Vittorio Giorgi, un esempio di integrità morale per le nuove generazioni

Un omaggio allo storico esponente del Pci a due anni dalla morte

21 Aprile 2011   07:06  

"Persone come Vittorio Giorgi erano sì punto di riferimento all'interno del Partito comunista ma erano punto di riferimento per la intera comunità nel senso che si trattava di persone che esercitavano un'autorevolezza morale nell'insieme di tutti i momenti della vita.
I tempi di Vittorio Giorgi sono tempi che per chi vive l'attualità non hanno possibilità di essere compresi in alcun modo".

Le parole di Errico Centofanti sono forse quelle che meglio riescono a sintetizzare la grandezza di Vittorio Giorgi e ad esaltare le differenze tra la politica del secolo scorso e quella di giorni nostri.

Sono due gli aspetti più importanti che emergono dalla lunga testimonianza che Gianfranco Di Giacomantonio raccolse in questa intervista nel 2006: il primo è relativo all'etica nella politica, ed è un pò il filo conduttore di tutto il racconto, il secondo all'avvento di Silvio Berlusconi, considerato una vera anomalia, davanti alla quale - argomenta Giorgi durante la sua lunga narrazione - un democristiano della prima Repubblica inorridirebbe.

Alcuni passaggi sono particolarmente toccanti e per questo abbiamo deciso di raccoglierli in questa sintesi che oggi, a due anni esatti dalla sua morte, sarà proiettata nell'incontro "Etica e politica" che si terrà alla sede del Comune dell'Aquila di Villa Gioia.

Fra questi c'è senz'altro quello in cui Vittorio Giorgi racconta della sua elezione alla guida della Camera del Lavoro, nell'immediato dopoguerra.
Fu un momento accompagnato da un grosso imbarazzo interiore, l'umiltà era tale che Giorgi - allora carpentiere della "Terni", società dell'Iri impegnata con 7.500 operai nella realizzazione della centrale idroelettrica di Provvidenza, a Campotosto - fu sopraffatto da rimorsi.
Qualcosa di inimmaginabile ai tempi di oggi.

E non è positivo, dal suo racconto, neanche l'approccio che ebbero gli allora dirigenti del Pci, rei di aver tentato di far leva sull'aspetto retributivo per convincerlo ad accettare.

Nonostante sia già una sorta di leader, apprezzato per le grandi capacità organizzative dimostrate nel ruolo di presidente della commissione interna all'azienda e durante le lotte operaie, la richiesta di dirigere la Camera del Lavoro sembra trasformarsi in una sorta di cruccio.

Quasi fosse una colpa quella di lasciare il proprio lavoro per assumere una carica da funzionario sindacale, che pur portandolo a rappresentare ad un livello più alto gli interessi degli operai, lo avrebbe allontanato troppo, almeno spiritualmente, dalla sua gente.

Nel 1958, dopo essersi contraddistinto per le doti carismatiche che lo avevano fatto conoscere ben oltre la sua Alta Valle dell'Aterno, arriva la richiesta di candidatura alle elezioni politiche. Erano ancora i tempi in cui l'indicazione del partito era molto più di un diktat, una chiamata alla quale non si poteva non rispondere, una imposizione dalla quale difficilmente ci si poteva tirare indietro. Prima di un onore era un onere.

Altra cosa che appare lontana secoli dalla politica dei nostri giorni: non è l'ambizione del singolo a rincorrere la poltrona ma è il partito a individuare chi meglio rappresenta la collettività.

Anche la candidatura alla Camera viene vissuta da Giorgi come una offerta di cui non sembra sentirsi degno. Racconta, infatti, di aver tentato di persuadere alcuni compagni di partito ad accettare al posto suo.

Ma il candidato naturale era lui. Nel 1958 arriva l'elezione, che poi era certa visto che, allora, l'indicazione del partito assicurava il risultato elettorale. Si era nel vivo del "centralismo democratico". Vittorio Giorgi resterà a Montecitorio tra le fila del Partito comunista fino al 1968.

Nell'intervista inedita c'è molto altro, dall'amicizia con Leone Ginzburg alla caduta del mito di Stalin, che pubblicheremo nei prossimi giorni integralmente.

Finita l'esperienza parlamentare Giorgi prosegue instancabile l'impegno politico al Comune di Pizzoli, come sindaco, e alla Provincia come consigliere. Non ha mai smesso di partecipare, più o meno attivamente, alla vita politica del partito e del territorio fino alla sua morte.

Lascia un vuoto significativo.

Tra le colpe, se così possono essere definite, sicuramente quella di non essere riuscito a tramandare quasi a nessuno la propria integrità morale.

Marco Signori


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