pur rispettando il diritto di manifestare pacificamente, le dichiarazioni rese dagli esponenti di sinistra locali e nazionali sono la conferma della politicizzazione strumentale della manifestazione svoltasi all'Aquila, con la stragrande presenza di molte persone non aquilane".

Lo afferma il coordinatore regionale abruzzese del Popolo della libertà, Filippo Piccone.

"Altro che 'ricostruzione ferma' come vuol far credere il sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente del Pd - aggiunge Piccone - ci sono più di 10 mila cantieri aperti con le risorse messe a disposizione dal governo: il centro storico ha i finanziamenti per tutti beni pubblici compresi i sottoservizi e sono stati anche nominati i soggetti attuatori mentre, per la parte privata, i sindaci devono presentare i piani di ricostruzione, e per questi si è in fervida attesa".

"Per il prezzario, poi - continua il parlamentare - ci sono solo alcune voci che si stanno rivedendo con gli ordini professionali e la settimana prossima si provvederà con un decreto in tal senso e per questo, è utile ricordare che, per il terremoto in Marche e Umbria i prezzari vennero rivisti più di otto volte".

"Inoltre, ed è questo che contraddistingue il gran lavoro di questo governo nazionale e regionale - sostiene Piccone - c'è da ricordare che i lavori nel centro storico in Friuli vennero iniziati dopo quattro anni dal sisma per avere una ricostruzione di qualità e in Abruzzo siamo già pronti, se solo l'amministrazione che guida il Comune de L'Aquila mostrasse meno inefficienze".

Piccone conclude dicendo "dopo la grande azione del governo sulla fase dell'emergenza, risultato positivo unico nel suo genere a livello internazionale, oggi, nonostante le molteplici difficoltà economiche internazionali, possiamo dire con l'assoluta certezza che il governo Berlusconi non ha mai lasciato solo l'Abruzzo dopo il sisma e anzi, ha mostrato sempre più profonda attenzione".

ANTONELLO CICCOZZI: LA CITTA' NASCOSTA, MIRACOLI E TELEMAGHI

Vorrei fare mente locale sulla questione del miracolo aquilano, ma prima è meglio ricordare due notizie, perché sono importanti, e perché questo è un paese dalla memoria fragile:

la prima notizia data dai media nazionali è che non ci sarebbe stato nessun terremoto, in quanto essendo di fronte a un normale rilascio di energia potevamo stare tranquilli e bere un buon bicchiere di Montepulciano. Così dissero ai media - in mezzo a mesi di scosse continue - i vertici della protezione civile, nell'ambito della commissione nazionale grandi rischi.

la seconda notizia data dai media nazionali è che, dopo il terremoto che non doveva esserci, a L'Aquila c'è stata letteralmente una "ricostruzione esemplare" e questo titolava "il giornale" un po' di mesi fa.

D'altra parte lo stesso Berlusconi ha ossessivamente parlato di ricostruzioni record, vantandosene in Europa. Due mesi fa dichiarò al quotidiano francese "Le Figarò" queste parole: «in tempo record abbiamo ricostruito un'intera città».

Poterle sparare così grosse e offensive senza ritegno in un certo senso è un miracolo, e a L'Aquila ci sono stati molti miracoli.

Il primo miracolo è stato dimenticarsi di oltre 300 vittime, che si sarebbero salvati se non avessero avuto quelle autorevoli rassicurazioni disastrose, in un'altra strage italiana che cerca di restare impunita

Poi c'è il miracolo che ci sono state solo oltre 300 vittime, che sarebbero potute essere 3.000 o 30.000, perché mezza città si è fermata al limite, e ancora resta sospesa sulla soglia del crollo totale, per puro caso. Sarebbe bastata una manciata di secondi in più.

E L'Aquila ha ancora la necessità e il dovere di elaborare un lutto, perché la rimozione è l'antitesi del cordoglio; e questo dovrà essere un tema nazionale, in quanto quelle rassicurazioni disastrose furono un fattore di concausa di una strage che non è solo la strage di un terremoto: c'è una complicità di Stato.

Un miracolo considerevolissimo, a cui miracolosamente non fa caso nessuno, è che dalla stessa commissione che ci diede quellerassicurazioni disastrose è venuta la direzione che ci ha propinato ilprogetto case. Ci siamo assuefatti al conflitto di interessi, e questo è un orrendo esempio di conflitto di interessi.

