Confindustria alla Camera: Italia senza futuro

06 Ottobre 2011   20:13  

"L'Italia non ha futuro, in termini di crescita e di benessere, se non si avvia un cambiamento radicale nella politica economica per contenere la spesa e ridurre stabilmente il perimetro dello Stato". Lo ha affermato il direttore generale della Confindustria Giampaolo Galli , in audizione alla Camera. "Per conseguire il pareggio nel 2013 e iniziare a ridurre il rapporto fra debito e Pil - ha detto Galli riferendosi alla nota di aggiornamento del Def 2011 - il saldo primario dovrebbe migliorare di quasi 90 miliardi di euro, da -0,1 del Pil nel 2010 a +5,4 nel 2013. Dovrebbe rimanere fra il 5 e il 6 negli anni successivi". In sostanza, ha osservato il direttore generale di Confindustria, "in tre anni dovremmo recuperare il decennio perduto, tornando stabilmente ai livelli della fine degli anni '90. Di qui l'osservazione che senza un cambiamento radicale della politica economica, per l'Italia non c'è futuro.

Galli si è quindi soffermato sulle cause che hanno determinato nel Paese "uno straordinario aumento della pressione fiscale" su come questa tendenza possa essere frenata, e evidenzia come potrebbe salire fino al 49%.  "Secondo l'aggiornamento al def 2011, dopo le manovre estive, le entrate complessive della pubblica amministrazione sono salite dal 46,6% del 2010 al 48%, un record storico assoluto, nel 2013. Salirebbero addirittura al 49% se la delega venisse attuata con ulteriori aumenti di imposizione, anche attraverso il taglio delle agevolazioni fiscali".

Secondo Galli, la delega fiscale e assistenziale all'esame del Parlamento è "in realtà una nuova manovra di finanza pubblica la cui attuazione è essenziale per conseguire l'obiettivo di pareggio di bilancio del 2013 e mettere le basi per una duratura riduzione del rapporto fra debito e Pil". Fra le cause dell'alta incidenza del fisco, per Galli "Non vi è solo l'interazione fra l'eredità storica di un alto debito pubblico - spiega Galli - e una grave crisi di portata internazionale. Conta anche il fatto che negli anni 2000 un forte aumento della spesa pubblica ha fatto sì che l'Italia venisse meno all'impegno solenne che aveva assunto con l'Europa al momento dell'ingresso nell'euro di ridurre il debito attraverso un avanzo del saldo pubblico, al netto degli interessi che avrebbe dovuto collocarsi stabilmente sopra il 5% del prodotto".


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