Le novelle della Pescara

23 Novembre 2013   09:24  

Le Novelle della Pescara delineate con uno stile armonico e una prosa che mostrano la piena maturità del Vate, narrano storie di uomini e donne alla prese col destino con le loro rivolte e le loro emozioni nella difficoltà a fronteggiare situazioni che oltrepassano i loro limiti. Esseri ritratti nella loro istintualità primitiva con rappresentazioni suggestive e veritiere di una realtà misera e infelice. La cornice , i protagonisti, spesso la stessa lingua sono tipicamente abruzzesi : il patrio fiume, il gran Sasso e ancora l’Adriatico e la Maiella fanno da sfondo alle vicende ora sapide ora drammatiche in cui le vivaci inserzioni dialettali conferiscono un sapore schietto di verità. E ,come sottolinea Luigi Russo, l’opera “…celebra, l’Abruzzo la buona terra vergine , goduta nei suoi odori, nei suoi ardori, colori sapori, con cuore faunesco di primitivo e coglie i drammi dei figli della terra..”

PESCARA AI TEMPI DELLE NOVELLE

Il paese di Pescara insieme alla campagna circostante è al centro di questa narrazione. Il poeta così presenta nell’opera la sua città natale: “…in vista al monte nevoso, con la forma d’ubero pieno, in vista al monte aspro e scintillante, che ha la forma di dormiente titano, in vista al verde selvaggio fragrante adriatico…”. Testimonianza che , prescindendo dai luoghi in cui visse e spese la gran parte della sua vita, il poeta rimase sempre indissolubilmente legato alla sua terra e alla sua città natale.

La Pescara è anche il gran fiume che dall’Appennino centrale scende al mare Adriatico e sulla cui foce si sviluppò la città omonima, patria di D’Annunzio. Il titolo è significativo: come il fiume, prima di arrivare al mare, attraversa paesi e contrade, popolate da genti antiche, così il poeta viaggerà idealmente raccogliendo “novelle” di quelle genti per poi narrarcele. Il Vate nacque in una città divisa dal fiume : a nord Castellamare Adriatico che faceva parte della provincia di Teramo e a sud Pescara della provincia di Chieti; ma anche in una città divisa dal campanilismo. A tal proposito così scrive nella Novella : La guerra del ponte : “Le parti nemiche si esercitano assiduamente in offese e rappresaglie, l’una osteggiando con tutte le forze il fiorire dell’altra.” Quando D’Annunzio apprese la notizia della riunione, nel 1927, delle due città in un solo comune, Pescara appunto, esclamò : “Il fiume non divide i due territori come non divide Roma il Tevere e Firenze l’Arno…. Sono contentissimo della grande notizia e sono certissimo che la mia vecchia Pescara ringiovanirà, diventerà sempre più poderosa e ardimentosa per dimostrarsi degna del privilegio”. Oggi è molto diversa dalla cittadina di pescatori che diede i natali al poeta ma si può ancora scorgere, tra le costruzioni del dopoguerra, tracce di quell’antico borgo. A partire dalla sua casa natale in corso Manthonè, che ospita un museo dedicato al Vate, per allargarsi a comprendere l’intera zona di Corso Manthonè, via delle Caserme e via dei Bastioni che ricorda quella “città provinciale tutta raccolta intorno alla sua chiesa, fra l’antica fortezza spagnola e il ponte cavalcante il bel fiume”.

Il La giovinezza del poeta fu costellata di scorribande lungo il fiume, “il bel fiume ove nato fui di stirpe sabella… Il natale Aterno, imporporato di vele splende come sangue ostile” dove la “plaga della selvaggina marina si estendeva sino ai piedi dei Colli Innamorati”. Ma il Vate amava anche il mare al quale si rivolge come ad un nume tutelare: “Arridi, o mare patrio, arridimi tu con l’amore, tu con la gloria, con estri tu forti e sereni!” ed è quasi tenero quando sussurra “..nella scorsa notte quanti pensieri, quanti ricordi, quanti sogni, quanti rimpianti; che avean tutto il sapore dolciastro o salmastro della Pescara alla sua foce..” Anche la pineta ,che porta il suo nome, gli era cara ed è uno dei luoghi maggiormente citati nelle sue opere , lì dove “il mare canta una canzon d’amore nel plenilunio bianco a la pineta: filtra giù per le cupole il chiarore animando la vasta ombra segreta….”

