Inchiesta Rubicone: sequestrati beni per 15 milioni di euro

25 Marzo 2013   11:31  

La Guardia di Finanza dell'Aquila ha confiscato beni  per 15 milioni di euro ai componenti dell'organizzazione criminale accusata di rilevare aziende in crisi da sfruttare, portare al fallimento per poi trarne profitti illeciti, scoperta e condananta grazie all'inchiesta Rubicone iniziata nel 2006.

A capo dell'organizzazione, secondo gli inquirenti, Tonino Paolo Savignano.

Tra i locali finiti nel mirino moltissimi bar, cornetterie di Pescara come il Gran Caffè D'Annunzio e il Popolo della Notte.

A seguire il comunciato stampa della Guardia di Finanza

''I finanzieri del Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (G.I.C.O.) di L’Aquila, su delega del Tribunale di Pescara, hanno eseguito un provvedimento di confisca, disposto con sentenza divenuta irrevocabile, emessa dal GIP del Tribunale di Pescara Maria Michela Di Fine.

La confisca, disposta ai sensi dell’art.12 sexies del D.L.306/1992 (che prevede una misura ablativa del patrimonio di cui il condannato risulta avere la proprietà o disponibilità e che risulta di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato ha riguardato beni (valutati all’epoca del sequestro, in circa € 15.000.000) collocati a Pescara, Francavilla al Mare (CH) ed anche nella province di Isernia (Frosolone) e Teramo (Corropoli e Colonnella) ed ha avuto per oggetto le quote di otto società (operanti nel settore del commercio di autoveicoli, della ristorazione, della commercializzazione di materiali per l’edilizia e della gestione di sale gioco), beni strumentali di diverse imprese e numerosi autoveicoli, già oggetto di sequestri di diversi fascicoli processuali che l’A.G. di Pescara ha riunito, a carico del noto Savignano Tonino Paolo e dei numerosi altri sodali.

Il sodalizio criminale, disarticolato nel 2006 dal G.I.C.O. all’esito di complesse indagini di polizia giudiziaria conclusesi con l’esecuzione di nr.39 ordinanze di custodia cautelare, selezionava imprese in crisi economica, ne acquisiva la titolarità attraverso associati o terzi meri prestanome e le portava al fallimento con frode ai creditori dopo aver operato, in un circoscritto arco temporale, truffe in danno di società commerciali in buona fede.

I proventi così ottenuti venivano reimpiegati nell’acquisto di attività commerciali perfettamente inserite nel mondo economico legale ed anch’esse intestate a prestanome, ma di fatto gestite dal sodalizio facente capo al Savignano.

La sentenza in parola afferma che “le modalità attraverso cui l’imputato Savignano operava di fatto all’interno di società commerciali, formalmente intestate a terzi ma ad esso riconducibili per la gestione, caratterizzate da continui mutamenti della compagine sociale, costituivano da un lato lo strumento principale per il reimpiego dei rilevanti proventi derivanti dalle attività illecite nel settore del riciclaggio e dall’altro lo strumento per reiterare le medesime condotte delittuose, salvaguardando la propria personale responsabilità ad ogni livello”.

Il provvedimento giudiziario ha quindi statuito che, “tenuto conto dei reati contestati e delle attività economiche illecite ricostruite attraverso l’attività di indagine e del valore dei beni in sequestro, del tutto sproporzionato rispetto alle condizioni economiche del Savignano alla luce dei redditi dichiarati nei periodi coevi alle operazioni di acquisizione di quote societarie e rilevazione di settori di attività economica, sussistono i presupposti per procedere alla confisca ai sensi dell’art.12 sexies D.L. 306/1992, trattandosi di beni evidentemente acquistati con il provento delle attività delittuose accertate a carico dell’imputato, in assenza di giustificazioni sulla lecita provenienza delle risorse finanziarie utilizzate per rilevare le attività economiche che sono state riferite alla gestione di fatto del Savignano”.

L’imputato principale era già stato condannato alla penna di 4 anni e 6 mesi di reclusione per reati di associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e documentale, all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, simulazione di reato, intestazione fraudolenta di valori e riciclaggio e reimpiego di denaro e beni di provenienza illecita.

La complessa vicenda giudiziaria, oggetto di numerosi stralci operati nel tempo per alcune specifiche vicende processuali, ha inoltre portato alla emissione di: due sentenze di condanna nei confronti di 14 appartenenti al clan Savignano (divenute definitive per 9 imputati) per reati di associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e documentale, all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, intestazione fraudolenta di valori, riciclaggio e reimpiego di denaro e beni di provenienza illecita, una sentenza di non luogo a procedere per 4 sodali, una sentenza di incompetenza territoriale per 2 soggetti. La posizione di 22 imputati, infine, è oggetto di giudizio dibattimentale con rito ordinario.''

 

 


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