Giuseppe Petrocchi, il nuovo Vescovo dell'Aquila nel solco della tradizione di Celestino V

26 Giugno 2013   09:56  

di Amedeo Esposito

Dev’essere l'"osate" di Papa Francesco ad aver spinto il nuovo Arcivescovo Metropolita dell’Aquila, monsignor Giuseppe Petrocchi, ad entrare nella basilica (semidistrutta dal terremoto) di Pietro del Morrone, Papa Celestino V°, per prendere possesso della sua Chiesa aquilana e quindi prendere atto delle sedi suffraganee di Avezzano e Sulmona.

Un atto che “rivoluziona” settecento anni di consuetudine dei suoi predecessori che sedettero sulla cattedra di Massimo e Giorgio entrando in città da Porta Barete  per giungere (da via Roma o da via XX Settembre) in piazza  Duomo, osannati dai fedeli d’ogni contrada.

“Rivoluzione” che certamente sarà compresa da Colui che si dimise, primo nella storia della Chiesa universale, deponendo la tiara, e che  subito dopo la sua ascesa al Soglio di Pietro entro la medesima basilica,  donò a tutti i popoli la “Perdonanza” e con essa la speranza spirituale della vita.

Soprattutto il “popolo minuto” – tantissimo ed affamato in quel buio tempo della Chiesa – ebbe il grande perdono (riservato in precedenza solo a chi poteva pagarlo), che ancor oggi, come si sa, il 28 agosto, ogni fedele può lucrare per continuare lungo la via della fraternità e della pacificazione.

“…Desidero spendermi con tutto il cuore nella missione che il Signore, attraverso il Successore di Pietro, mi chiede di compiere tra voi e con voi”. ha scritto  monsignor Petrocchi nel suo messaggio agli aquilani.

Un proponimento di grande speranza che fa eco a quello manifestato dal suo  predecessore del secolo scorso, l’Antico Arcivescovo, il cardinale Carlo Confalonieri, quando nel 1943 “gridò” alla città di rialzarsi dalle ceneri della guerra, ponendo tutti i cittadini sotto il “vessillo civico”, e con loro (qualunque fosse il colore) percorse la strada della ritrovata fratellanza, finchè, purtroppo, non nacquero le contrastanti ideologie politiche che non fiaccarono, però, il Difensore dell’Aquila.

Nella  “guerra fredda” che ne seguì, Confalonieri chiese ed ottenne unità d’intenti, come oggi fa monsignor Petrocchi  che chiede “alleati”, dopo essersi detto pronto ”… a neutralizzare divisioni faziose e fratricide, egoismi miopi e avidi”. perchè, aggiunge, “…sono fermamente convinto che anche questa volta il terremoto perderà la guerra che ha rabbiosamente scatenato contro L’Aquila”.

Sono gli “alleati” che in questi ultimi quattro anni ha cercato, forse invano, l’immediato suo predecessore, che per 15 anni è stato (e lo sarà ancora) il “fratello” di tutti gli aquilani, monsignor Giuseppe Molinari, ora Arcivescovo emerito della Chiesa dei Santi Massimo e Giorgio.

Sono gli “alleati” di sempre, capaci di costruire, lungo settecento anni e più, l’anima aquilana, oggi sfortunatamente dissolta per l’imposta dolorosa diaspora che attende di ritrovarsi – pur nella sua pluralità ideologica e diversità – nella sua laica e religiosa“agorà”: la piazza de “lo mercato”.   

 


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