Le Novelle della Pescara furono pubblicate per la prima volta sotto questo titolo nel 1902; esse rappresentano una sorta di antologia dei racconti a suo giudizio migliori tra quelli fino ad allora composti e pubblicati. Con frequenti cambiamenti nei titoli e nei testi, infatti, comprendono i componimenti già usciti col titolo di San Pantaleone, cui venne aggiunto La Vergine Orsola tratta dal Libro delle Vergini. La raccolta si ricollega ad altre opere di D’Annunzio: il romanzo Giovanni Episcopo (1892),

storia di un omicidio di derivazione dostoevskijana, e La figlia di Iorio (1904), tragedia pastorale che ci rende la suggestione di un Abruzzo atavico. Si tratta di un libro composto da diciotto novelle che ritrovano unità e coerenza riguardo ai temi, disparati, ma legati dalla malattia e dalla violenza, dalla sensualità morbosa, che diventa anche sessualità, dalla follia e dalla morte. I protagonisti sono personaggi unici, in un certo senso eroi, colti in un ambiente popolare in preda ad impulsi incontrollabili come i contadini in rivolta nel racconto dell’Eroe, dove il nobile protagonista si getta nel fuoco mentre i poveri assediano il palazzo, come l’esaltazione collettiva dei fedeli che gridano al miracolo o la guerra tra due paesi, dai nomi immaginari di Radusa e Mascalico, ognuno dei quali cerca di imporre il proprio patrono all’altro.

INFLUENZE VERISTE

Il primo elemento caratterizzante , come suggerisce il titolo, è il rapporto con il territorio. Il mondo rurale e primitivo di queste novelle sembra d’altronde richiamarsi, per l’intensità delle emozioni descritte e per il ruolo dell’ambientazione, alle opere coeve di Grazia Deledda, anch’essa oscillante, come il primo D’Annunzio, tra influenze veriste rielaborate e suggestioni dostoevskijane. La raccolta fu spesso tradotta in diverse riviste letterarie, specialmente francesi e inglesi.

L’opera , che nasce da un’attenta selezione, che le conferisce nella varietà dei temi affrontati ,un carattere unitario, si articola intorno a un unico tema: la registrazione del soccombere dell'uomo di fronte all'ineluttabilità del suo destino. D’Annunzio mostra da un lato una perfetta padronanza del mezzo espressivo, che riesce a restituire ogni emozione dei personaggi, dal fanatismo della folla ,alla sorte disperata di molte madri, che finiscono per morire di parto o nel tentativo estremo di vedere un’ultima volta il figlio ormai lontano. Le novelle, già dal loro primo apparire, fecero parlare di una matrice veristica e naturalistica, verghiana e capuaniana da una parte, zoliana e maupassantiana dall'altra. Secondo la maggior parte dei critici infatti “Le novelle della Pescara” sono il frutto di una libera interpretazione dei motivi offerti dal Verismo.

Temi tipici di questo tipo di prosa sono: il senso tragico del destino umano , l'impietosa descrizione della fatica quotidiana del vivere gli istinti primitivi e animaleschi negli esseri umani. Ma anche l’ oggettività, senza intrusioni liriche o autobiografiche, per ricostruire con precisione quasi scientifica il processo dei fatti e creare un nuovo tipo di prosa, capace di una descrizione quanto più impersonale possibile della realtà psicologia umana. Solo in tempi recenti, la critica ha indagato la novellistica dannunziana nel suo rapporto conflittuale con il positivismo: «Le novelle costituiscono, in conclusione, un'esperienza, per D'Annunzio, decisiva quanto all'apprendimento delle tecniche narrative del verismo e del naturalismo, ma già inserendo in esse l'oltranza della violenza, della crudeltà, dello scatenamento degli istinti animaleschi, dell'unione di sesso e morte e, nei momenti più significativi, anche il senso della condizione tragica dell'eroe» (Giorgio Bárberi Squarotti).

Lo scrittore abruzzese ama soffermarsi infatti sulle emozioni del popolo e sulle sue rivolte non per descrivere ,come accade in Verga, le rivendicazioni sociali ma per studiarne gli stati d’animo, le energie quasi primordiali che vengono sprigionate nel momento della protesta. Per questo agli occhi di D’Annunzio la rivolta dei contadini non è molto diversa dalla guerra in nome del patrono: ciò che davvero lo affascina è il grande spettacolo delle emozioni collettive, che portano singoli individui ad un livello quasi subumano di ferocia ed aggressività.

CENNI SULLE NOVELLE

Così si apre la prima novella La vergine Orsola: “ Il Viatico uscì dalla porta della chiesa a mezzogiorno.

