Camorra: Arresto soldatessa, le ombre sul caso dell'omicidio Rea

15 Giugno 2011   07:52  

L'arresto di Laura Titta, la soldatessa di 25 anni finita in manette per le 'cure' prestate ai boss della camorra latitanti, getta una luce sinistra sul caso di Melania Rea, la giovane mamma scomparsa da Colle San Marco, ad Ascoli, il 18 aprile scorso e ritrovata morta, accoltellata, in un bosco del Teramano due giorni dopo. La giovane è stata arrestata proprio nella caserma di Ascoli, il 235/o Reggimento Piceno, dove presta servizio il caporalmaggiore Salvatore Parolisi, vedovo di Melania. E non può non tornare alla mente l'ipotesi, mai tramontata, che il delitto sia maturato proprio in quell'ambiente. Al 'Rav', Laura Titta aveva svolto l'addestramento tra il 2009 e il 2010, quando si era arruolata per la prima volta nell'Esercito. Dopo l'addestramento, concluso a marzo del 2010, fu trasferita in una caserma napoletana, dove rimase fino al congedo. Presentò quindi una domanda di riammissione, in seguito alla quale stava frequentando da una decina di giorni ad Ascoli un corso di 'amalgama', che prelude ad un altro anno di arruolamento nell'Esercito. Forse solo casualità. Ma nel corso delle indagini sul delitto Rea sono state ascoltate dai carabinieri decine di soldatesse. In cerca di un movente passionale, dato che Parolisi, avvenente istruttore di giovani reclute donne, qualche scappatella se l'era concessa proprio con le sue allieve. Certa, ad esempio, perché l'ha confermata lui, la relazione extraconiugale con Ludovica P., caporale all'ottavo Reggimento lancieri di Montebello. Così come sono stati fatti accertamenti sui coltellini che le reclute usano donare ai propri istruttori al termine del periodo di addestramento, armi che potrebbero essere simili a quella usata per accoltellare Melania, con colpi inferti anche post mortem. Insomma, la caserma è stata sempre il cuore dell'inchiesta, anche se all'inizio non si era esclusa neppure la mano della camorra. Un'ipotesi, formulata a dire il vero più dai giornalisti che dagli inquirenti, dettata da un presupposto vagamente razzista: i luoghi di provenienza dei protagonisti della vicenda, Frattamaggiore il paese di lui, Somma Vesuviana quello di lei, provincia di Napoli. Ma quelle dei Rea e dei Parolisi si erano subito rivelate famiglie specchiate, con fratelli, padri e mariti per lo più di ambiente militare. Ipotesi accantonata, dunque, anche se il sospetto di una possibile vendetta partita dalla Campania non ha mai smesso di serpeggiare. E oggi, a considerare il carattere della soldatessa che stirava i vestiti del boss del clan dei casalesi Emilio Di Caterino, ora collaboratore di giustizia, ritorna tutto a galla. Inquietante il fatto che Laura Titta - che si era fatta tatuare su una gamba la parola "terrorista" - venga descritta come una donna dal carattere violento, pronta a rivolgersi ai boss del clan dei casalesi per far punire i fidanzati che non si comportavano come lei avrebbe voluto, come emerge dall'ordinanza di custodia cautelare. Il 2 luglio 2008, ad esempio, la giovane donna convince il fidanzato del momento, Giovanni Mola, e l'altro affiliato al clan Paolo Gargiulo a picchiare ferocemente un suo ex, Giuseppe Madonia.


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