YouTube diventa una TV

Regolamenti AGCOM:

30 Dicembre 2010   08:24  

Sono stati finalmente pubblicati sul sito internet dell’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni i due regolamenti relativi all’attività di fornitura di servizi media audiovisivi in modalità lineare e on demand.

La disciplina delle web radio e web tv, dopo mesi di dubbi è incertezze è, ora, stata messa nero su bianco.

Il contenuto dei due provvedimenti conferma, in buona parte, quanto si era già appreso all’indomani dell’approvazione delle due delibere AGCOM: l’ambito di applicabilità della nuova disciplina è limitato a quei fornitori di servizi media audiovisivi che svolgano un attività non precipuamente economica ed in concorrenza con la radiodiffusione televisiva con “esclusione dei servizi i cui ricavi annui derivanti da pubblicità, televendite, sponsorizzazioni, contratti e convenzioni con soggetti pubblici e privati, provvidenze pubbliche e da offerte televisive a pagamento, non superino centomila euro”.

Le web tv e web radio più piccole sono, dunque, escluse dalle formalità e dagli obblighi previsti dalla nuova disciplina.

Per coloro che, invece, superano i cento mila euro di ricavi sarà necessario, per lo svolgimento dell’attività lineare (streaming), richiedere un’autorizzazione che potrà essere concessa attraverso il c.d. silenzio-assenzo: si presenta la domanda e si attendono trenta giorni, dopo di che, salvo che l’Autorità non chieda chiarimenti, si può iniziare ad operare.

Sono egualmente esclusi dall’ambito di applicazione del regolamento quei soggetti che trasmettano un palinsesto di consistenza inferiore alle 24 ore a settimana.

Con la domanda occorre produrre tutta una serie di documenti, puntualmente indicati all’art. 3 del Regolamento e, soprattutto, prova dell’avvenuto versamento del contributo per il rimborso delle spese di istruttoria, il cui importo è ora stato ridotto a 500 euro per le web tv e a 250 euro per le web radio.

Il fornitore di servizi media audiovisivi tenuto alla richiesta di autorizzazione deve, inoltre, procedere all’iscrizione presso il registro degli operatori di comunicazione.

Gli stessi limiti ed un’analoga disciplina è prevista per l’esercizio dell’attività on demand.

In questo caso, tuttavia, anziché una richiesta di autorizzazione è sufficiente una semplice denuncia di inizio attività,  a seguito della quale, pertanto, può iniziarsi ad operare senza attendere i 30 giorni per il compimento del silenzio assenso.

Anche in tal caso, peraltro, la denuncia di inizio attività va accompagnata dalla produzione di tutta una serie di documenti, tra i quali la prova del versamento di un contributo pari a 500 euro.

Mentre non sembrano sussistere dubbi circa la circostanza che coloro che svolgono contestualmente attività di diffusione di contenuti audiovisivi in modalità lineare e on demand, possono denunziare l’inizio della seconda, contestualmente, all’inoltro della domanda di autorizzazione relativa alla prima è, meno chiaro, se, in tal caso, siano tenuti o meno al pagamento di un secondo contributo relativo al rimborso delle spese di istruttoria per l’attività on demand.

I soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività di fornitura di servizi media audiovisivi in modalità lineare e on demand, sono soggetti oltre che alla disciplina dettata nei due regolamenti anche alle previsioni del testo unico relative alla disciplina sul diritto d’autore, all’obbligo di rettifica e alla tutela dei minori con conseguente divieto – non da attuarsi come – di diffusione al pubblico di taluni contenuti in determinate fasce orarie.

Un capitolo a parte, infine, merita la questione relativa all’applicabilità o meno della nuova disciplina ai gestori di piattaforme di users generated content.

L’art. 2 del Testo unico della fornitura di servizi media, come modificato dal c.d. Decreto Romani, infatti, esclude espressamente dall’ambito di applicazione “i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell'ambito di comunità di interesse”.

La disciplina dettata dall’AGCOM propone una rivisitazione, - peraltro di dubbia legittimità perché volta a ridefinire una previsione di rango superiore, ovvero primario – di quanto disposto dall’art. 2 del Testo unico, chiarendo che tale esclusione è valida salvo che “nel caso in cui sussistano, in capo ai soggetti che provvedono all’aggregazione dei contenuti medesimi, sia la responsabilità editoriale, in qualsiasi modo esercitata, sia uno sfruttamento economico”.

E’, dunque, evidente – ed è, d’altra parte, esplicitato nelle delibere con le quali sono stati approvati i due regolamenti – l’intento dell’Autorità di far ricadere nell’ambito di applicazione della disciplina da essa dettata anche le grandi piattaforma di aggregazione dei contenuti audiovisivi prodotti dagli utenti, quali, ad esempio, Youtube, Vimeo, Dailymotion ecc.

Ma poteva l’Agcom spingersi a tanto?

Il sospetto è che non potesse ridiscutere la scelta – giusta o sbagliata che fosse – del legislatore di escludere i gestori delle citate piattaforme dall’ambito di applicazione della nuova disciplina.

Ed alla prima domanda, ne segue, inesorabilmente, una seconda.

Chi ha spinto l’Autorità in questa direzione?

Le conseguenze della scelta aiutano, forse, a restringere la cerchia dei “suggeritori”.

Google, Dailymotion, Vimeo e tanti altri analoghi soggetti della cui qualità di “intermediari della comunicazione”, sino a ieri, in Europa, si è vivacemente dibattuto, da domani, in Italia, sono “fornitori di servizi media audiovisivi” con una responsabilità diretta per i contenuti “trasmessi” che si tratti di diritto d’autore, disciplina dell’informazione o tutela dei minori.

Se sino a ieri si è dubitato che tali soggetti potessero essere ritenuti concorrenti dei grandi broadcaster e che potesse, pertanto, essere loro applicata la stessa disciplina, da domani, potrebbe essere diverso.

I titolari dei diritti d’autore e i broadcaster di ieri sono, pertanto, certamente i più contenti della scelta compiuta dall’AGCOM.

Si tratta di una piccola rivoluzione i cui effetti e le cui conseguenze sono ancora da esplorare ed approfondire.

Come faranno le grandi piattaforme UGC a non “trasmettere” in certe fasce orarie contenuti non adatti ai minori?

Quale sarà il fuso orario di riferimento per piattaforme che diffondono i loro contenuti in tutto il mondo?

Queste sono solo alcune – e non tra le più serie – domande che ci si sarebbe dovuti porre prima di revisionare in peggio un testo già drammaticamente sbilanciato verso il passato come il famigerato Decreto Romani.

Volendo, dunque, tentare un primo giudizio di sintesi sui due regolamenti, potrebbe dirsi che è andata bene – o, comunque, meno peggio di quanto si era ipotizzato – per l’universo delle web tv ma piuttosto male per i gestori delle piattaforme UGC che hanno visto soffiarsi sotto il naso la serenità loro garantita dal Decreto Romani.

(wired.it)


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