Dall'elezione del 2007 alle dimissioni: tutte le grane di Cialente

11 Marzo 2011   08:30  

Era il maggio 2007 quando le elezioni amministrative incoronarono sindaco dell'Aquila Massimo Cialente. Alla guida di una ampia coalizione di centrosinistra, Cialente, che aveva già superato le primarie, era il favorito sin dall'inizio della campagna elettorale, da un lato per il poco appeal del candidato del centrodestra Maurizio Leopardi, dall'altro per lo scarso consenso con il quale l'amministrazione di Biagio Tempesta usciva da un decennio di governo comunale.

Gli elettori consegnarono la città al primo turno all'allora deputato dei Democratici di sinistra, che si insediò a palazzo Margherita con una maggioranza di 24 consiglieri su 40.

Le prime grane per Cialente arrivano con la composizione della giunta, molti dei protagonisti della politica, fino ad allora all'opposizione, candidati ideali per l'amministrazione attiva declinarono l'invito a far parte dell'esecutivo: non potè che uscirne una giunta politicamente debole.

E infatti, di assessori, sotto il portone di palazzo Margherita, ne passeranno una decina. Fra quelli della prima ora oggi ne restano solo due su una giunta di 11.

E' andata peggio in Consiglio comunale, dove il costante rimescolamento delle carte rende, ancora oggi, difficile avere un quadro chiaro della composizione dei vari gruppi.

L'unico dato certo è che dei 24 consiglieri eletti tra le fila del centrosinistra, almeno 4 si sono persi per strada. E ciascuno di quelli rimasti dentro ha fatto pesare la propria presenza durante tutti questi lunghi quattro anni, non dando mai per scontato il proprio voto in aula.

Neanche i mesi immediatamente successivi al sisma, dove tutti a parole invocavano collaborazione – e qualcuno addirittura una amministrazione di larghe intese – sono serviti a superare le difficoltà.

In Consiglio è una costante lotta ai numeri per tenere in piedi la maggioranza. Le sorti di ogni seduta sono in mano agli umori dei consiglieri, alle ambizioni e ai personalismi.

Le difficoltà, intanto, aumentano: c'è una città da ricostruire, le risorse sono incerte e intermittenti, mancano le certezze normative; i mancati introiti nelle casse comunali, dovuti alla sospensione del pagamento delle tasse, provocano una voragine di 32 milioni di euro. Buco che il governo avrebbe dovuto sanare con propri trasferimenti che non ci sono stati.

Come se non bastasse, lunedì scorso per l'ennesima volta va a vuoto la seduta di Consiglio. Così Massimo Cialente decide di staccare la spina: mi dimetto, dice.

Solo a questo punto inizia il mea culpa generale: con il sindaco, andrebbero a casa tutti, assessori e soprattutto consiglieri che vedono sfumare ogni ambizione personale. Così, inizia il corteggiamento, l'invito a ripensarci. Persino da parte di quelli che praticamente da sempre hanno mostrato segni di insofferenza.

A quattro giorni dall'ufficializzazione delle dimissioni sembrano aumentare le probabilità di un ripensamento. In caso contrario, sgomberato il campo dall'ipotesi di elezioni a maggio, in Comune arriverà un commissario prefettizio che ci resterà fino alla primavera 2012.
“Una iattura, per una città che va ricostruita”, dicono i più.

servizio Marco Signori
ricerca immagini e montaggio Marialaura Carducci, Massimiliano Nibid


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