Ecco perchè celebriamo la caduta del muro di Berlino

La caduta del Muro di Berlino

09 Novembre 2009   14:38  

Teramo / La caduta del Muro di Berlino. Celebrazione della Giorno della Libertà in tutta Europa: il comunismo fu sconfitto sul suo stesso terreno.

Il 9 novembre 1989, in sostituzione delle celebrazioni europee del bicentenario della Rivoluzione francese, a Berlino vinsero davvero la democrazia, il pluralismo d'opinione e il consumismo.

La caduta del Muro di Berlino («barriera protettiva antifascista»), della cortina di ferro e delle dittature comuniste è davvero finita? Dopo il fallimento del comunismo, altri muri devono ancora cadere in Europa e nel mondo per la completa affermazione delle libertà fondamentali della persona e degli inalienabili diritti umani. Ma, per favore, non confondiamo tali diritti con il consumismo ateo più sfrenato e con i tradimenti politici figli della stessa "lupa".

La fuga dal «paradiso socialista» di migliaia di persone, ci ricorda che la sete di libertà è contagiosa e che l'Europa deve saper svolgere il proprio rinnovato ruolo politico in un periodo storico difficile, caratterizzato nel XXI Secolo dall'esistenza di "altri" totalitarismi come il fondamentalismo islamico che vuole creare nuove barriere, nuovi giusti e nuovi infedeli, anteponendo le idee al valore della persona umana e al suo fondamentale bisogno di libertà.

Marcello Veneziani: "Se vogliamo, l'89 fu davvero il rovescio del '68, e non solo perché si realizzò la Primavera di Praga ma perché lo spirito del '68 corrose la vetusta ingessatura del comunismo; il mondo in cui viviamo sorge su due distruzioni: quella benefica del 9/11 di Berlino e quella malefica dell'11/9 di New York". Sono nate nuove frontiere. La storica domanda di Riccardo Ehrman.

(di Nicola Facciolini)

Fummo e siamo tutti Berlinesi come il grande presidente John F. Kennedy. Dopo la guerra nell'ex Yugoslavia nel cuore dell'Europa e le centinaia di migliaia di morti provocati dagli ultimi regimi post sovietici, c'è poco da festeggiare. Superata la maturità, a 20 anni dalla caduta del Muro di Berlino e della Cortina di ferro, il 9 Novembre molti continuano a celebrare la Libertà, senza reale  e cosciente consapevolezza.

La libertà è un valore impalpabile come l'aria che respiriamo inconsapevolmente finché non ci manca, ma di cui apprezziamo disperatamente il valore quando ci viene a mancare. La libertà significa sostanzialmente l'assenza di vincoli arbitrari e criminali in vari campi: nel pensiero, nella politica, nella comunicazione, nell'economia, nell'insegnamento, nell'attività sindacale, nella pratica religiosa, nell'arte, nell'attività scientifica e così oltre. Vincoli, cui va aggiunto il diritto di non essere offeso ed ucciso in modo arbitrario e criminale, che sono la caratteristica classica dei regimi totalitari.

Il Parlamento italiano, con la legge n° 61 del 15 aprile 2005, ha istituito il Giorno della Libertà quale «ricorrenza dell'abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo». In occasione di questa ricorrenza «vengono annualmente organizzate cerimonie commemorative ufficiali e momenti d'approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti».

In base al testo varato dal Parlamento, la Repubblica italiana dichiara il 9 novembre Giorno della libertà, quale ricorrenza dell'abbattimento del muro di Berlino, avvenuta nel 1989, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi dalle dittature comuniste ed auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo sulla Terra.

In occasione del Giorno della libertà sono organizzate cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole. Le scuole sono  fortemente invitate a sensibilizzare gli studenti sul significato della manifestazione, assumendo anche ogni iniziativa utile a far conoscere a tutti i cittadini l'importanza della celebrazione, organizzata anche in più giorni, secondo le autonome valutazioni delle istituzioni scolastiche e dei relativi organi collegiali.

