Gheddafi più pericoloso per l'economia che per i suoi missili

L'impero economico del Rais ramificato nel "Bel Paese"

20 Marzo 2011   08:43  

Riportiamo la traduzione fatta dal giornalista Fulvio Beltrami di un articolo del giornalista algerino Saide Mekki, pubblicato sul giornale algerino “Le Quotidien d’Oran” qualche giorno fa.

Saide ci spiega il meccanismo di congelamento che gli stati occidentali hanno attuato contro la famiglia Gheddafi. Congelamento che in Italia sembra molto di facciata e quantomeno sospetto.

Ricordiamo al lettore che Gheddafi fu ospite proprio qui all'Aquila durante il G8 (luglio 2009) e che qualche giorno fa si è scoperto un albergo di sua proprietà proprio nella nostra regione.

Questo per far ben capire l'intreccio di affari che il leader libico e la sua famiglia ha con il nostro paese.

Non dimentichiamo, inoltre, che la Libia e poi vedremo come lo stato libico sia difficilmente dissolubile dal suo Rais Gheddafi, detiente oltre il 7% del capitale di Unicredit e come le sorti di questa banca siano indissolubilmente legate alla sorte del leader libico e della pletora di prestanomi che a lui fanno riferimento.

 

I soldi delle societa’ anonime di Gheddafi rischiano di essere perduti dalla Libia(titolo originale).

Saide Mekki

I paesi occidentali hanno iniziato a bloccare i beni libici presenti nelle loro banche ed instituti finanziari. Tecnicamente i soldi dei fondi sovrani libici sono pubblici e dunque devono essere restituiti al legittimo governo della Libia. Il problema e’ che la societa’ anonima di Gheddafi che controlla il paese ha infranto la barriera tra le finanze pubbliche e quelle private. I vari presta nomi e le varie societa’ anonime potrebbero appropriarsi dei soldi pubblici in caso di fallimento politico del governo.

La  guerra civile in atto sta mostrando il potere economico occulto di Mouammar Gheddafi. La Guida che pretende di esssere un simbolo e una referenza (mardja) e’ in realta’ il presidente di una societa’ anonima che controlla la Libia in maniera privata e priva di qualsiasi supervisione legale.

Le defezioni dei responsabili di alto livello all’interno degli enti finanziari pubblici non hanno prodotto delle rivelazioni spettacolari sull’apprpriamento delle risorse del paese da parte del clan di Gheddafi.

Il giornale austriaco di destra Die Presse ha rivelato giovedì 3 marzzo che un uomo findato del leader libico in rottura con il regime a dichiarato che la famiglia di Gheddafi avrebbe suddiviso i suoi beni in 73 paesi. Il personaggio, che vuole restare nell’anonimato, afferma che la famiglia Gheddafi ha delle partecipazioni in 800 societa’ straniere per un valore di 150 miliardi di dollari. Questo impero economico sarebbe gestito dal Lussemburgo per delle finanziarie libiche e straniere, attraverso uomini di fiducia che formano una vera e propria rete internazionale.

L’impero familiare e’ alimentato dai profitti petroliferi, le commissioni e le bustarelle versate dai fornitori internazionali e dall’uso improprio dei fondi pubblici attraverso i Fondi Sovrani della Libia (LIA) e la societa’ statale del petrolio NOC.

Chi ha avuto l’opportunita’ di conoscere i dirigenti di queste due societa’, conferma che la frontiera tra i soldi pubblici e quelli spettanti per diritto al clan Gheddafi e’ difficile da stabilire.

Per esempio la differenza tra le esporatazioni di greggio dichiarate e quelle reali (piu’ di 1 milione di barili al giorno) sparisce nei meandri finaziari occulti e complicati da scoprire. Un volta “pulito” questi soldi la famiglia Gheddafi li gestisce in modo particolarmente efficace. La fortuna finanziaria della famiglia e’ valutata da diplomatici americani circa su 120 miliardi di dollari. Questa fortuna e’ divisa e protetta da una galassia di partecipazioni azionarie, depositi bancari, associazioni sparse in tutto il pianeta.


