Decreto cura Abruzzo, Pietrucci: Una VERGOGNA incentivare i licenziamenti. La Regione cancelli norma

10 Giugno 2020   10:06  

La LR 10/2020 a sostegno dell’economia regionale colpita dall'emergenza Covid (la “Cura Abruzzo 2”) contiene una norma - l'articolo 10 - che autorizza le imprese beneficiarie di contributi finanziari a licenziare fino al 30% dei propri dipendenti, ponendosi non solo in contrasto con quanto previsto dal Decreto Rilancio del Governo nazionale (che prevede sovvenzioni fino alla copertura dell’80% del costo del lavoro e cumulabili con altre misure proprio per evitare licenziamenti), ma offendendo anche con il buon senso e insultando la dignità e i diritti di lavoratori e dipendenti che rischiano di essere i primi, se non gli unici, a pagare le conseguenze drammatiche della crisi derivante dal Covid-19.

L’art. 10 - che in modo grottesco si intitola “Disposizioni per l'occupazione e di attuazione” – così recita:

1. I beneficiari dei contributi […] garantiscono per le annualità 2020 e 2021 un livello occupazionale pari al 70% di quello già esistente nell'anno 2019.

2. I contributi […] sono alternativi e non cumulabili tra loro.

3. La Regione Abruzzo promuove politiche del lavoro a sostegno di Società o gruppi di Società […] di rilevanza strategica per la tenuta economica e occupazionale della Regione, aventi una o più sedi operative in Abruzzo.

4. Le Aziende […] vengono qualificate tali in ragione: a) del valore della produzione, riconducibile alle unità che operano nella Regione, che deve essere superiore a 250.000.000,00 euro/anno riferito all'ultimo esercizio finanziario; b) del valore delle esportazioni superiore al 50% del fatturato; c) dell'organico aziendale, per impresa o gruppo di imprese, non inferiore a 500 dipendenti impiegati nell'ambito regionale.

In sostanza le grandi aziende – quelle che più di altre dovrebbero avere la solidità finanziaria, organizzativa e strutturale per resistere e reagire, riprendendo le produzioni sul piano interno e delle esportazioni – vengono favorite nel ridurre l’occupazione proprio in cambio di finanziamenti pubblici.

Come ha denunciato la CGIL “questa emergenza sanitaria ha riacceso nel Paese e nel nostro territorio vecchie contraddizioni, rischiando di far esplodere l’ennesimo conflitto tra aree regionali, con conseguente impoverimento del tessuto produttivo provinciale. Basti vedere i dati sulle richieste per gli interventi a favore dell’accesso al credito per capire quanto fragile sia oggi il nostro tessuto produttivo, infatti il 50% dei prestiti garantiti e fin ora erogati è stato appannaggio di quattro regioni del Nord. E questa situazione potrebbe acuire la profonda spaccatura tra le aree settentrionali e quelle meridionali del paese".

Alle delocalizzazioni - fatte per pura ricerca di profitto e che generano disoccupazione - ora rischia di aggiungersi un ulteriore indebolimento, peraltro autorizzato da una Istituzione come la Regione Abruzzo.  

Già molte attività produttive, in queste settimane, hanno riaperto con quote ridotte di personale: nell’artigianato, nel commercio, nel turismo, nei servizi, nell’edilizia per la ricostruzione post-sismica nel cratere, nella manifattura industriale. A queste difficoltà si aggiunge ora questa assurda e grave norma di legge.

Mentre si chiede di prolungare ed estendere gli ammortizzatori sociali con il contestuale blocco dei licenziamenti, la Regione Abruzzo approva un provvedimento - in palese contraddizione con i principi nazionali ed europei - che sarà interpretato come una legittimazione a licenziare almeno il 30% dei lavoratori in forza.

La Regione cancelli dunque questa norma assurda.

 


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