Il 9 novembre 1989 cadeva il simbolo della Guerra Fredda, il simbolo della divisione dei popoli per antonomasia. Quel Muro, la cui realizzazione aveva avuto inizio il 13 agosto 1961 per evitare la fuga di migliaia di persone dal «paradiso socialista», aveva diviso non solo i Berlinesi nella Germania dell'Est, ma l'intera Europa, fragile e umiliata dopo la Seconda Guerra mondiale. In seguito ci sarebbe stata l'implosione dell'Urss (1991) e la caduta, non sempre indolore, dei suoi regimi satellite. L'Europa di oggi vive il suo dopo-Guerra Fredda cercando di darsi una fisionomia politica e un ruolo in un mondo completamente cambiato.

Nonostante i singoli Stati si mostrino ancora divisi nella difesa di vecchi privilegi economici e reminescenze di un antico splendore, il processo di progressiva unificazione sembra irreversibile. Ma siamo disposti a riconoscerlo davvero come tale, costi quel che costi? In Italia, dove per nostra fortuna 64 anni fa arrivarono gli americani e non i sovietici, si è sempre voluto coltivare una memoria storica parziale di quello che sono stati e hanno rappresentato i grandi regimi totalitari del Novecento. I crimini compiuti da chi si riconosceva nell'ideologia del socialismo reale venivano nascosti e poche voci libere avevano la possibilità e il coraggio di portarli a conoscenza dei cittadini.

Chi ricorda oggi i nostri sacerdoti uccisi dai partigiani comunisti titini in provincia di Teramo durante l'ultimo conflitto mondiale? Dopo la fine dell'Urss, ancora ai nostri giorni, coloro che hanno fatto politica nelle sinistre, coloro che sono cresciuti a pane e comunismo nelle istituzioni, nelle scuole, negli enti pubblici, non hanno ancora smesso di trafugare la verità storica con la cortese compiacenza dei loro avversari di parata.

Magari scimmiottando il cambiamento imposto dalle logiche di convenienza, in un tempo in cui la parola data non ha più senso, avendo perso ogni barlume di lucida verità. Una verità tanto semplice quanto cruda: tutti i totalitarismi sono nemici dell'umanità. Come Italiani, dovremmo imparare da altri popoli europei a rispettare la verità storica senza farci impaurire dai fantasmi del passato. Ci riferiamo, in particolare, alla Polonia e alle nazioni baltiche che hanno vissuto sia l'occupazione nazista sia quella comunista e per questo motivo hanno sviluppato un'equidistanza nei giudizi storici sui totalitarismi.

L'istituzione del Giorno della Libertà non è importante solo perché festeggia l'inizio della caduta del regime comunista sovietico (che a rigor di logica, in assenza dei grandi leader della Terra che tutti conosciamo, avrebbe potuto scatenare il terzo conflitto mondiale a colpi di bombe all'idrogeno) e la fine della divisione delle genti europee, ma ha un valore tutto proiettato in avanti, nel futuro.

Celebrare il 9 Novembre ci aiuta a ricordare che la sete di libertà è contagiosa e che l'Europa deve saper svolgere il proprio rinnovato ruolo politico in un periodo storico difficile, caratterizzato ancora dall'esistenza di "altri" totalitarismi come il fondamentalismo islamico che vuole creare nuove barriere, nuovi giusti, nuovi valori e nuovi infedeli, anteponendo le idee suicidarie al valore della vita della persona umana e al suo fondamentale bisogno di pace, giustizia e libertà. Poiché tutti i totalitarismi sono egualmente criminali e poiché noi italiani siamo europei, questa ricorrenza dovrebbe avere la stessa dignità del nostro "25 aprile". Per aprire gli occhi ecco la saggia riflessione di Marcello Veneziani, pubblicata sul quotidiano "Il Giornale" di domenica 8 novembre 2009. Pienamente condivisibile. Veneziani ci ricorda che le cose non andarono e non vanno proprio come tutti pensano.