L’uso improprio legalizzato e la confuzione tra fondi pubblici e fortune private.

Il canale che sarebbe piu’ utilizzato per l’uso improprio dei fondi pubblici sarebbe quello dei Fondi Sovrani Libici emessi dall’Autorita’ Libica di Investimenti (LIA), creata nel 2003 dopo la fine delle sanzioni economiche della Nazioni Unite. Questi fondi trasferiscono una parte dei loro profitti a degli uomini d’affari come l’autro libico Mustapha Zarti che e’ stato recentemente arrestato in Austria. Il suo arresto ha permesso di scoprire che gli investimenti del regime libico per la sola Austria ammonterebbero a 30 miliardi di dollari. La Banca centrale austriaca ha annunciato venerdì scorso il blocco dei beni di Mustapha Zarti.

Secondo la stampa austriaca, questo personaggio e’ l’esempio tipico della confuzione tra beni pubblici e privati che impera in Libia. All’apice di una miriade di canali che alimentano la fortuna dei Gheddafi, Mustapha Zarti e’ membro del consiglio d’amministratore della LIA e un dei principali azionari della banca italiana Unicredit. Zarti e uno tra i principali dirigenti della NOC, la compagnia petrolifera statale libica e del gruppo petrolifero Tamoil. Ricopre anche il ruolo di vice presidente presso la First Energy Bank nel Bahrein. Secondo gli esperti delle finanze libiche, il ruolo di Zarti non sarebbe esclusivo e decine di altre persone farebbero parte della nebulosa finaziaria del regime.

 

Profitti nascosti dietro societa’ di facciata.

Il patrimonio libico della familia non e’ altro che la punta dell’iceberg dell’impero economico internazionale, difficile da quantificare. I profitti in Asia e nel Golfo sono gestiti da uomini d’affari attraverso centinaia di societa’ di facciata che rendono le possibilita’ di identificare e rintracciare rapidamente i flussi finanziari. La force de frappe finanziaria di Gheddafi e’ impressionante e non ha nulla a che vedere con quelle di Ben Ali o del clan di Moubarak.

Questa force de frappe spiega la capacita’ di mobilizazione di truppe rimaste fedeli e di mercenari e la determinazione di Gheddafi a continuare la sua lotta selvaggia per restare al potere e controllare il paese.

 

Nell’ipotesi di una sconfitta della Casa Gheddafi chi potra recuperare i beni rubati al popolo libico?

La risposta a questa domanda non e’ semplice tanto e’ grande e ramificata la rete di investimenti, di presta nomi e di societa’ di facciata.

Fin quando i paesi che ospitano questi patrimoni non faranno prova di buona volonta’ il rischio che la fortuna finanziaria della famiglia Gheddafi sparisca e’ altissimo. Basta pensare che fine hanno fatto i beni del dittatore zairese Mobutu o di altri dittatori africani caduti in disgrazia.

Solo le briciole degli imperi finanziari di questi dittatori sono state restituite ai rispettivi stati nonostante le prove evidente che queste fortune sono state costruite grazie al saccheggio sistematico delle Tesorerie Pubbliche.

I beni messi sotto sequestro sono normalmente recuperati dai paesi ospitanti attraverso diversi astuzie e artifici giuridici.

A questo si aggiunge il fatto che l’affidabilita’ dei presta nomi in tempi di rivoluzione e’ normalmente debole. Ci ricordiamo ancora le dissaventure dell’ex dittatore di Haiti Baby Doc que si trovo’ completamente al verde dopo la fuga dei suoi uomini di fiducia che gestivano la sua fortuna e che dopo la sua caduta si sono appropriati dei suoi beni.

Sembra che il clan Gheddafi abbia tratto degli insegnamenti dalle disgrazie dei precedenti dittatori e che abbia preso delle adeguate disposizioni.

E’ comunque prematuro prevedere al momento attuale il recupero dei soldi rubati, come e’ prematura una valutazione e un censimento affidabile della somma totale.

Ma e’ certo che questa necessita’ figurera’ come priorita’ nell’agenda politica del regime che succedera’ alla dittatua della “Guida” della Grande Jamahiriya Socialista.


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