Guerra e pace nella Curia aquilana. E Molinari parla di "metodo Babele" nella ricostruzione

25 Luglio 2011   14:20  

“Molinari e alcuni ecclesiastici romani non meritano nulla, semmai solo biasimo per il loro operato. Tutti loro se la vedranno con il Padre Eterno al quale mi sono sempre affidato in vita e mi affido fiducioso in morte”.

Il manoscritto dell'arcivescovo Mario Peressin, morto una decina di anni fa, riesumato oggi da un gruppo di parroci “dissidenti” – che si firmano “Clero aquilano stanco e mortificato” - riapre il dibattito dentro e fuori la Curia aquilana sulla attuale guida della Diocesi. Oltre alle consuete critiche all'indirizzo dell'arcivescovo, il gruppo di parroci evoca il codicillo numero 11, manoscritto di Peressin allegato al suo testamento, nel quale il presule diseredava il suo successore, datato 22 agosto 1999.

Molinari prova ancora una volta a smorzare i toni. Lo fa, comunque, solo attraverso comunicati stampa, nei quali, oltre a ricordare come fu lo stesso Peressin a volerlo come suo successore, ribadisce la “disponibilità a ricevere e ad ascoltare tutti coloro che, sacerdoti e non, volessero esporre i loro problemi”.

Le bocche, in Curia, restano cucitissime. Non parla neanche l'ausiliare Giovanni D'ercole, inviato da Roma all'indomani del terremoto per seguire da vicino la ricostruzione. E anche questo, forse è un segno.

Oggi, intanto, dalle pagine del periodico diocesano “Vola”, l'arcivescovo interviene sulla ricostruzione, che procede, secondo Molinari, seguendo il “metodo Babele”, i primi uomini che nella pianura della Sinar avevano tentato di costruire una città e una torre escludendo Dio dal loro progetto, produssero solo confusione e incomunicabilità; così come gli attori della ricostruzione aquilana, che procedono senza linguaggi comuni e unità d'intenti.

(MS)


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