Così, arriviamo all'emblema del miracolo aquilano: il progetto c.a.s.e. che è un vero miracolo in quanto, nel mezzo di una situazione di crisi economica, grazie a un terremoto, l'egemonia dei grandi gruppi imprenditoriali nazionali ha potuto operare in condizioni miracolose, ossia:

- con enormi margini di profitto

- in deroga rispetto alle leggi

- in uno sfruttamento ottocentesco di masse di manodopera salariata

Attuata con costi esorbitanti, questa soluzione ha dato alloggio alla metà degli aventi bisogno, lasciando una città (quella vera) imbalsamata e producendo uno scempio paesaggistico.

Anche nascondere le migliaia di sfollati non miracolati e i danni al territorio con cui dovremo fare i conti per decenni è un miracolo.

Un altro miracolo nel miracolo è stato far passare questa scelta come necessaria, migliore di tutte se non unica praticabile, mentre vi erano molteplici possibilità di housing alternative enormemente meno impattanti, enormemente meno costose e ugualmente confortevoli.

Queste soluzioni avrebbero ottimizzato la resa sociale del prodotto consentendo un risparmio del 3-400% rispetto al progetto imposto dalla protezione civile, ma non sono state scelte. Questo è un miracolo.

Un altro miracolo è quindi sostenere che per L'Aquila sono stati spesi tanti soldi, omettendo che la maggior parte di questi soldi sono finora finiti in tasche esterne all'Aquila. Ossia che - attraverso L'Aquila - poche persone hanno rubato tanti soldi, che l'aiuto è servito come pretesto per aiutarsi.

Un miracolo simile è che i soldi per la ricostruzione ci sono, ma dato che bisogna saperli chiedere, non ci sono; perché è colpa nostra che non sappiamo la formula dell'«apriti sesamo».

Poi a L'Aquila c'è un miracolo fastidiosissimo: mezza città è uscita indenne e rafforzata dal sisma, e mentre cannibalizza la parte ferita, difende politicamente i carcerieri che la imprigionano nel sistema dei commissariamenti e delle ordinanze. E' QUESTO EGOISMO INTERESSATO; QUESTO SCIACALLAGGIO INTERNO, CHE IMPEDISCE UNA RIVOLTA GENERALIZZATA DELLA CITTA'.

E qui dobbiamo chiedere un sistema di sostegno che – non solo a L'Aquila, ma ovunque vi sia una catastrofe – esca da una visione indifferenziata del danno e corrisponda al dettaglio i bisogni rispetto alle necessità, perché non tutti sono terremotati allo stesso modo, e se non si comprende questo si produce tensione sociale.

Dobbiamo cacciare commissari e manager che impongono una governance esterna ed usano L'Aquila come pretesto per drenare profitto e orientarlo a gruppi affiliati al governo.

Torno al miracolo iniziale, quello della menzogna: un presidente del Consiglio che spara balle grosse come una casa, l'inganno sistematico elevato a strategia di consenso, il regime dello spettacolo: un governo di tele-maghi ci ha assuefatti a tutto questo e non abbiamo capito che i tempi delle emergenze locali parlano il linguaggio del tempo della normalità globale, di un mondo in cui le ragioni del profitto sovrastano quelle della società, dove la politica è orientata all'economia e non alle persone.

Insomma, i miracoli vanno capiti: i miracoli se funzionano salvano chi li riceve, ma basta che siano semplicemente raccontati per santificare chi li avrebbe compiuti. Questo a prescindere dal risultato, si può pure non guarire, ma se si grida al miracolo si sancisce la nascita di un guaritore. E un potere che si regge sulla rappresentazione di doti di guarigione è un potere primordialmente fondato sull'inganno.

 

L'Aquila è una città pericolante, comatosa, tutt'altro che guarita, evenire all'Aquila significa scoprire un inganno, e questo vale fuori da politicizzazioni o altri trucchi propagandistici con cui si stigmatizza un dissenso che è l'unica cosa civile di questa indecorosa storia italiana.

L'Aquila è ormai un termine del linguaggio nazionale, a cui dobbiamo ridare senso:

il progetto case ci parla lo stesso linguaggio di opere come l'inceneritore di Acerra, la TAV, il ponte sullo stretto: opere che servono più al profitto di ristrette egemonie che al benessere sociale, opere che si potrebbero evitare in quanto dannose, e in quanto sostituibili con alternative socialmente sostenibili che però vengono censurate in quanto meno redditizie.

Per tutto questo, nell'esigenza di ricordare vogliamo ridenominare la nostra via XX settembre in "via VI aprile"; e vogliamo chiedere all'Italia che la data del 6 aprile sia riconosciuta come "giornata nazionale per la prevenzione dei disastri".

Perché questo paese ha la memoria fragile, mentre se non vogliamo perderci abbiamo bisogno di ricordare.

Dobbiamo ripartire dal 6 aprile.


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