La privatizzazione dei servizi idrici in Italia

Un mare d'affari:

27 Ottobre 2009   08:24  

Nel luglio del 2008 il Parlamento italiano approvava la legge 133, il collegato alla finanziaria 2009 divenuto celebre per la grande mole di tagli alla spesa pubblica. Tra i punti del provvedimento emergeva il 23-bis, l'articolo che normalizzava il settore dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, servizio idrico compreso, imponendo l'affidamento tramite gara ai privati e consentendo la prosecuzione del servizio pubblico (il cosiddetto "affidamento in house") solo in casi eccezionali e ben motivati.

Il 18 settembre scorso l'approvazione in Consiglio dei Ministri del decreto-legge di applicazione degli obblighi comunitari europei, ora in discussione nell'aula di Palazzo Madama. Tra gli articoli, il numero 15, che rafforza la precedente concezione privatizzante.

Viene spesso presentata come esigenza di base per la privatizzazione del servizio idrico nazionale l'obbligo di adeguamento alle direttive europee. Una consuetudine ben radicata questa dell'utilizzo del termine "Europa" a titolo di giustificazione di tante leggi nazionali, ma che si scontra con una realtà ben differente: l'Unione Europea non ha mai chiesto la privatizzazione dell'acqua per nessun paese europeo. Tutto il contrario.

Le due direttive europee 92/50/CEE e 93/38/CEE, punto di partenza per l'apertura alla concorrenza dei servizi pubblici nazionali e locali, vengono spesso prese a riferimento dai fautori della privatizzazione, eppure entrambe escludono il servizio idrico dagli obblighi di mercato e consentono, in tutti gli altri casi, gli affidamenti "in house".
Un concetto ribadito da una celebre direttiva europea, datata 12 dicembre 2006, nota con il nome di "Bolkestein", al cui articolo 17 esclude esplicitamente dalla regola della "libera circolazione dei servizi" (ovvero l'apertura al mercato comunitario) proprio il servizio idrico, e dalle due direttive dell'11 marzo 2004 e del 15 marzo 2006.

"Essendo l'acqua un bene comune dell'umanità, la gestione delle risorse idriche non deve essere assoggettata alle norme del mercato interno" è il comandamento dell'Unione Europea. Le norme approvate, invece, negli ultimi tempi in Italia sono chiare: apertura ai privati per tutte le tipologie di servizio locale e affidamento al pubblico solo in via eccezionale, un requisito che l'Europa non ha mai chiesto. Al contrario, nelle ripetute direttive emanate ha sempre indirettamente invitato a definire determinati servizi come di interesse pubblico e non commerciale, mettendoli di conseguenza al riparo dagli sguardi vogliosi del mercato.

Considerata quella che è la linea politica nazionale, sembrerebbe quantomai prossimo il giorno in cui i privati avranno definitivamente il via libera per l'accesso al servizio di distribuzione dell'acqua potabile.
Un grosso errore di valutazione: l'acqua, in Italia, in parte, è già privatizzata.

Gli esempi sono diversi, tutti illustrati dettagliatamente dalla "Relazione sullo stato dei servizi idrici", presentata alla Camera dei Deputati e datata 2008. Si parte da Cuneo (1 società a capitale 90% privato, EGEA SpA, e 2 società da essa controllate) per arrivare a Palermo (Acque Potabili Siciliane SpA, totalmente privata), Enna (Acqua Enna SpA, privata), Caltanissetta (Acque di Caltanissetta SpA, privata) e Siracusa (ATI Sogeas, privata a partecipazione minoritaria comunale), passando per Frosinone (Acea ATO 5 SpA, privata con quota di maggioranza di Acea SpA, partecipata dal Comune di Roma) e Reggio Calabria (Acque Reggine SpA).

Ben più numerose, invece, le società a capitale misto operanti nei diversi ATO d'Italia (34 dal Piemonte alla Sicilia). 64 le rimanenti società a capitale interamente pubblico deputate alla gestione dei servizi idrici locali.

Emblematico il caso di Palermo: la gestione del servizio idrico dell'ATO 1 è stato assegnato alla Acque Potabili Siciliane SpA in una gara d'appalto aperta (lo impone la legge) ma che ha visto la partecipazione della sola ditta poi vincitrice dall'appalto. Un'assegnazione decisamente poco trasparente e che è arrivata a preoccupare lo stesso Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche, organo pubblico di monitoraggio e osservazione e che fa riferimento direttamente al Parlamento.

Conseguenze? Nessuna.
La durata dell'appalto? Trentennale, naturalmente.

In questo contesto la regione Abruzzo gioca un ruolo fondamentale, rappresentativa di un virtuosismo del tutto inaspettato. E' l'unica regione avente più di un Ambito Territoriale Ottimale ad aver affidato l'intero servizio idrico regionale ad aziende totalmente pubbliche.
Una difesa del principio "acqua bene pubblico" che ben si sposa con l'efficienza ed i bassi costi di gestione.
Le tariffe medie pro-capite sono inferiori, sia nella quota fissa che negli scaglioni a consumo, alla media nazionale, così come accade in senso inverso per gli investimenti infrastrutturali, superiori di gran lunga alla media nazionale, soprattutto in tema di rinnovamento tecnologico delle infrastrutture (bassissimi invece i costi per la manutenzione straordinaria).
Un virtuosismo ed una forte applicazione di "etica aziendale ed amministrativa" che trova spazio nel capitolo di spesa sui costi dirigenziali: 26 mila euro per dirigente la spesa media per gli ATO abruzzesi, contro una media nazionale molto più elevata, cui contribuiscono casi di ATO che vedono la partecipazione dei presunti "efficienti ed economici privati" e che mostrano costi di management che arrivano a cifre oltre 6 volte superiori a quelle abruzzesi (ad esempio Latina, Alessandria e Medio Valdarno).

Questa gestione, improntata al virtuosismo pubblico (seppure con le pecche naturali intrinseche di ogni sistema aziendale italiano), si troverà presto di fronte il muro nazionale della privatizzazione obbligata, una privatizzazione che nel resto d'Italia non ha procurato alcun frutto (almeno osservando i dati impietosi su alcuni affidamenti a privati o società con capitale misto), ma che resta il feticcio di una classe politica spesso incline a tradurre gestioni pubbliche efficienti in "indiscutibili" e purtroppo spesso inefficaci monopoli privati.


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