Il Giornale: se non si ricostruisce è tutta colpa di Cialente

06 Marzo 2011   09:05  

Gian Marco Chiocci spiega ai lettori del Giornale perchè a L'aquila la ricostruzione del centro storico è ferma

Il sindaco Pd brucia i 4 miliardi per L'Aquila

da il www.ilgiornale.it

Poi dicono che la colpa della mancata ricostruzione del centro storico dell’Aquila è colpa del satrapo di Arcore. Sentite qua: da quasi due anni il governo ha stanziato quattro miliardi di euro che a tutt’oggi,però,giacciono inutilizzati per una fantozziana controversia fra il sindaco Pd de l’Aquila, Massimo Cialen­te (quello che strepita ogni due per tre contro l’esecutivo Berlusconi) e Gaetano Fontana, braccio tecnico operativo per il rifacimento della città terremotata, coordinatore della cosiddetta Struttura tecnica di missione.

LA BATTAGLIA IDEOLOGICA Quattro miliardi benedetti, che andavano (vanno) spesi tutti e subito così da richiederne poi altrettanti e altri ancora. Soldi bloccati con argomentazioni capziose dal primo cittadino che si ostina a non attuare quanto previsto dalla legge, deciso com’è a far valere le sue ragioni, che pre­vedono altre soluzioni, meno risolutive e solo apparentemente più rapide.

Per capire a che livello di schizofrenia arrivi talvolta la politica occorre circumnavigare a piedi la parte nobile della città sventrata dal sisma il 6 aprile 2009: silenzio mortale, qualche soldato di guardia ai varchi, cani randagi e topi a spasso fra le macerie. Se le new town in periferia sono state tirate su a tempo di record, in centro non si muove paglia. Niente. Le gru ferme, nessun sospetto d’inizio lavori nei palazzi puntellati come i bastoncini dello shan­ghai. Il perché di quest’impasse è folle, ed è presto detto: da tempo, perché così dispone il decreto legge 39/09 (articolo 14,comma 5 bis)l’amministrazione comunale guidata da Massimo Cialente avrebbe dovuto predisporre un vero e proprio «piano di ricostruzione» del centro storico.

Ovverosia un dettagliatissimo piano globale di ripristino della parte più antica della città, con migliorie e/ o abbattimenti dei palazzi pericolanti, con interventi non a se stanti (palazzo per palazzo, chiesa per chiesa) ma da considerare in un «unicum » nella ricostruzione di tutto il centro.

COSA IMPONE LA LEGGE Forse non tutti sanno che la ricostruzione leggera e pesante della periferia della città ha discriminato tra prima e seconda casa, prevedendo per quest’ultima stringenti limitazioni al risarcimento dei danni a causa dell’inserimento di un tetto massimo di 80mila euro,tra l’altro concesso per una sola volta e solo in presenza di utilizzo professionale o commerciale dell’immobile (cioè se nello stabile vi è effettivamente una partita Iva).

Per il centro storico, invece, la distinzione tra prima e seconda casa non è prevista dalla legge. Il «centro storico» è pertanto inteso dalla legge come un unicum meritevole di tutela diretta in ragione del preminente interesse pubblico sotteso al suo recupero. Per sintetizzare ancora meglio: il rapporto che dovrebbe costituirsi tra i singoli interessi in relazione al piano di recupero è lo stesso che intercorre tra «contenuto» e «contenitore», intendendo con il primo la somma aritmetica dei singoli edifici con il corredo delle numerose e variegate posizione giuridiche soggettive, e con il secondo l’insieme degli stessi in una logica di insieme giuridico, sociale, urbanistico, architettonico, artistico ed economico.

Il decreto legge, dunque, prevede l’obbligo di predisposizione di questi specifici «piani di ricostruzione », espressamente sanciti dalla legge sulla ricostruzione e, se non bastasse, ribadito dalle note di strategia redatte dalla Struttura Tecnica di Missione. Il Comune dell’Aquila, però, del decreto legge non ha tenuto conto.

Ha avviato un’ipotesi di ricostruzione che prevede l’applicazione diretta dell’attuale normativa dettata dalle diverse ordinanze della presidenza del Consiglio (buone per le periferie) anche ai singoli edifici del centro storico.

La ragione per cui il sindaco Cialente sta pensando di aggirare l’obbligo dei «Piani» risiede ufficialmente nel tentativo, invero meritevole, di accorciare i tempi della ricostruzione. Purtroppo, però, una simile impostazione è destinata a creare maggiori danni rispetto a quelli che tenta di riparare.
 
OCCASIONE PERSA Il rischio che potrebbe concretizzarsi attraverso l’applica­zione diretta al centro storico dell’attuale impalcatura giuridica dettata dalle numerose ordinanze, è che singole porzioni di edificio, o addirittura interi palazzi, non vengano recuperati per assenza del diritto alla riparazione a carico dello stato in considerazione del titolo giuridico di possesso (seconda casa).

Nel centro storico della città di L’Aquila sono presenti circa 9 mila immobili; di questi 3mila hanno una destinazione non residenziale, mentre solo 2mila sono prime case e dunque recuperabili attraverso l’applicazione delle ordinanze che hanno regolato la ricostruzione della periferia.

In questo senso il Piano di Ricostruzione previsto dal decreto legge rappresenta l’unico strumento in grado di tutelare il centro storico proprio perché non discrimina tra prime e seconde case. Inoltre esso, proprio perché «piano» urbanistico, potrebbe porsi quale fonte normativa attraverso cui introdurre, senza far ricorso a strumenti ablatori, disposizioni di salvaguardia che consentano un integrale ripristino del tessuto urbanistico anche in presenza di eventuale inerzia dei singoli proprietari.

L’EMERGENZA CONTINUA Le numerose ordinanze post terremoto sono state concepite per garantire una tutela «individuale» ai singoli proprietari di immobili, men­tre il piano di ricostruzione è stato inteso come strumento di tutela del preminente «bene pubblico» rappresentato dal «centro storico» nel suo insieme.

Va da sé che il diritto di ciascun cittadino di poter fruire nuovamente degli spazi pubblici del centro, passa necessariamente attraverso il ripristino della sicurezza statica di tutti i suoi palazzi, proprio in ragione del rischio indotto che un mancato restauro di un palazzo potrebbe arrecare all’incolumità pubblica.

A ciò si aggiunga che nel centro storico dovranno inevitabilmente essere rifatti anche i sottoservizi (fogne, condutture dell’acqua, gas, impianti elettrici) e che gli edifici sono spesso addossati l’uno all’altro senza soluzione di continuità. Qualunque approccio serio e ragionevole non può che passare attraverso il coinvolgimento dell’insieme dei variegati in­teressi, pubblici e privati, in un progetto di sintesi e coordinamento tecnico e giuridico che, per l’appunto, è stato individuato dal legislatore nel «piano di ricostruzione». Che se approvato un anno fa, con i quattro miliardi di euro a disposizione, a quest’ora avrebbe già permesso di curare le prime ferite del centro storico dell’Aquila.


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