I mattoni del muro di Berlino ancora oggi vanno a ruba tra i collezionisti mentre "resta un mistero il crollo indolore e simultaneo di un potere cristallizzato da vari decenni. Resta un mistero che una cortina di ferro si sciolga come neve al sole, senza significative reazioni". Infatti anche i regimi più impopolari e le nomenclature più detestate hanno una schiera di fedelissimi che ingaggiano una lotta finale, tentano un'estrema difesa arroccandosi in una ridotta.

Invece, tutto filò liscio come l'olio. Insomma, poteva andare molto peggio, come poi effettivamente accadde nell'ex Yugoslavia. Perché a Berlino non accadde nulla e così in larga parte dei Paesi usciti dal comunismo? "Il comunismo si piegò su se stesso, si spense come idea per sopravvivere come apparato e rigenerarsi come potere".

A che serviva il Muro? "A impedire di vedere la realtà. L'impostura originaria del Muro fu nella definizione che ne diede il leader della Germania Est, Ulbricht: «barriera protettiva antifascista», come se il Muro proteggesse la Germania comunista dall'assalto e dalle insidie di un fantomatico fascismo occidentale. E non arginasse invece le fughe verso Ovest, che nel giro di pochi anni avevano coinvolto il venti per cento della popolazione, circa tre milioni di tedeschi orientali. Non era accaduto neanche sotto il nazismo. Prima di ogni teoria o analisi, quel flusso spontaneo certificava il fallimento del comunismo".

Il Muro caduto segnò la fine del dramma tedesco. "Un dramma cominciato con la sconfitta della Prima guerra mondiale, poi l'avvento del nazismo, poi la Seconda guerra e le sue immani distruzioni, infine lo smembramento e l'oppressione sovietica. La Germania ha sofferto due volte l'orrore del Novecento, e non solo perché fu l'unico Paese a patire in pieno il nazismo e il comunismo. Ma anche perché fu il Paese più distrutto e martoriato ma privato, dall'orrore della Shoah, del diritto di soffrire il suo dramma e di piangere i suoi morti".

Cadde anche qualcos'altro. "Con il Muro di Berlino cadde anche il Muro del Tempo, per citare il titolo di un libro di Ernst Jünger.

"Il Muro preservava l'anacronismo tra le due Germanie, che vivevano in epoche diverse; a Ovest c'era il tempo della modernità, dei consumi, della libertà individuale e della democrazia. A Est il tempo si era invece fermato alla Prussia, alla Germania nazista e al comunismo, versione regressiva e repressiva della modernità. La caduta del Muro sincronizzò le due Germanie che vivevano in tempi diversi.

L'Est entrò nel tempo dell'Ovest". Il comunismo fu sconfitto sul suo stesso terreno. "Aveva ingaggiato una sfida con l'Occidente nel nome del materialismo e dell'ateismo, del progresso e della liberazione, dell'economia e della tecnologia e fu sconfitto dall'Occidente sul medesimo piano, da un materialismo ateo più pervasivo e consensuale, da una società più progredita, da una liberazione individuale più radicale, da un'economia più efficace e da una tecnologia vincente. Se vogliamo, l'89 fu davvero il rovescio del '68, e non solo perché si realizzò la Primavera di Praga ma perché lo spirito del '68 corrose la vetusta ingessatura del comunismo".

Come può definirsi l'epoca uscita dalla caduta del Muro di Berlino? "Era globale. Con la caduta del Muro finirono le ideologie del '900, i blocchi contrapposti, la divisione orizzontale del mondo tra Est e Ovest, il comunismo e il residuo fascismo. Altri eventi, come piazza Tienanmen e lo scacco sovietico in Afghanistan, la morte di Khomeini e il crollo di altri regimi comunisti, accelerarono quel processo.

La storia cedette il passo alla tecnica, l'ideologia all'economia. Tecnica e mercato furono le ali della globalizzazione.

