La Capitaneria di porto di Ortona ci ha confermato che sono iniziate le operazioni per la chiusura definitiva del pozzo petrolifero
“Strani movimenti di una grande imbarcazione a ridosso del tripode che sovrasta il pozzo Ombrina Mare 2 ci hanno indotto a chiamare la Capitaneria di Porto di Ortona per capire che cosa stesse succedendo: il titolo ormai è scaduto ma la Rockhopper, ultima società concessionaria dell’area, aveva comunque ottenuto una dilazione sino alla fine del 2017 per smontare la testa di pozzo tuttora visibile in mare. Dalla Capitaneria è arrivata la conferma: Ombrina se ne va. Ed è, credeteci, una gioia grande e una festa per tutti gli abruzzesi”: così Fabrizia Arduini, responsabile energia del WWF regionale, racconta l’addio definitivo al progetto petrolifero che ha minacciato per anni la costa e che, con lo smantellamento del tripode tuttora presente in mare, sarà finalmente definitivamente cancellato.
Quella di Ombrina è una lunga storia, che parte poco più di 40 anni fa: era il marzo del 1987 quando la ELF Italia avviò nel sito un primo cantiere con perforazione. L’esito fu deludente per i petrolieri, tant’è che la cosa non ebbe seguito. Il pozzo era stato denominato Ombrina Mare 1.
Trascorsero gli anni, il Permesso di Ricerca passò di mano in mano sino ad approdare alla Medoil Gas, che nel 2008 decide di perforare un secondo pozzo, Ombrina Mare 2. L’esito questa volta venne ritenuto positivo, cosa che diede il via a uno dei progetti petroliferi a mare più controversi nella storia italiana.
L’ipotesi di un Centro Oli nelle campagne di Ortona venne respinta da quella che è stata una vera e propria indignazione popolare. Altrettanta indignazione c’è stata per la malsana idea di far stazionare una raffineria galleggiante in mare a poche miglia dalla costa. Ipotesi di intervento che cozzavano con l’Abruzzo regione dei Parchi, riducendo la regione a un vero e proprio distretto minerario a dispetto della volontà e degli interessi anche economici della stragrande maggioranza degli abitanti. Gli abruzzesi, descritti dagli stessi petrolieri come mansueti, proni di fronte al territorio svenduto a interessi estranei, si dimostrarono invece battaglieri e pronti a reagire come in pochi altri territori in Italia. L’indignazione fu talmente grande che travalicò i confini regionali, trascinando anche altre aree del Paese a schierarsi contro una visione dello sviluppo, è proprio il caso di dirlo, “fossile” fuori dal tempo e da ogni logica economica.
“Quel che è successo in questi anni – conclude Fabrizia Arduini - è ben noto: tra provvedimenti di legge e amministrativi, battaglie legali e manifestazioni pubbliche c’è stato in buona sostanza un vero e proprio braccio di ferro tra territori e quelli che si definiscono abitualmente poteri forti, sino ad arrivare al momento in cui, in questi giorni, con la totale dismissione, si sta chiudendo definitivamente anche sul piano fisico una delle battaglie simbolo della lotta contro i combustibili fossili. Non finisce qui, purtroppo: sono ancora troppi le istanze, i permessi di ricerca e le concessioni in terra e in mare. Ci sarà ancora da lottare ma se pensiamo alla situazione che si prospettava solo pochi anni fa, l’Abruzzo può essere davvero orgoglioso di se stesso”.
Sempre in attesa che la costa teatina, la porzione del territorio regionale sulla quale insistono più istanze e titoli minerari, abbia finalmente il Parco Nazionale che attende dal 2001.