Su tutte le strade era la primizia della neve, su tutte le case la neve. Ma in alto grandi isole azzurre apparivano tra le nuvole nevose, si dilatavano sul palazzo di Brina lentamente, s'illuminavano verso la Bandiera. E nell'aria bianca, sul paese bianco appariva ora subitamente il miracolo del sole. Il viatico s'incamminava alla casa di Orsola dell'Arca. La gente si fermava a veder passare il prete incedente a capo nudo, con la stola violacea, sotto l'ampio ombrello scarlatto, tra le lanterne portate dai clerici accese. La campanella squillava limpidamente accompagnando i Salmi sussurrati dal prete. I cani vagabondi si scansavano nei vicoli al passaggio. Mazzanti cessò di ammucchiare la neve all'angolo della piazza e si scoprì la zucca inchinandosi. Si spandeva in quel punto dal forno di Flaiano nell'aria l'odore caldo e sano del pane recente.”

La vergine Orsola è un'esasperata analisi della "fisiologia" dell'anima della malata. Orsola dell'Arca, dopo una lunga malattia, si avvia a una lentissima guarigione. La convalescente scopre in sé, ogni giorno che passa, l'insorgere di antichi e temporaneamente sopiti istinti e desideri, che si trasformano nella volontà di stimolare anche negli altri gli stessi impulsi, fino all'esasperazione, fino a istigare la violenza sessuale, che avviene e lascia gli strascichi inevitabili di una lunga malattia non più e non solo del corpo, ma dell'anima. Per certi aspetti provvida, giungerà la morte, atroce, studiata nei particolari più morbosi, negli aspetti più tragici. Anche il secondo racconto: La vergine Anna si ispira ad alcuni modelli francesi ( Flaubert e Maupassant) e descrive una lunga serie di malattie, convalescenze, guarigioni, ansie di vita e timori di morte, superstiziose malìe e religiose preghiere; tutto questo dentro ai «sommovimenti» di un'anima semplice e schietta come quella di Anna.

Anche questo personaggio è destinato a finire in un’atroce scena di morte: “Anna agonizzava. … Alcune bolle di saliva le apparvero sulle labbra; un’ondulazione brusca le corse e ricorse, visibile, le estremità del corpo; su gli occhi le palpebre le caddero, rossastre come per sangue travasato; il capo le si ritrasse nelle spalle.

E la vergine Anna così al fine spirò”. Il gusto è alle radici del suo narrare si mescola tuttavia ad altri interessi come quello per la superstizione o la magia e ciò che di violento ne può scaturire come avviene nella terza novella : Gli Idolatri in cui viene descritto il fanatismo religioso di un Abruzzo violento e sanguigno , quasi al di fuori del tempo , con le sue popolazioni ferocemente legate ai propri santi o meglio ai propri idoli , issati a bandiera in vere e proprie guerre fratricide. Il modello francese sembra ispirare anche L’eroe, un breve racconto incentrato sull’effetto tragico della perdita della mano dell’Ummàlido, come in una novella di Maupassant, “En mer” in cui il marinaio Javel perde il braccio rimasto intrappolato durante il lancio della rete da pesca. Anche qui si possono trovare immagini crude: “Seduto, contemplava la sua ferita, tranquillamente, la mano pendeva, con le sue ossa stritolate, oramai perduta”.

Altro tema di interesse di D’Annunzio è quello del grottesco: i vizi e le deformazioni di una certa borghesia come avviene ne La contessa di Amalfi dove non manca alcun elemento della narrativa naturalistica. Viene descritta una Pescara piccolo-borghese curiosa e ridanciana coi suoi don Giovanni Ussorio e don Antonio Brattella ridicolizzati nel senile amore per Violetta la cantatrice venuta nella cittadina adriatica per interpretare la “Contessa di Amalfi” e poi fuggita lasciando don Giovanni ,che aveva avuto la meglio sull’avversario, in uno stato di disperazione. Altri numerosi personaggi arricchiscono il quadro e lo rendono vario ed esilarante su uno sfondo di gruppi in movimento che ricordano, quanto a coralità, certi squarci dei Malavoglia. Tra la divertita e quasi partecipe attenzione dello scrittore felice in questi affreschi di vita pescarese.

Anche nella più complessa novella La morte del duca di Ofena l'attenzione del narratore rimane centrata sulle vicende del protagonista. Il personaggio-eroe, anche solo a partire dai dati fisici, spicca su una coralità che dovrebbe costituire l'elemento narrativo determinante: «Egli era un poco pallido e concitato, sebbene cercasse di dominarsi. Alto di statura e robusto, aveva la barba ancor tutta nera su le mascelle assai grosse; la bocca tumida e imperiosa, piena d'un soffio veemente; gli occhi torbidi e voraci; il naso grande, palpitante, sparso di rossore». E anche questa novella sì conclude con un quadro di morte; questa volta, si tratta di una morte più solitaria, coraggiosamente affrontata dal duca ritto orgogliosamente sulle proprie gambe: «Don Luigi udì, attraverso le fiamme, l'ultime ingiurie. Raccolse tutta l'anima in un atto di scherno indescrivibile.