Quali furono le conseguenze? "La caduta del Muro provocò due conseguenze opposte: da un verso accelerò la globalizzazione, caddero le frontiere, decaddero gli Stati nazionali; dall'altro verso la riunificazione tedesca rianimò le identità territoriali e nazionali, riaccese le etnie e i localismi.

La stessa Europa riflette questa ambiguità: da un verso nacque dalla dis-integrazione degli Stati nazionali, che è un gradino verso la società planetaria; ma dall'altro nasce come argine e risposta alla globalizzazione. Anche un muro caduto ha due punti di vista. A Berlino vinse solo la sete di libertà? "Bisogna avere l'implacabile onestà di ammettere che la caduta del Muro non fu solo emancipazione e libertà ma fu anche un cedimento al primato dei consumi, una vittoria dell'individualismo sul legame sociale e comunitario.

L'Oriente e l'Occidente non si unificarono, ma il primo si sciolse nell'altro, si lasciò annettere e colonizzare. L'Est fu attratto più dai vizi che dalle virtù dell'Occidente, più dalla liberazione sessuale che dal pluralismo dei partiti, più dalle merci che dal diritto di opinione, più dal denaro che dalla democrazia". Le frontiere mutarono assetto? "Dopo lo spartiacque tra Est e Ovest sono sorte due nuove frontiere: tra Nord e Sud del pianeta; e tra Centro e periferie. Il conflitto con l'Islam rientra nei due scenari. Un tempo si riteneva che il comunismo sarebbe stato l'Islam del XX secolo; oggi si sostiene che l'Islam sia il comunismo del XXI secolo.

In realtà non spiega il mondo lo schema del conflitto di civiltà tra Occidente e Islam e nemmeno quello tra democrazia e terrorismo; altri soggetti crescono nel mondo (la Cina, l'India, più svariate periferie), l'Islam non è un blocco omogeneo e ostile, il terrorismo non può essere elevato a Nemico Principale. E in Italia? "In Italia il crollo del Muro di Berlino, produsse la fine del comunismo e l'immediata sostituzione della sua epopea con la celebrazione della Rivoluzione francese di cui cadeva nell'89 il bicentenario. Il richiamo alla rivoluzione borghese segnò la nascita di una sinistra non più proletaria e operaia, ma radical-borghese, neoilluminista ed elitaria, succube del fantasma che aveva evocato: il partito giacobino, di cui divennero portatori i magistrati e i partiti derivati. La sinistra uscita dal '900 comunista tornò al 1789, light e strong".

Che cosa ci aspetta? "Il mondo in cui viviamo sorge su due distruzioni: quella benefica del 9/11 di Berlino e quella malefica dell'11/9 di New York. Si avvia a tornare multipolare, non più dominato da una Sola Superpotenza, gli Usa. I nemici non sono più delimitati da un territorio e da uno Stato, ma sono interni, diffusi e virali: il cortocircuito tecnologico e ambientale, demografico e migratorio, esistenziale e autodistruttivo.

I muri invisibili sono i più difficili da abbattere". E' singolare il fatto che quella stessa notte del 9 novembre 1989, fu la domanda di un famoso giornalista italiano dell'Ansa, ad avviare la demolizione pacifica del Muro di Berlino.

Il 9 novembre Riccardo Ehrman ricevette una telefonata in codice da Günter Pötschke, un membro del comitato centrale del partito comunista in Germania Est. Ehrman era il corrispondente dell'Ansa a Berlino e il giorno successivo avrebbe dovuto partecipare a una conferenza stampa con il ministero della Propaganda della DDR, Günter Schabowski. La sua fonte gli consigliò di fare al ministro "una domanda sulla libertà di viaggio".

Ehrman seguì il consiglio e chiese a Schabowski quando sarebbero state tolte le restrizioni di viaggio ai cittadini della Germania Orientale. "Credo anche subito", fu la risposta. A quel punto un brivido percorse la schiena del giornalista italiano. Il Muro di Berlino iniziava a cadere...


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