Per una rete contro il consumo di suolo, per la salvaguardia del paesaggio‏

14 Ottobre 2011   11:57  

Pubblichiamo il documento di intenti del gruppo di lavoro ''Stop al consumo di territorio'' dell'Aquila, che si riunisce periodicamente all'Asilo occupato.

Per una rete contro il consumo di suolo, per la salvaguardia del paesaggio‏

La gestione del post terremoto ha lasciato agli abitanti del luogo ferito e alle prossime generazioni un’eredità pesantissima che vede nella realizzazione del piano c.a.s.e. la sua esemplificazione.

La scelta di fornire agli sfollati alloggi definiti “durevoli” ma a tutti gli effetti “permanenti”, investendo una somma di denaro pubblico e donazioni che ammontano ad oltre un miliardo di euro (spendendo circa 2700 euro a metro quadro a costo di costruzione) ha tra i suoi effetti quello di aver modificato in maniera irreversibile il tessuto urbano e quindi sociale del territorio. In diversi casi, inoltre, nuovi insediamenti sono stati realizzati in zone rurali ai margini del comune dell’Aquila, oggi deturpate da queste tipologie abitative dai connotati urbani e totalmente fuori contesto, che hanno fortemente minato le peculiarità paesistiche del nostro territorio.Oltre 13.000 persone vivono all’interno delle diciannove “new town”, nella maggior parte dei casi isolate, non fornite di servizi e luoghi di incontro, lontane da negozi e uffici.

Oggi si ripropone (e si riproporrà) il dibattito su come integrarle al tessuto urbano e sociale. Se da un lato infatti la qualità dell’abitare non può ridursi ad un tetto sulla testa, dall’altro si corre il rischio di riempire gli spazi vuoti dando vita ad una continuità urbana che si tradurrebbe in ulteriore cementificazione del territorio.

A questo si è purtroppo affiancata una crescita edilizia che appare senza regole né idee.

Mentre gli abitanti della città, per primi i giovani, dimostrano quotidianamente la volontà di non abbandonare il centro storico e, con tutte le difficoltà, di volerlo continuare a vivere, le istituzioni e i principali servizi continuano nel processo di delocalizzazione. Questo avviene senza un progetto coerente. Come dimostra, ma è solo un esempio tra i molti possibili, la vicenda di piazza d’Armi, per la quale l’amministrazione continua a procedere senza un vero progetto condiviso e soprattutto senza un’idea del suo contesto.

Dopo oltre due anni dal terremoto, ancora non esiste una seria analisi che tenga conto dei flussi della mobilità, della produzione e del consumo, necessaria se si vuole dare un senso al nostro girare a vuoto all’interno di un comune che si pone al decimo posto in Italia per ampiezza.

E’ fondamentale trovare una soluzione che tenga conto della necessità di rilocalizzazione delle tante attività commerciali, artigiane e degli uffici privati che ancora non trovano una sistemazione, una soluzione lungimirante che prediliga il ritorno nei centri storici dell’Aquila e delle frazioni, così come il recupero di edifici lievemente danneggiati da destinare ad uffici e servizi pubblici, per interrompere questo spostamento schizzofrenico degli stessi e il loro collocamento in strutture costruite ex novo.

Se mai inizierà la ricostruzione, correremmo il rischio di ritrovarci dei centri storici vuoti, facili prede di speculazioni e stravolgimento.

In questo quadro di deregolamentazione, figlia della logica dell’emergenza e dei commissariamenti, i cittadini si sono adeguati, esempio sono le migliaia di casette provvisorie per finalità abitative che sono nate ovunque nel territorio. Non possiamo continuare ad ignorare le casette che sono sì in legno, ma su base di cemento poste spesso su terreni agricoli ormai urbanizzati. Il rischio è che siano “per sempre” e che, anche qui, si colmino presto i vuoti che ancora rimangono.

E mentre ci vantiamo di vivere in un territorio verde e difendiamo i limitrofi parchi nazionali, nelle nostre valli le zone industriali proliferano. Solo nel nucleo industriale di Sassa da questo autunno sono disponibili altri 100 ettari di terreno, circa 400 lotti. E le richieste per nuovi insediamenti non mancano, anche grazie alla promessa della zona franca urbana. Peccato che non è reso pubblico un censimento reale dei capannoni esistenti e sfitti. In mancanza di tali dati il cemento aumenta.

E concreto è il rischio di un ulteriore cementificazione se l’amministrazione non provvederà a un riordino normativo delle cosiddette “aree bianche”, una vasta porzione di territorio che non può essere fatta oggetto di speculazione.

Tutta questa situazione è sicuramente effetto del dopo terremoto ma la mala gestione del nostro territorio è iniziata da tempo come è evidente dal Piano Regolatore Generale vigente e dalla mancanza di una regolamentazione delle cave (continuiamo a vivere in una delle poche regioni italiane che non hanno un piano cave).

Stiamo assistendo a una violenza continua perpetrata ai danni del territorio e del paesaggio nel silenzio colpevole degli enti locali e in quello incomprensibile della cittadinanza.

Crediamo sia il momento di riprendere su questi argomenti il dibattito pubblico,consapevoli che per permettere un confronto serio c’è la necessità OGGI di FERMARCI.

Chiediamo con forza una moratoria sulle nuove costruzioni, che duri fino a che non sia rivisto il piano regolatore generale, con le moderne tecnologie che permettano un coinvolgimento pieno e decisionale della popolazione.

Abbiamo bisogno subito di un censimento degli edifici, delle case e dei capannoni vuoti e sfitti. La priorità deve essere, sempre, il recupero.

Per provare a salvare quanto ancora ci rimane del suolo che non deve essere più sottratto all’agricoltura e agli spazi verdi.

Per salvare le identità culturali e le peculiarità del territorio prima di ritrovarci a vivere in un unico, informe, grigio contenitore.

Per evitare la “conurbazione” completa e indistinta.

Per ripristinare un equilibrio tra Essere umano e Ambiente, sia dal punto di vista della sostenibilità (impronta ecologica) che dal punto di vista paesaggistico.

Per ridare centralità e dignità ai nostri paesi, alle nostre frazioni, ai nostri quartieri.

Per salvare la nostra agricoltura e i nostri agricoltori, che vivono (e vivevano) già una profonda crisi e che ora sono strozzati da espropri e scomparsa dei terreni agricoli.

Per tutti questi motivi proponiamo di dare vita a una rete per la salvaguardia del paesaggio che attivi una campagna con tutti gli strumenti necessari per poter fermare gli scempi in atto, chiederne conto alle amministrazioni competenti e promuoverne una reale partecipazione dei cittadini alla scelte sul loro futuro.


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