Quindi voltò le spalle; e disparve per sempre dove più ruggiva il fuoco». Di tono diverso , permeata da un senso di comicità , che raggiunge il culmine nel momento finale è La Fattura una delle più gustose fra le novelle dannunziane un’imitazione della novella del Boccaccio di Bruno e Buffalmacco che rubano un porco a Calandrino amico sciocco e credulone che svolge il motivo antico della stupidità umana beffata dall’astuzia e dall’intelligenza.

La guerra del ponte è invece un episodio noto di vita pescarese incentrata sull’antica rivalità che divideva i cittadini di Castellammare e Pescara , lo stesso ponte costruito sul fiume finisce col diventare non mezzo di collegamento e di unione fra le due città, ma una specie di macchina d’assedio, eretta fra le parti avverse. Per fortuna si tratta solo di preparativi di guerra e di reciproche minacce , perché alla fine, attirati dalla vista delle belle popolane ai balconi e vinti dai morsi della fame, i Pescaresi si placano e il buon senso finisce col trionfare.

La conferma del suo interesse per le emozioni intense, quasi morbose, viene dalla novella che chiude la raccolta, Il cerusico di mare da molti critici considerata la migliore delle novelle. E’ il racconto scarno ed essenziale delle drammatiche sequenze di un atto operatorio, compiuto da un pescatore , in alto mare, sul corpo di un compagno colpito al collo da “una fava maligna.

Aiutato dagli altri marinai, l’improvvisato chirurgo fa ricorso a tutte le sue risorse nel curare la ferita , tagliando e bruciando , ma nulla vale a salvare Gialluca, che dopo un vero e proprio martirio, muore e viene poi gettato in mare dai compagni atterriti. Ispirato ad un senso di alta drammaticità la novella rivela un D’Annunzio più autenticamente adeguato alla realtà che descrive e costituisce un vero punto di arrivo della narrativa abruzzese.

Le novelle sono tutte riferite ad un ambito regionale specifico , quello della terra d’Abruzzo, descritto nei suoi aspetti più fascinosi e selvaggi, con i suoi torrenti rapidi, con i baratri e le rocce; i personaggi protagonisti appartengono per lo più al mondo dei pastori e dei pescatori. Un aspetto particolare del verismo dannunziano è costituito dal folclore , dal recupero delle tradizioni popolari abruzzesi.

Un D’Annunzio attento a registrare gli usi , i riti e le credenze tradizionali , ma anche profondamente legato al ricordo sella terra natia di quel piccolo mondo dove ha trascorso la sua fanciullezza e che egli rivive con temperamento fortissimo, con amore istintivo con arte indimenticabile “ Qui è tutta la nostra razza , rappresentata … la vivace razza d’Abruzzi, così gagliarda , così canora intorno alla sua montagna materna d’onde scendono i perenni fiumi dell’Adriatico , la poesia delle leggende e l’acqua delle nevi…Qui passano lungo il mare pacifico dell’alba le vaste greggi condotte da pastori solenni e grandiosi come patriarchi , a somiglianza delle migrazioni primordiali … Qui turbe fanatiche , con i torsi nudi tatuati di simboli azzurri , con le braccia avvolte di colubri o con canestre di grano sul capo vanno dietro i loro idoli gridando stupefatti…” Questo è l’Abruzzo visto e rivissuto dal D’Annunzio questo il mondo in cui si è riconosciuto quando ormai vecchio e stanco scriveva nel Libro segreto: “ Disperatamente chino su è la mia pagina, ecco che nel mio crepuscolo di sotto alle mie preghiere quasi lacrimanti rivedo certe vele del mio Adriatico alla foce della mia Pescara, senza vento, d’un colore e d’un valore ineffabili….”, così evocando dolorosamente il paradiso perduto della sua terra lontana. 

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli

I documenti e le immagini sono tratti da: Le novelle della Pescara Arnoldo Mondadori editore ; Pescara da borgo marinaro alla città del 2000 ; Pescara forma identità e memoria di Carlo Pozzi e Antonello Alici ; e dal patrimonio documentale e fotografico degli Archivi di Stato di Chieti e di Pescara.


Galleria Immagini

Gabriele D'Annunzio
Oroscopo del Giorno powered by oroscopoore